Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 631 del 12/01/2011

Cassazione civile sez. II, 12/01/2011, (ud. 07/10/2010, dep. 12/01/2011), n.631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 383-2009 proposto da:

SRL RESIDENCE PARADISE (OMISSIS) in persona del suo amministratore

unico e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE ANGELICO 32, presso lo studio dell’avvocato MELUCCO

ANDREA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ATTOLINI

GIUSEPPE ARMANDO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CCPL – CONSORZIO COOPERATIVE DI PRODUZIONE E LAVORO SOC. COOP.

(OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BUOZZI 53, presso lo studio

dell’avvocato RUSSO CLAUDIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GHIDORZI GUSTAVO, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 720/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

13.6.07, depositata l’8/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato Claudio Russo che si riporta

agli scritti e deposita documentazione di fallimento.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIAMPAOLO

LECCISI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Lecce con sentenza 8 novembre 2007 ha dichiarato inammissibile, perchè tardivo, l’appello proposto da Srl Residence Paradise avverso la soc. Coop Consorzio cooperative di Produzione e Lavoro con sede in Reggio Emilia, per impugnare la sentenza resa inter partes il 31 agosto 2004 dal tribunale di Brindisi.

Srl Residence Paradise ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 19 dicembre 2008. Il Consorzio ha resistito con controricorso.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Ha ritenuto la manifesta infondatezza del ricorso.

Parte ricorrente non ha depositato memoria, nè è comparsa all’adunanza camerale.

La Corte d’appello ha ritenuto tardivo il gravame interposto dalla odierna ricorrente, affermando che il termine per l’impugnazione, tenuto conto della sospensione feriale dei termini, scadeva il 30 ottobre 2005; che l’appello era stato proposto con citazione notificata il 2 novembre 2005.

Nell’unico motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 327 c.p.c., della L. n. 742 del 1969, art. 1, comma 1. Deduce che a causa della sospensione disposta da quest’ultima legge nel periodo feriale, il termine annuale per impugnare la sentenza depositata il 31 agosto 2004 decorreva dal 16 settembre 2004 e andava a scadere il 16 settembre 2005; che l’ulteriore sospensione di 46 giorni portava la scadenza al 1 novembre 2005, giorno festivo e quindi al 2 novembre, data in cui era stata effettuata la notifica. La censura è infondata.

La L. n. 742 del 1969, art. 1, recita: “Il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative è sospeso di diritto dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo”.

Insegnano le Sezioni Unite della Corte (SU 21197/09) che il termine per la proposizione dell’impugnazione stabilito a pena di decadenza dall’art. 327 cod. proc. civ. si computa, in considerazione della sospensione dei termini processuali prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, senza tener conto dei giorni compresi trai il 1 agosto ed il 15 settembre dell’anno della pubblicazione della sentenza impugnata, a meno che la data di deposito non cada durante lo stesso periodo feriale, nel guai caso esso decorre dal 16 settembre. Quest’ultima affermazione risale all’interpretazione data da SS.UU. n. 4814/1983 e confermata da Cass. sez. un. 28 marzo 1995, n. 3668.

Nel caso di specie il termine annuale utile per l’impugnazione decorreva pertanto dal 16 settembre 2004 e giungeva a scadenza definitiva il 31 ottobre 2005, lunedì, ultimo giorno entro il quale doveva essere notificata la citazione d’appello.

Caso identico è stato regolato da Cass. 8102/06. Conviene riportarne i passi, dovendosi considerare solo il mutamento di anno, 2004 in luogo di 1999, 2005 in luogo di 2000.

Vi si legge: “poichè la sentenza di primo grado risulta depositata il 14.9.99, il termine annuale d’impugnazione va computato” …. “ai sensi della L. n. 742 del 1969, art. 1, dal giorno 16.9.1999, giacchè la sentenza appellata era stata depositata nel periodo feriale, ed era quindi rimasto sospeso per 46 giorni, dall’1 agosto al 15.9.00, riprendendo di nuovo a decorrere dal successivo 16.9.00 (giorno che doveva essere compreso nel computo del termine, non costituendo un dies a quo).

Si rileva, in particolare, che non può assolutamente accogliersi la tesi della ricorrente, secondo cui – ai fini della determinazione dei giorni utili per la proposizione dell’appello – non andrebbero computati nel termine sia il giorno 16.9.1999 che il giorno 16.9.2000.

Infatti, “in tema di sospensione dei termini processuali, la L. n. 742 del 1969, art. 1 non crea una presunzione in virtù della quale la notificazione della sentenza, avvenuta nel periodo feriale, si considera come effettuata il 16 settembre, primo giorno successivo al decorso di detto periodo, bensì si limita a sospendere il decorso del termine per proporre l’impugnazione il quale comincia a decorrere dalla suddetta data che deve essere computata nel termine stesso” (v.

Cass. Civ., sez. 3A, 13.4.1985, n. 2480; v. anche S.U., 28.3.1995, n. 3668).

Se si coordina tale principio con quello secondo cui “in tema dei termini processuali, a norma dell’art. 155 c.p.c., i termini a mese (o ad anno) si computano non ex numero, bensì ex nominatione dierum, senza tener conto del dies a quo: ne consegue che la scadenza del termine coincide con lo spirare del giorno corrispondente a quello di decorrenza dello stesso, senza tenere conto del numero di giorni intercorrenti, ma solo del numero di mesi e di anni calcolati con riferimento al calendario comune” (v. Cass. Civ., sez. 1^, 29.9.2000, n. 12935), è pacifico come – secondo quanto ha correttamente rilevato la sentenza impugnata – nel caso di specie il termine annuale d’impugnazione, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., sia iniziato a decorrere L. n. 742 del 1969, ex art. 1 dalla data del 16.9.1999 e, rimasto sospeso per 46 giorni dall’1.8.2000 al 15.9.2000, abbia ripreso nuovamente a decorrere dal successivo 16.9.2000, dovendosi tenere conto del periodo di sospensione imposto dalla legge.

Per quanto sopra considerato, quest’ultimo giorno, non rappresentando alcun dies a quo, ma soltanto la ripresa del decorso del termine alla fine del periodo di sospensione, va dunque ricompreso nel computo del termine stesso.

In altri termini, il periodo di sospensione in questione rappresenta soltanto una parentesi nel decorso del termine d’impugnazione, per cui, chiusasi la stessa, il giorno in cui il termine riprende a decorrere, e cioè il 16.9.2000, entra a far parte integrante del termine in corso, il recupero dei 46 giorni di sospensione legale del termine annuale di appello, a partire dal 16.9.2000, comporta che l’ultimo dei giorni suddetti venga a scadere il 31 ottobre 2000, dovendosi sommare ai quindici giorni del mese di settembre i trentuno del mese di ottobre. In conclusione, il termine per l’appello, come giustamente ritenuto nella sentenza impugnata, veniva a scadere il 31.10.2000, mentre il ricorso in appello dell’odierna ricorrente risulta essere stato deposito in data 2.11.2000 e, perciò, oltre il termine perentorio di decadenza ex art. 327 c.p.c.”.

Nel caso odierno parte ricorrente ha sostenuto che il termine lungo andava a scadere il 16 settembre 2005, ma così non è, giacchè, come detto, il termine per l’appello, per effetto del disposto della L. n. 742, art. 1, aveva iniziato il decorso il 16 settembre 2004, senza beneficiare della esclusione del primo giorno di cui all’art. 155, comma 1). Spirava quindi il 15 settembre 2005. L’allungamento di 46 giorni (15 giorni in settembre e 31 in ottobre) in forza del periodo feriale relativo all’anno 2005 portava la scadenza del termine ultimo per l’appello al 31 ottobre 2005, giorno non festivo, che cadeva di lunedì.

Mette conto qui riportare testualmente i passaggi decisivi di SU 3668/95: “La funzione del principio “dies a quo non computatur in termini”, attiene ali ‘esigenza di dare rilievo (quando il termine è a giorni), a giorni interi, trascurando le frazioni di giorno relative al momento in cui si sia verificato l’atto che costituisce il punto di riferimento del termine, nonchè l’effetto giuridico di quell’atto. Sarebbe, pertanto, contrario alla ratio dell’art. 155 c.p.c. lasciare fuori dal computo un giorno intero (il 16 settembre) in cui l’atto di riferimento (deposito della sentenza nel caso odierno di Residence Paradise versus Cons. Coop) non si è verificato, giorno che si aggiungerebbe illogicamente a quelli interi del termine, allungandolo senza alcuna logica giustificazione.

Inoltre, il giorno che non viene computato nel termine, secondo il principio dell’art. 155 c.p.c., è il giorno (con riferimento specifico alle impugnazioni) in cui si è verificato un atto avente un determinato effetto giuridico. Nel caso in cui quell’atto si realizzi nel periodo feriale, esso rimane pienamente valido ed efficace nella sua interezza, volta che il differimento coinvolge soltanto il decorso del termine che in quell’atto abbia il punto temporale di riferimento. Non vi è preclusione, in definitiva, a che il dies a quo, da non computare nel termine, sia individuabile nello stesso giorno in cui l’atto abbia manifestato i suoi effetti, e rimanga detta individuazione ancorchè l’atto stesso sia caduto in periodo feriale. A ciò vada aggiunto che la finalità della L. n. 742 del 1969 consiste nell’assicurare ai professionisti un congruo periodo di riposo annuale, svincolando l’attività professionale dalla scadenza di termini durante il periodo riservato a detto riposo. Su tale base non potrebbe trovare adeguata spiegazione il diverso trattamento dei termini il cui decorso abbia inizio prima del 1 agosto, rispetto a quelli il cui inizio si veri fichi nel periodo feriale.

In quest’ultimo caso, infatti, si aggiungerebbe un giorno ai 46 giorni del periodo feriale normale, senza alcuna logica spiegazione.

In virtù delle considerazioni esposte, si ritiene di dovere dare accoglimento e continuità al principio già espresso da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 4814-83 dovendosi, nel caso di specie, computare nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1 anche il giorno 16 settembre 1992…” Discende da quanto esposto che la sentenza impugnata, che ha fissato la scadenza al 30 ottobre 2005, anzichè al 31 ottobre 2005, va corretta ex art. 384 c.p.c., comma 4, fermo restando il dispositivo, che ha ritenuto inammissibile l’appello, proposto con citazione notificata il 2 novembre 2005. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 5.800, di cui 200 per esborsi e 5.600 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011

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