Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6318 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 05/03/2020), n.6318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33587-2018 proposto da:

COSTRUZIONI D.C. SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 44, presso

lo studio dell’avvocato DI TERLIZZI MARCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato BONADUCE CORRADO;

– ricorrente –

contro

D.C.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato G.D.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1448/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. e ss., depositato in data 6 novembre 2013, De C.F. chiese accertarsi la nullità del contratto preliminare sottoscritto in data 23 agosto 2011 con la Costruzioni D.C. S.r.l., nonchè la nullità ovvero pronunciarsi l’annullamento della scrittura privata sottoscritta dalle medesime parti il successivo 16 gennaio 2013; in subordine, accertarsi l’intervenuta risoluzione consensuale del contratto preliminare sottoscritto in data 23 agosto 2011 e, per l’effetto, in ogni caso, condannarsi, ai sensi dell’art. 2033 c.c. ovvero, in via gradata, ai sensi dell’art. 2041 c.c., la predetta società alla restituzione della somma di Euro 41.600,00 indebitamente trattenuta, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

A sostegno della domanda, il D.C. espose che, con il già richiamato contratto preliminare di vendita sottoscritto nel 2011, la Costruzioni D.C. S.r.l. aveva promesso di vendergli un appartamento ad uso ufficio a piano terreno ed un pertinenziale box auto interrato da realizzarsi, a cura e spese della società promittente venditrice su un suolo sito in agro di T. alla (OMISSIS) o (OMISSIS); il prezzo era stato fissato in complessivi Euro 190.000,00 (oltre IVA), da corrispondersi, quanto ad Euro 20.000,00, al momento della sottoscrizione del preliminare (somma da valere anche quale caparra confirmatoria), quanto ad Euro 10.000,00 (oltre IVA), entro il 31 dicembre 2011, quanto ad Euro 10.000,00 (oltre IVA), entro il 30 giugno 2012 e, quanto ai restanti Euro 150.000,00 (oltre IVA), al momento della stipula dell’atto definitivo di compravendita, entro e non oltre il 31 dicembre 2012; la società promittente venditrice si era obbligata a consegnare al promissario acquirente, contestualmente al versamento del secondo acconto, una fideiussione a garanzia degli importi versati.

Il D.C. rappresentò, altresì, che: aveva versato in favore della promittente venditrice la somma di Euro 20.000,00 mediante

due assegni bancari, ciascuno dell’importo di Euro 10.000,00, e, successivamente, aveva versato, sempre in favore della predetta società, ulteriori due acconti di Euro 10.000,00 (oltre IVA), dei quali quest’ultima aveva rilasciato corrispondenti quietanze e fatture; in data 25 gennaio 2012 la Costruzioni D.C. S.r.l. gli aveva consegnato la fideiussione n. ADF15042012, rilasciata dal Consorzio Confidimpresa a garanzia dell’importo massimo di Euro 30.000,00, con durata dal 24 gennaio 2012 al 23 gennaio 2013, e, in data 2 agosto 2012, una seconda fideiussione, n. ADGRA0066, rilasciata dalla società Cofintrade S.c.p.a. a garanzia dell’importo massimo di Euro 10.000,00, con durata dal 3 agosto 2012 al 2 agosto 2013; in data 16 gennaio 2013 le parti, di comune accordo, avevano sottoscritto una scrittura privata con la quale avevano dichiarato di risolvere consensualmente il contratto preliminare sottoscritto il 23 agosto 2011; nella scrittura in parola Costruzioni D.C. S.r.l. si era obbligata a restituire al promissario acquirente, entro la data del 30 giugno 2013, la somma di Euro 10.000,00 dallo stesso versata quale acconto sul corrispettivo della vendita con l’intesa che, se la società costruttrice fosse riuscita a stipulare con terzi un preliminare di vendita avente ad oggetto le unità immobiliari già promesse in vendita al D.C. entro la data del 30 giugno 2013, la predetta società avrebbe restituito la somma di Euro 30.000,00 e non più quella di Euro 10.000,00.

Dedusse, inoltre, il D.C. di aver, con lettera raccomandata del 12 settembre 2013, a mezzo del suo difensore, richiesto la restituzione della somma di Euro 41.600,00 indebitamente, a suo dire, trattenuta dalla società costruttrice, eccependo, tra l’altro, la nullità del già più volte richiamato contratto preliminare, ai sensi del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2, per omessa contestuale consegna delle fideiussioni, e che le fideiussioni rilasciate tardivamente dalla società promittente venditrice erano state emesse da soggetti non aventi i requisiti prescritti dall’art. 3 del testo normativo appena indicato, assumendo che da tale nullità discendeva la nullità della successiva scrittura sottoscritta dalle parti in data 16 gennaio 2013, relativa alla risoluzione per mutuo consenso del contratto preliminare in parola.

Sostenne, infine, il D.C. di non conoscere il vizio che aveva inficiato il contratto preliminare, di essersi determinato a sottoscrivere la scrittura di risoluzione consensuale in assoluta buona fede, nel tentativo di ottenere la restituzione degli acconti indebitamente trattenuti dalla società promittente, e di aver, in ogni caso, diritto alla restituzione delle somme versate – ai sensi dell’art. 2033 c.c. ovvero, in via residuale e subordinata, dell’art. 2041 c.c. – atteso che, essendo stato risolto consensualmente il contratto preliminare, non vi sarebbe stata alcuna giustificazione alla percezione di tali somme da parte della promittente venditrice.

La società convenuta si costituì e chiese il rigetto della domanda, evidenziando che la nullità eccepita dall’attore era da considerarsi una nullità relativa e, come tale, rinunciabile e che il D.C. aveva rinunciato a farla valere con la sottoscrizione della scrittura di risoluzione consensuale del 16 gennaio 2013 avvenuta per esigenze personali del promissario acquirente e non, invece, per inadempimento della società.

Il Tribunale di Trani, con l’ordinanza n. 5379/2014 del 6 novembre 2014, condannò Costruzioni D.C. S.r.l. al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 10.000,00, oltre interessi legali dalla domanda sino al soddisfo, rigettò ogni altra domanda e condannò il D.C. alle spese di lite, ritenendo che la parte resistente non avesse contestato di dover restituire la somma di Euro 10.000,00.

Avverso tale ordinanza il D.C. propose gravame, del quale Costruzioni D.C. S.r.l. chiese il rigetto

La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1448, depositata il 22 agosto 2018, accolse l’appello per quanto di ragione e, per l’effetto, dichiarò la risoluzione consensuale del contratto stipulato tra le parti in data 23 agosto 2011, condannò Costruzioni D.C. S.r.l. alla restituzione in favore di D.C.F. della somma di Euro 41.600,00 (a detrarre quanto già versato dalla società appellata pari ad Euro 10.000,00), oltre interessi legali dal 16 gennaio 2013 al soddisfo, nonchè al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio di merito in favore dell’appellato.

Avverso la sentenza della Corte di appello Costruzioni D.C. S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi, cui ha resistito D.C.F. con controricorso.

La proposta del relatore è stat ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rilevato che il controricorso risulta essere stato notificato oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c. (la notificazione del predetto atto, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., andava effettuata entro venti giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c., e quindi entro il 31 dicembre 2018, lunedì, essendosi la notifica del ricorso perfezionata in data 21 novembre 2018, mentre il controricorso risulta notificato in data 3 gennaio 2019, oltre, quindi, il termine sopra indicato, v. Cass. 28/12/2006, 27596; Cass., sez. un., 12/04/2012, n. 5769). Ne consegu l’inammissibilità del controricorso per tardività della notifica dello stesso.

2. Con il primo motivo, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 702-bis e 702-quater c.p.c. e art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 o in subordine art. 360 c.p.c., n. 3”, il ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciare l’inammissibilità dell’appello in quanto proposto oltre i termini di cui all’art. 702-quater c.p.c., omettendo, quindi, di attestare il passaggio giudicato della prima decisione ex art. 2909 c.c., questione rilevabile d’ufficio.

Evidenzia la ricorrente che: a) il gravame era stato proposto con “ricorso in appello ex art. 702-quater c.p.c.” avverso la predetta ordinanza “comunicata in data 11/11/2014 dalla cancelleria… a conclusione del procedimento sommario di cognizione instaurato ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c.”, come riportato testualmente nel ricorso di appello; b) il ricorso in appello era stato depositato in data 9 dicembre 2014 e, unitamente al pedissequo decreto di fissazione d’udienza, era stato presentato per la notificazione in data 2 gennaio 2015 e spedito a mezzo posta il successivo 3 gennaio 2015, sicchè, sulla scorta di tali dati risultanti per tabulas, il gravame era inammissibile perchè tardivo. In particolare, a tale riguardo, Costruzioni D.C. S.r.l. pone in rilievo che il termine perentorio per la proposizione dello stesso scadeva in data 11 dicembre 2014 e che, poichè l’appello ex art. 702-quater c.p.c. va proposto con atto di citazione da notificare all’appellato entro il termine di gg. 30 a decorrere dalla comunicazione, nel caso – come quello all’esame – in cui l’appello venga proposto con ricorso, deve aversi riguardo non alla data di deposito dello stesso ma a quella di notificazione del medesimo atto alla controparte.

Stante la rilevabilità d’ufficio della tardività dell’appello proposto, la ricorrente ha chiesto che questa Corte operi tale rilievo e dichiari il passaggio in giudicato della decisione di primo grado.

1.1. Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte (v. sentenza 10/02/2014, n. 2907, pronunciata in tema di appello in materia di opposizione a ordinanza ingiunzione ai sensi della L. n. 689 del 1981) hanno precisato che l’appello segue, di regola, il rito ordinario, mentre il principio di ultrattività del rito seguito in primo grado trova applicazione soltanto in caso di esplicita previsione normativa; pertanto, in mancanza di una tale previsione quanto alla forma dell’atto introduttivo, quest’ultima è costituita dalla citazione.

Va poi evidenziato che non è normativamente prevista la forma del ricorso per l’atto introduttivo del giudizio di appello avverso l’ordinanza conclusiva del giudizio sommario ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c., sicchè tale forma è quella ordinaria, ossia l’atto di citazione, e in tal senso si è ormai orientata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 26/06/2014, n. 14502, Cass., 15/12/2014, n. 26326 e successive conformi, relative al procedimento sommario in materia di protezione internazionale, nel vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27, comma 1, lett. f); v. anche Cass., sez. un., 8/11/2018, n. 28575, con la quale, nel ribadire che l’art. 702-quater c.p.c. non regola la forma dell’atto di appello nel rito sommario, il che implica, nel secondo grado, “l’esclusione di una sorta di trascinamento del rito di cui al giudizio sommario di primo grado”, con la conseguenza che, salva l’applicazione del disposto del secondo periodo della norma in parola – per il terzo periodo, v. ormai l’art. 350 c.p.c., comma 1 come integrato dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 27, comma 1, lett. b), l’appello rimane regolato dalle norme disciplinatrici di tale impugnazione nel rito ordinario e, quindi, quanto all’atto introduttivo del gravame, alla tecnica di proposizione dell’appello con la citazione, le Sezioni Unite di questa Corte sono pervenute ad una diversa esegesi con riferimento, però, all’ipotesi specifica dell’appello proposto avverso la decisione di primo grado sulla domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale nel vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27 comma 1, lett. f)).

Sempre secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 23/09/2013, n. 21675; Cass., sez. un., 8/10/2013, n. 22848; Cass., sez. un., n. 2907 del 2014, già richiamata), ribadito pure, in sostanza, da Cass., sez. un., 28575 del 2018, già citata (v. p. 2.5.), in caso di errore dell’appellante nella scelta della forma dell’atto introduttivo del gravame, la decadenza dall’impugnazione è evitata, in forza del principio di conversione ai sensi dell’art. 156 c.p.c., se, entro il termine per impugnare/ si procede non solo al deposito, ma anche alla notificazione del ricorso (che avviene normalmente unitamente al decreto di fissazione dell’udienza davanti al giudice di appello), precisandosi che, in tal caso, non è necessaria, e neppure configurabile, una pronuncia di mutamento del rito.

Tale pronuncia, infatti, riguarda il caso in cui, essendo previsti più riti, si scopra che l’attore ha errato nella scelta e si disponga, pertanto, che per il prosieguo il giudizio si svolga con un rito diverso da quello con cui è stato iniziato. Proprio per questa ragione, l’art. 702-ter c.p.c., comma 3, atteso che per il giudizio di primo grado è prevista una molteplicità di riti (ordinario, sommario e lavoristico, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 1), stabilisce che il giudice, rilevata l’incongruenza della scelta del rito sommario da parte dell’attore, dispone la modificazione del rito, ossia fissa l’udienza di cui all’art. 183 (cioè la prosecuzione del giudizio secondo il rito ordinario).

Tanto vale, però, per il giudizio di primo grado, ma non anche per il giudizio di appello avverso l’ordinanza pronunciata all’esito del giudizio sommario di primo grado. Per tale giudizio di appello, infatti, non è previsto dalla legge un rito sommario alternativo al rito ordinario: esiste soltanto un rito, quello ordinario (in difetto, come già rilevato, di espressa previsione del rito sommario), integrato dalle disposizioni particolari di cui all’art. 702-quater c.p.c., (relative al termine per impugnare e alla sua decorrenza; all’ammissione di nuovi mezzi di prova con maggiore ampiezza) e all’art. 348-bis c.p.c., comma 2, lett. b), (esclusione della pronuncia di inammissibilità dell’appello ai sensi del comma 1), rito che trova applicazione in ogni caso sia impugnata un’ordinanza pronunciata a conclusione di un giudizio svoltosi con rito sommario.

Non essendo possibile un mutamento del rito in appello, non trova conseguentemente applicazione la salvezza degli effetti prevista dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, cit., che, invece, presuppone appunto un’ordinanza di mutamento del rito (v. in termini Cass., ord., 10/04/2018, n. 8757).

2.1. Il motivo all’esame, stante la tardività del proposto appello, sulla base dei dati sopra evidenziati e risultanti dagli atti, va accolto.

3. Dall’accoglimento del primo motivo del ricorso resta assorbito l’esame del secondo motivo, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1965,1372 e 1230 c.c. con riferimento all’art. 1362 c.c., comma 1 e 2, I e art. 1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 o in subordine 360 c.p.c., n. 4”.

4. Alla luce di quanto sopra argomentato, va accolto il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo; la sentenza impugnata va, pertanto, cassata.

Ricorrono, tuttavia, le condizioni per decidere nel merito, sicchè la cassazione può disporsi senza rinvio, essendo possibile pronunciare sul merito dell’appello con la declaratoria della sua inammissibilità per tardività.

5. Le spese del giudizio d appello possono compensarsi, tenuto conto della particolarità della vicenda processuale.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

7 Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, pronunciando sul merito dell’appello proposto da D.C.F. avverso l’ordinanza n. 5379/2014 del 6 novembre 2014 del Tribunale di Trani, lo dichiara inammissibile; compensa le spese del giudizio di appello tra le parti; condanna D.C.F. al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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