Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6307 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. I, 25/02/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 25/02/2022), n.6307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28207/2016 proposto da:

P.A., P.C., V.I., Pe.An.,

P.E., P.R., gli ultimi due quali eredi di P.G.,

domiciliati in Roma, Piazza Cavour presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione e rappresentati e difesi dall’Avvocato

Carmelo Salerno, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Università della Calabria, in persona del legale rappresentante

p.t., domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso gli uffici

dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende

per legge;

– controricorrente –

Nonché

S.A., S.R., S.S.;

– intimate –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 629/2016,

depositata il 27/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato la domanda proposta da P.A., P.C., V.I., Pe.An., P.E., P.R., gli ultimi due quali eredi di P.G., di determinazione della giusta indennità di esproprio, esclusa la decurtazione di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 nella dedotta erroneità della determinazione contenuta nel decreto di esproprio.

2. I giudici di merito hanno escluso la natura edificatoria dei suoli espropriati, consistenti in un appezzamento di terreno sito in località (OMISSIS), distinto in catasto al foglio n. (OMISSIS), oggetto del decreto di esproprio n. (OMISSIS), in attuazione del progetto denominato “(OMISSIS)” diretto alla realizzazione di residenze universitarie,

3. La Corte d’Appello ha ritenuto che i terreni, vincolati con decreto n. 4754 del 20 aprile 1972 del Provveditorato alle Opere Pubbliche per la Calabria nell’ambito della zonizzazione prevista dalla prima variante al P.R.G. adottata con Delib. Consiglio Comunale di Rende del 1971, insistevano in area individuata come zona agricola e che il vincolo, confermato nel 2003 a favore dell’Università, in seguito ad ulteriore variante al P.R.G., non aveva inciso sulla zonizzazione, lasciando così ferma la quantificazione della indennità secondo le conclusioni della Commissione provinciale espropri che, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 21 aveva ritenuto non legalmente edificabili le aree per la qualificazione operata al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo, epoca in cui l’amministrazione comunale era dotata di un idoneo strumento urbanistico, il Piano Regolatore Generale.

La Corte di merito ha escluso, nell’applicazione, il criterio dell’edificabilità di fatto, devalutato in relazione alle aree che, limitrofe alla zona universitaria, erano caratterizzate da una forte espansione urbanistica, nella ritenuta prevalenza o autosufficienza di quella legale, in tal modo tenuta ferma la stima effettuata dalla Commissione provinciale espropri pari ad Euro 6.30/mq, con rigetto dell’opposizione.

4. P.A., P.C., V.I., Pe.An., P.E., P.R., gli ultimi due quali eredi di P.G., ricorrono con tre motivi, illustrati da memoria, per la cassazione dell’indicata sentenza.

L’Università della Calabria resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso i signori P.A., P.C., V.I., Pe.An., P.E., P.R., gli ultimi due quali eredi di P.G., fanno valere la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 l’errata applicazione delle norme dettate in materia di esproprio e la mancata valutazione della portata della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011.

L’art. 37 cit. richiama ai fini della eclificabilità di un’area i requisiti della edificabilità legale e/o effettiva, dovendosi intendere per i primi, quelli dettati dalle norme degli strumenti urbanistici vigenti, e con l’espressione di “edificabilità effettiva” le caratteristiche che rendono l’area potenzialmente edificatoria.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 181 del 2011 ha eliminato dal sistema il criterio di calcolo ragguagliato al VAM, affermando che il valore del bene ablato va determinato tenendo conto delle effettive ed intrinseche caratteristiche del bene, considerando la concreta attitudine che il bene espropriato ha in relazione alla sua oggettiva vocazione.

Il bene ablato come indicato dal consulente tecnico di ufficio ha natura edificatoria sia dal punto di vista giuridico che di fatto, oggettivo ed intrinseco.

Con l’ultima variante approvata nel 2001, il Comune di Rende non aveva provveduto ad una individuazione di aree omogenee del territorio interessato dalla medesima variante, ma a ridurre le aree destinate a “Zona Universitaria”, consentendo l’edificazione in tutte quelle estromesse, o comunque limitrofe alla indicata zona, ed apponendo un vincolo preordinato all’esproprio dei terreni ricompresi nella zona, finalizzato alla realizzazione di residenze abitative universitarie.

Ai fini indennitari bisognava avere riguardo alla variante adottata in precedenza con la Delib. consiliare n. 66 del 1981, approvata con D.P.G.R. n. 1825 del 1983 e attuata con il Piano particolareggiato (P.P.), e relative NTA, approvato con Delib. consiliare n. 32 del 1992.

Il Piano Particolareggiato ha disciplinato un’area omogenea, la Zona Universitaria, ed all’art. 3.2 delle NTA approvate con il P.P. si è stabilito che le finalità perseguite dal piano, ovverosia la disciplina edilizia all’interno del perimetro universitario, si realizzano con interventi preordinati dall’Università per le espropriazioni delle aree destinate agli insediamenti universitari e, tra l’altro, con “concessioni singole”, con consegue previsione della possibilità di edificare.

L’art. 5 individua, nell’ambito della Zona Universitaria, le aree dove è esclusa la edificabilità (salvaguardie stradali; zone di rispetto per condotte sotterranee) a conferma che all’interno della zona vi era invece possibilità di edificare.

Il Piano Particolareggiato nel disciplinare una intera zona omogenea le ha attribuito carattere edificatorio assegnando, invece, all’intervento pubblico una valenza di mera localizzazione di opere pubbliche, come previsto dalle Norme Tecniche di Attuazione.

Anche ove si fosse voluto ritenere la non operatività del Piano Particolareggiato, il vincolo imposto sul terreno dalla variante adottata con Delib. consiliare n. 66 del 1981, approvata con D.P.R.G. n. 1825 del 1983, al momento di approvazione del progetto di costruzione delle residenze sul suolo dei ricorrenti, era decaduto da sette anni e quindi ai fini della qualificazione del terreno occorreva applicare la disciplina della L. n. 10 del 1977, art. 4 destinata a valere per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, e, quindi, il criterio della edificabilità di fatto ovvero alla stregua delle aree circostanti.

I terreni espropriati insistono in zona omogenea là dove altri quozienti di terreno immediatamente a ridosso e limitrofi ad essi sono stati edificati, venduti a privati ed utilizzate per residenze private e per uso locativo per gli studenti del campus universitario.

2. Nell’articolato motivo di ricorso sono individuabili due questioni che si lasciano, nella loro proposizione, diversamente apprezzare.

Ed infatti, il primo, quello relativo alla natura edificabile, legale e di fatto, dell’area ablata, è infondato ed il secondo, quello sulla illegittimità della quantificazione dell’indennità di esproprio in quanto

ragguagliata ai V.A.M., criterio non più in vigore per la sentenza n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, e’, invece, fondato.

2.1. Quanto al primo profilo, deve trovare applicazione il principio per il quale, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio (o del risarcimento del danno da occupazione appropriativa), l’edificabilità legale di un’area deve essere accertata, di regola, con esclusivo riguardo alla qualificazione urbanistica derivante dall’inserzione dell’area medesima in una zona omogenea del piano regolatore vigente.

Pertanto, tenuto conto del fatto che nella specie, al momento dell’espropriazione, le aree in questione erano comprese in zona urbanistica con destinazione scolastica, i terreni espropriati dovevano considerarsi non edificabili.

La destinazione di aree ad edilizia scolastica, nella cui nozione devono ricomprendersi tutte le opere e attrezzature che hanno la funzione di integrare il complesso scolastico, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro di una ripartizione in base a criteri generali ed astratti; né può esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacché l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (Cass. 16/03/2016, n. 5247; in termini: Cass. 09/08/2012, n. 14347; vd. anche: Cass. n. 12818 del 21/06/2016).

2.2. Fermo l’indicato principio, che nella destinazione di aree ad edilizia scolastica individua l’imposizione di un vincolo conformativo e quindi rispetto all’intervento del privato il carattere non edificabile, distinta questione è poi quella che, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011 – che ha dichiarato l’illegittimità del criterio indennitario del valore agricolo medio previsto del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 40, commi 2 e 3, – vede comunque come applicabile, ai fini indennitari, il criterio generale del ragguaglio al valore venale del bene.

Dopo la declaratoria di incostituzionalità della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 4, che rinviava alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (Corte cast. n. 181 del 2011), deve applicarsi il criterio generale della L. n. 2359 del 1865, art. 39 e quindi il criterio legale, che ragguaglia l’indennizzo espropriativo al valore venale del bene ed impone all’interprete di tenere conto delle obbiettive e intrinseche caratteristiche e attitudini dell’area in relazione a quelle che sono le utilizzazioni ulteriori e diverse da quelle agricole, intermedie tra le stesse e quelle edificatorie (quali parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), consentite dalla normativa vigente e conformi agli strumenti di pianificazione urbanistica, previe le opportune autorizzazioni amministrative (Cass. 28/05/2012, n. 8442; Cass. 01/12/2011, n. 25718; Cass. 17/10/2011, n. 21386).

2.3. La Corte d’Appello ha fatto erronea applicazione dei VAM nella quantificazione dell’indennità di esproprio tanto risultando, in modo inequivoco, dal rilievo, contenuto nell’impugnata sentenza, secondo il quale: “…in relazione all’entità della stima spettante con riferimento alla natura agricola dei terreni oggetto di ablazione, gli attori non hanno allegato alcun elemento a supporto di un diverso valore dei terreni agricoli rispetto a quello determinato dalla Commissione Provinciale Espropri”.

Il richiamo all’impropria regola, in applicazione della quale si chiama parte attrice-opponente ad allegare elementi a conforto del diverso valore dei terreni agricoli, denuncia l’illegittimità dell’accertamento operato dalla Corte d’Appello, discendendo direttamente dalla legge, e quindi dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 all’esito della declaratoria di illegittimità costituzionale dei VAM (valore agricolo medio) previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 16 e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, la necessità che il giudice del merito proceda all’applicazione del criterio generale del valore venale del bene ablato pieno o tendenzialmente tale, nei limiti delle utilizzazioni cdd. intermedie di terreni altrimenti a vocazione agricola (Cass. SU 23/07/2013, n. 17868).

4. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa valutazione della natura espropriativa del vincolo urbanistico.

Il consulente d’ufficio ha concluso per la valenza espropriativa del vincolo ponendo in evidenza che l’area destinata a “Zona universitaria” è stata ridotta essendo stata limitata in una zona circoscritta al solo fine di localizzarvi le residenze universitarie pubbliche, sicché alcuni proprietari di lotti limitrofi a quelli espropriai avevano potuto realizzare immobili traendone vantaggio dalla locazione a studenti.

6. La natura espropriativa del vincolo è questione infondata per le ragioni indicate nello scrutinio del primo motivo ed il motivo va rigettato.

7. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 errata applicazione delle norme dettate in materia di incremento del 10%. L’espropriante aveva decurtato l’indennità del 10% ex art. 37 D.P.R. cit. in modo illegittimo atteso che l’indennità definitiva non poteva essere accettata dalle parti per l’evidente sperequazione indennitaria; l’Università, inoltre, non aveva mai comunicato alle parti la possibilità di cessione volontaria delle aree per beneficiare del regime premiale del 10%.

8. Il motivo è fondato.

Segnatamente la questione sulla illegittimità della mancata applicazione dell’incremento del 10% dell’indennità D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2, (impropriamente richiamata in ricorso come esclusione della decurtazione del 10% di cui all’art. 37 cit.) è fondata e in ragione dell’accolto profilo del primo motivo di ricorso (stima dell’indennità in applicazione del criterio del valore venale del fondo), essa, quale questione aperta, è rimessa al più ampio accertamento demandato al giudice di merito nel giudizio di rinvio.

7. In via conclusiva va accolto il primo motivo limitatamente al profilo più sopra indicato e la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Catanzaro, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla Corte d’Appello di Catanzaro, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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