Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6314 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 08/03/2021), n.6314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12380-2015 proposto da:

CAFA CONSORZIO AUTOTRASPORTATORI FERRARESI ARTIGIANI SOC. COOP. A

R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 84, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO VALSECCHI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MICHELE CALLERI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione

dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati elettivamente ANTONINO SGROI,

LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 541/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/05/2014 R.G.N. 863/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO VALSECCHI;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 541/2014, la Corte d’appello di Bologna ha parzialmente accolto l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto integralmente le opposizioni alle cartelle esattoriali con le quali l’INPS aveva chiesto a C.A.F.A soc.c.oop. a.r.l., società consortile di autotrasportatori, le differenze di contribuzione, relative al periodo compreso tra il (OMISSIS), derivanti dalla variazione dell’inquadramento da quello artigiano al settore industriale – classe trasporto.

2. La Corte territoriale, disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, rilevava che ai sensi della L. n. 443 del 1985, ART. 6 i consorzi tra imprese artigiane, per iscriversi nella sezione separata dell’albo delle imprese artigiane, devono essere costituiti esclusivamente da imprese di tale natura, laddove la C.A.F.A s.c.a.r.l. era composta da 22 imprese artigiane e 4 non artigiane. Inoltre, la procedura di accertamento espletata ai sensi dalla L. n. 63 del 1993, vincolante anche ai fini previdenziali ed assistenziali ed impugnabile attraverso le procedure previste dalla L. n. 443 del 1985 art. 7, non impediva al giudice del merito, in caso di contestazione, di verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di fatto relativi ai requisiti richiesti. Confermato, dunque, l’inquadramento nel settore industriale alla luce della accertata natura mista del consorzio, la Corte territoriale ha, tuttavia, affermato che la data di decorrenza del nuovo inquadramento, contrariamente all’assunto dell’INPS basato sulla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, doveva essere fissata dalla data di notifica del verbale di accertamento (10 aprile 2006), ciò in quanto l’INPS era a conoscenza dell’inquadramento del consorzio nel settore artigiano, disposto dalla Commissione Provinciale per l’Artigianato su richiesta della stessa società, e della sua composizione mista.

3. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il consorzio CAFA s.c.a.r.l sulla base di cinque motivi successivamente illustrati da memoria.

Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), lamentando la nullità della sentenza per difetto di motivazione, posto che la stessa si era limitata a ricalcare un precedente di legittimità (Cassazione n. 2418 del 2012) basato su fattispecie solo apparentemente analoga. Tale tecnica di relazione ad atto esterno al processo renderebbe impossibile la verifica dell’identità tra la due cause ed il presupposto fattuale e probatorio della causa relativa al precedente richiamato.

5. Con il secondo motivo, sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), si denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c. per genericità dei motivi dell’atto d’appello, posto che gli stessi non avevano svolto alcuna censura specifica quanto alle affermazioni della sentenza impugnata, limitandosi a riproporre gli argomenti già spesi in primo grado.

6. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 112,324,345 e 437 c.p.c. in quanto la sentenza di primo grado aveva riconosciuto come pacifica la circostanza dell’iscrizione del consorzio in separata sezione dell’albo delle imprese artigiane, come previsto dalla L. n. 443 del 1985, art. 6, comma 1, cosi sancendo almeno implicitamente che il consorzio possedesse i requisiti di legge per l’iscrizione, mentre i motivi d’appello non avevano riguardato la questione del possesso dei requisiti per l’iscrizione in separata sezione dell’albo delle imprese artigiane ma solo il profilo degli effetti dell’iscrizione predetta ai fini previdenziali, determinando su tale aspetto il conseguente formarsi del giudicato interno.

7. Con il quarto motivo di ricorso, sostanzialmente reiterando il ragionamento di cui al motivo precedente, si denuncia la violazione dell’art. 113 c.p.c. e L. n. 443 del 1985, art. 7, comma 5, in quanto l’accertamento della iscrizione nella sezione del settore artigiano era stato accertato in primo grado e non impugnato in appello.

8. Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 113 c.p.c. e L. n. 443 del 1985, art. 5 e art. 6, commi 1, 2 e 5, e L.R. Emilia Romagna 29 ottobre 2001, n. 32, art. 13 in ragione del carattere costitutivo della iscrizione alla sezione speciale dell’albo delle imprese artigiane ex art. 6 cit. e della sua definitività a seguito del giudicato formatosi sulla sentenza di primo grado. Ad avviso della ricorrente, dall’entrata in vigore della L. n. 63 del 1993 la circostanza che l’iscrizione abbia assunto efficacia vincolante anche ai fini previdenziali ed assistenziali, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello – divenuto definitivo l’accertamento della stessa iscrizione – a trarre la conclusione della correttezza dell’inquadramento nel settore artigiano. Peraltro, la L.R. Emilia Romagna n. 32 del 2001 aveva parificato le società consortili tra imprese artigiane e quelle miste, ai fini dell’iscrizione nella separata sezione dell’albo.

9. Il primo motivo è infondato. Va rilevato che la motivazione della sentenza impugnata, seppure caratterizzata dalla estesa riproduzione della motivazione della sentenza di questa Corte di cassazione n. 2418 del 2012, si compone anche (pagina 4) dell’affermazione del principio secondo il quale la L. n. 443 del 1985, art. 6 prevede che le imprese artigiane, per poter essere iscritte nella separata sezione dell’albo delle imprese artigiane, devono essere costituite esclusivamente da imprese di tale natura, mentre nella fattispecie in esame il C.A.F.A. risulta composto da 26 imprese, di cui 22 artigiane e 4 non artigiane. Si tratta, all’evidenza, di una affermazione di senso compiuto che esprime in modo razionale l’interpretazione data della disposizione richiamata, a prescindere dalla sua correttezza. Essa è idonea ad integrare il minimum richiesto dal dettato costituzionale di cui all’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., come inteso dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione secondo la quale, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819 del 2020), oppure quando la motivazione è solo apparente, nel senso che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem ad altra sentenza, senza alcun esame critico delle ragioni alla stessa sottese in base ai motivi di gravame (vd. Cass. n. 27112 del 2018).

10. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità. Questa Corte di cassazione ha più volte affermato il principio secondo il quale la denuncia di violazione dell’art. 434 c.p.c. va formulata nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

La giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 20924 del 2019), infatti, è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012).

La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010).

Dal principio di diritto discende che, qualora, come nella fattispecie, il ricorrente assuma che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile per difetto della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, la censura potrà essere scrutinata a condizione che vengano riportati nel ricorso, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello. Tale specificazione è del tutto carente, essendo il motivo impostato esclusivamente sul richiamo di precedenti di questa Suprema Corte relativi alla necessaria specificità dei motivi d’appello, senza alcun concreto riferimento ai contenuti della sentenza di primo grado e dell’atto d’appello.

11. Il terzo ed il quarto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. Non è corretta la tesi sostenuta dalla ricorrente secondo la quale si sarebbe formato il giudicato interno in ordine alla vincolatività ai fini previdenziali ed assistenziali dell’iscrizione della C.A.F.A. s.c.a.r.l. nella sezione separata dell’albo delle imprese artigiane, come previsto dalla L. n. 443 del 1985, art. 6, comma 1, per effetto della mancata specifica impugnazione dell’accertamento della stessa iscrizione.

In particolare, va fatta applicazione della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, al fine di selezionare le questioni suscettibili di devoluzione e, per converso, di giudicato interno se non censurate nel grado successivo, utilizza la locuzione ” minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”, che consiste nella sequenza ” fatto – norma-effetto giuridico”, giurisprudenza che afferma altresì che l’impugnazione relativa anche soltanto ad uno di tali segmenti impedisce la formazione del giudicato (ex aliis v. anche se non tutte massimate, Cass. n. 1422/21; Cass. n. 56/21; Cass. n. 23796/19; Cass. n. 10760/19; Cass. n. 24783/18; Cass. n. 16853/18; Cass. n. 12202/17; Cass. n. 2217/16; Cass. n. 6698/14; Cass. n. 16583/12; Cass. n. 16808/2011; Cass. n. 14421/99; Cass. n. 10832/98; Cass. n. 6769/98).

Quindi, nel caso di specie, non c’era nè poteva esservi giudicato interno sulla mera constatazione in fatto che il consorzio era iscritto in separata sezione dell’albo delle imprese artigiane.

Nè poteva essersi formato giudicato alcuno sulla deduzione – sostenuta da parte ricorrente – che il dare atto dell’iscrizione equivalesse ad implicito riconoscimento da parte del primo giudice del possesso dei requisiti per l’iscrizione medesima: ciò sia detto non solo e non tanto per la (arbitraria) inferenza in sè, quanto per il rilievo che proprio il possesso dei requisiti era stato investito dall’impugnazione.

12. Anche il quinto motivo di ricorso è infondato. Questa Corte di cassazione ha affermato che l’impresa che chiede nei confronti dell’INPS l’accertamento della sua natura artigiana per ottenere il corrispondente inquadramento ai fini contributivi ha l’onere di provare la sussistenza degli elementi richiesti per tale inquadramento, senza poter limitarsi ad invocare l’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane che ha valore meramente indiziario e che, anche quando acquisisce valore costitutivo per effetto della L. n. 443 del 1985, art. 5 può essere contestata a fini specifici, quale quello della classificazione dell’impresa agli effetti del regime previdenziale.” (v. Cass. Sez. Lav., n. 2090 del 26/2/1998; Cass. n. 24555 del 2016).

13. In particolare, Cass. n. 20443 del 2006 ha ripercorso l’evoluzione normativa in materia di effetti che l’iscrizione della impresa nell’albo delle imprese artigiane determina nei riguardi dell’Inps, e quindi sul piano prettamente previdenziale, sia per quanto riguarda la posizione dei titolari, sia per quanto riguarda il regime relativo ai contributi da versare per i lavoratori dipendenti.

In tale occasione si è negato che la mancata impugnazione da parte dell’Inps del provvedimento della commissione regionale che ha confermato la iscrizione all’albo delle imprese artigiane, emesso dalla commissione regionale competente, renda intangibile per l’azienda l’inquadramento in questo settore ed intangibile per i soci la iscrizione nella gestione Inps degli artigiani.

Il sistema che regola l’obbligo di pagamento della contribuzione previdenziale è improntato al carattere meramente ricognitivo dei provvedimenti di classificazione dei datori di lavoro, ossia della loro inclusione o iscrizione nell’uno o nell’altro settore sulla cui si base si determina il regime assicurativo, giacchè a detti provvedimenti è estranea ogni discrezionalità da parte di qualunque autorità pubblica.

14. In altri termini, continua la sentenza citata “(…) poichè l’inquadramento del datore di lavoro, e quindi il regime assicurativo applicabile è regolato esclusivamente dalla legge, la quale richiede la esistenza di determinati presupposti in fatto per includere il datore nell’uno o nell’altro settore (industria, artigianato, terziario ecc.), tutti i provvedimenti di classificazione o inquadramento sono pienamente sindacabili in sede giudiziale. E’ stato infatti già ritenuto da numerose precedenti pronunzie (Cass. n. 2090 del 26 febbraio 1998, n. 2630 del 20 marzo 1999, n. 3792 del 15 marzo 2001n. 4607 del 6 marzo 2004) che dall’entrata in vigore della L. 17 marzo 1993, n. 63 (di conversione, con modificazioni, del D.L. 15 gennaio 1993, n. 6), la iscrizione all’albo delle imprese artigiane ha efficacia vincolante anche ai fini previdenziali ed assistenziali, ed è impugnabile attraverso le procedure previste dalla L. n. 443 del 1985, art. 7 (ricorso alla Commissione Regionale; impugnazione del relativo provvedimento davanti al Tribunale competente per territorio, che decide in Camera di Consiglio, sentito il Pubblico Ministero), senza tuttavia che ciò impedisca al giudice del merito, a fronte della contestazione formulata in giudizio dal convenuto e della prova offerta dal medesimo, di verificare se sussistono tutti i requisiti di legge per la qualifica artigiana, e di disapplicare, in caso di insussistenza dei requisiti medesimi, l’atto di iscrizione, ancorchè non impugnato in sede amministrativa e poi giudiziaria con la procedura di cui alla L. n. 443 del 1985, citato art. 7. Si tratta infatti di atti di certazione a contenuto interamente vincolato, che possono essere sindacati “incidenter tantum” dal giudice ordinario e disapplicati in quanto non conformi a legge, atteso che il giudice ha il potere di verificare l’esistenza dei requisiti per il sorgere del regime pertinente, indipendentemente dall’accertamento compiutone in sede amministrativa.”.

15. Peraltro, questa Corte ha pure anche di recente (Cass. n. 1167 del 2018 ed in precedenza Cass. n. 2418 del 2012) affermato che i consorzi di imprese artigiane possono iscriversi nella separata sezione dell’albo delle imprese artigiane previsto dalla L. n. 443 del 1985, art. 5 e possono godere delle agevolazioni contributive previste dalla L. n. 88 del 1989, art. 49, lett. b), a differenza dei consorzi misti, composti da imprese artigiane e industriali, i quali possono usufruire delle sole agevolazioni eventualmente previste dalle regioni, e a condizione che le imprese industriali presenti al loro interno non siano in numero superiore a un terzo.

16. Il tenore lessicale della rubrica e del testo dell’art. 6 rendono chiaro che sia l’iscrizione negli elenchi di cui alla L. n. 463 del 1959, prevista per i titolari dell’impresa, sia il regime contributivo per i dipendenti (L. n. 88 del 1989, art. 49, lett. b)) vengono riservati esclusivamente alle imprese che hanno le caratteristiche indicate dalla legge per la configurazione come artigiane, ed anche, logicamente, alle forme associative tra le imprese del medesimo tipo, ossia a consorzi e società consortili di imprese artigiane, mentre tradirebbe lo spirito di tutta la normativa sull’artigianato, l’applicazione di detto regime a soggetti non rispondenti alla tipizzazione della legge, come avverrebbe ove si considerasse artigiano un consorzio di cui fa parte anche una sola impresa diversa.

17. Il motivo va, quindi rigettato, giacchè i Giudici di merito ben potevano disapplicare il provvedimento della commissione regionale di iscrizione dell’impresa nell’albo delle imprese artigiane e non potevano accertare il diritto all’inquadramento nel settore artigiani in presenza, incontestata, di consorzio composto da 22 imprese artigiane e 4 non artigiane.

18. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 11.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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