Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6315 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. II, 05/03/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12850/2016 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA G.

MAZZINI 8, presso lo studio dell’avvocato SIMONA BIANCHI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CRISTINA CIUFOLI giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il

17/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato Cristina Ciufoli per il ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. F.F., con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Firenze in data 28.4.2015, chiese la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un precedente giudizio penale svoltosi innanzi al Tribunale di Perugia.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 17.3.2016, accolse la domanda, condannando il Ministero al pagamento, in favore del ricorrente, dell’importo di Euro 1.000,00,oltre interessi e spese di lite.

2. Per la cassazione di quest’ultimo decreto F.F. ha proposto ricorso, sulla base di un solo motivo, illustrato da successiva memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Il Ministero della Giustizia si è costituito, svolgendo difese e proponendo, a propria volta, ricorso incidentale, anch’esso affidato ad un solo motivo.

In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

3. Con l’unico motivo, il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo che la Corte di appello di Firenze, nel determinare le spese della fase di merito, avrebbe violato le suddette prescrizioni, pervenendo ad una liquidazione ben al di sotto dei minimi tariffari, nonchè omettendo di liquidare il rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.A.;

3.1 Con l’unico motivo, il ricorrente incidentale denunzia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-quinquies, lett. e) come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55 conv. con mod. dalla L. n. 134 del 2012, vigente ratione temporis (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ma da correttamente riqualificare in termini di denunziato error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., n. 4: cfr. Cass., Sez. 1, 3.1.2003, n. 3, Rv. 559418-01), per avere la Corte territoriale toscana riconosciuto al F. l’indennizzo per l’irragionevole durata del processo presupposto, nonostante l’improponibilità della domanda, dovuta al mancato deposito, in esso, dell’istanza di accelerazione contemplata dalla richiamata norma.

4. Va disattesa l’eccezione – sollevata in via preliminare dalla difesa del F. nelle memorie ex art. 380-bis c.p.c., comma 1 – di inammissibilità del ricorso incidentale per tardività, considerata la tempestività della consegna all’Ufficio N.E.P. (avvenuta il 27.6.2016, data così individuata ex art. 155 c.p.c., comma 5) del controricorso contenente il gravame incidentale, rispetto al momento di perfezionamento della notifica del ricorso principale nei confronti MINISTERO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (16.5.2015) e tenuto altresì conto della nullità della precedente notifica dell’atto introduttivo dell’odierno giudizio eseguita (in data 13.5.2016) presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con conseguente sua irrilevanza ai fini del rispetto del termine ex art. 370 c.p.c. (Cass. 4979/2015).

5. Questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 6568 del 16 marzo 2018, riteneva l’esame del ricorso incidentale, per pregiudizialità logica, preliminare a quello del ricorso principale.

A tal fine osservava che il 21.9.2009 (e, cioè, il giorno in cui il F., ricevendo la notifica dell’avviso ex art. 415-bis c.p.c., ha avuto conoscenza diretta dell’esistenza del procedimento a proprio carico: cfr., in termini, Cass., Sez. 6-2, 20.7.2015, n. 15179, Rv. 636085-01) fosse il dies a quo ai fini del calcolo di durata del processo penale presupposto, sicchè, secondo quanto dedotto dalla difesa erariale, il termine triennale di “ragionevolezza” fissato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, non era ancora decorso alla data dell’11.9.2012 (di entrata in vigore del cit. art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), con conseguente necessità, ai fini della proponibilità della domanda di equa riparazione, di deposito dell’istanza di accelerazione (Cass., Sez. 6-2, 21.12.2016, n. 26627, Rv. 641921-01; Cass., Sez. 6-2, 17.11.2016, n. 23448, Rv. 641869-01).

Poichè, ove si fosse ritenuta applicabile la norma de qua, in accoglimento del motivo in esame, si sarebbe dovuti pervenire alla declaratoria di improponibilità della domanda proposta dal ricorrente principale, per non avere questi depositato nel giudizio presupposto (la circostanza è incontestata) l’istanza di accelerazione contemplata dal cit. art. 2, comma 2-quinquies, lett. E), questa Corte, visti l’art. 134 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 23, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1 e ai parametri interposti dell’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2 comma 2 quinquies, lett. e), come introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. a), n. 2, convertito modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

5.1 Nel caso di specie – quanto alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale – essendo stata proposta la domanda di equa riparazione nell’aprile del 2015, relativamente ad un processo penale che aveva già superato il termine di durata ragionevole in epoca anteriore all’entrata in vigore della norma in esame, ma richiedendosi anche il ristoro del pregiudizio conseguente alla protrazione della durata del processo per il periodo successivo, risultando quindi evidente che la domanda proposta è soggetta all’applicazione della norma in questione, della cui legittimità costituzionale, nei termini innanzi prospettati, si doveva dubitare alla stregua dei più recenti approdi della giurisprudenza della Corte EDU.

5.2. Ed, invero, reputava il Collegio che dovessero essere in massima parte condivise ed estese alla vicenda qui in esame le riflessioni che avevano di recente portato questa Corte a sollevare analoga questione di legittimità costituzionale delle previsioni in tema di istanza di prelievo (cfr. ex multis Cass. n. 28403/2017) nella parte in cui la sua mancata presentazione condiziona l’accoglimento della domanda di equa riparazione.

5.3 Ancorchè riferite alla disciplina dell’istanza di prelievo, reputava il Collegio che le considerazioni espresse in ordine alla necessità che il rimedio interno possa essere ritenuto “effettivo” solo se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano già verificate, si estendessero anche all’istanza di accelerazione che qui viene in discussione.

5.4 Con specifico riferimento all’istanza di accelerazione del processo penale di cui della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), risultava evidente che la previsione di un siffatto strumento sollecitatorio non sospende nè differisce il dovere dello Stato di dare corso al procedimento e, dopo l’esercizio dell’azione penale, al processo, in caso di omesso esercizio dello stesso, nè implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio (così, e per tutte, S.U. n. 28507/05).

Risultava quindi evidente, in assenza di previsioni da parte del legislatore di strumenti, anche di tipo ordinamentale, che correlino alla proposizione dell’istanza di accelerazione de qua, una differente considerazione della vicenda processuale, al fine di assicurare una tendenziale sollecita definizione, che la previsione normativa in esame si risolvesse nell’imporre al ricorrente di prenotare gli effetti della riparazione per l’irragionevole durata del processo e peraltro in un momento in cui (dovendo essere presentata nei trenta giorni successivi al superamento del termine di durata ragionevole) il ritardo non ha ancora assunto un’entità tale da legittimare la richiesta indennitaria (tenuto conto di quanto disposto dalla stessa L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1, che prevede che il ritardo per essere indennizzato debba eccedere una frazione dell’anno superiore a sei mesi).

6. Ritiene il Collegio che il motivo di ricorso incidentale sia infondato, dovendo prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 169 del 10 luglio 2019, che ha dichiarato incostituzionale la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012.

La Consulta ha richiamato la sua recente sentenza n. 34 del 2019, con la quale aveva già dichiarato l’illegittimità costituzionale di norma analoga a quella ora in esame (D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133, come successivamente modificato): norma che, con riferimento al processo amministrativo, a sua volta prevedeva che la mancata presentazione della “istanza di prelievo” costituisse motivo di improponibilità della domanda di indennizzo ex “legge Pinto”.

In quel caso si è osservato che, per “costante giurisprudenza della Corte EDU” (il riferimento va appunto alle ricordate sentenze Daddi e Olivieri, ma anche alla sentenza della Grande Camera 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma solo se “effettivi” e, cioè, solo se e nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente. Alternativamente alla durata ragionevole del processo, il rimedio interno deve comunque allora garantire l’adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale.

E, in applicazione di tali principi, la Consulta aveva conseguentemente affermato che “l’istanza di prelievo (…) non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (…), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata”.

Si è quindi ritenuto che le stesse considerazioni debbano valere anche per l’istanza di accelerazione del processo penale, la quale, non diversamente dall’istanza di prelievo nel processo amministrativo, non costituisce infatti un adempimento necessario ma una mera facoltà dell’imputato e non ha – ciò che è comunque di per sè decisivo – efficacia effettivamente acceleratoria del processo. Atteso che questo, pur a fronte di una siffatta istanza, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata, senza che la violazione di detto termine possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità del ricorrente.

La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di accelerazione, la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi il rigetto del motivo di ricorso incidentale che si fonda sulla pretesa di applicare alla fattispecie una norma ormai dichiarata illegittima.

7. Passando alla disamina del ricorso principale, il motivo è fondato.

Come già rilevato da questa Corte, e proprio con specifico riferimento alla liquidazione delle spese di lite nelle procedure di cui alla L. n. 89 del 2001 (Cass. n. 1018/2018), l’opinione secondo la quale il decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10/3/2014, nella parte in cui stabilisce un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) non può considerarsi derogativo del Decreto n. 140, emesso dallo stesso Ministero il 20/7/2012, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”, non è condivisibile in quanto il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale.

Viceversa, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poichè, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140, evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente a prevalere, ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

Tornando al caso in esame la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessivi Euro 210,00 si pone al di sotto dei limiti imposti dal D.M. n. 55 (pari ad Euro 286,00, di cui Euro 67,50 per la fase di studio, Euro 67,50 per la fase introduttiva, Euro 51,00 per la fase istruttoria, Euro 100,00 per la fase decisionale), tenuto conto del valore della causa (da Euro 0,00 a Euro 1.100,00) e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare (art. 4, cit.).

Il provvedimento impugnato deve essere cassato con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio;

8. Non sussistono i presupposti di legge sul raddoppio del contributo unificato in relazione al rigetto del ricorso principale, trattandosi di impugnazione promossa da amministrazione dello Stato.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale, cassa il provvedimento impugnato con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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