Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6304 del 15/03/2010

Cassazione civile sez. I, 15/03/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 15/03/2010), n.6304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Q.R. e Q.P., rappresentate e difese, in

forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. BALDASSINI

Rocco, elettivamente domiciliate nello studio dell’Avv. Ariella Cozzi

in Roma, via Ludovisi, n. 35;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte dr appello di Perugia in

data 1 giugno 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27 gennaio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato, nella relazione depositata l’8 giugno 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:

” Q.R. e Q.P. hanno proposto ricorso per cassazione il 13 luglio 2007 sulla base di tre motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Perugia in data 1 giugno 2006 con cui il Ministero della giustizia veniva condannato ex L. n. 89 dl 2001, al pagamento di un indennizzo di Euro 2.500,00 in favore di ciascuna delle ricorrenti per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi dinanzi alla Corte d’appello di Roma e in Corte di cassazione (avente ad oggetto la determinazione dell’indennità di occupazione legittima e di esproprio).

Il ricorso reca motivi seguiti da quesito di diritto, come imposto dall’art. 366 bis c.p.c.. Il Ministero non ha resistito con controricorso. Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo di due anni e mezzo, dopo aver calcolato in sette anni il periodo di durata ragionevole (quattro anni per la fase dinanzi alla Corte d’appello e tre anni per il giudizio di cassazione) e dopo avere detratto dalla durata complessiva il periodo di tre anni e otto mesi, in guanto non addebitatale allo Stato, di cui due anni ed otto mesi imputabili a richieste di rinvio delle parti.

Il primo, complesso motivo – attinente alla determinazione del periodo di durata irragionevole del processo presupposto – è manifestamente fondato, nei termini di seguito precisati.

Per un verso, la motivazione con la quale la Corte d’appello ha valutato il processo presupposto come di particolare complessità, tale da giustificare una durata (di sette anni in due gradi) più ampia di quella discendente dai parametri CEDU, appare apodittica, perchè generico si appalesa il riferimento tanto alla circostanza che il giudizio è stato promosso in concomitanza con l’entrata in vigore di una nuova legge sul calcolo dell’indennità di espropriazione quanto al fatto che si è resa necessaria una c.t.u.

per accertare il carattere edificatorio del fondo. Difatti, una motivazione siffatta – che in ogni caso non varrebbe per il giudizio di cassazione – nulla dice in concreto quanto tempo sia occorso per l’espletamento della c.t.u., nè spiega il tipo di questioni giuridiche che in pratica sono state affrontate nel giudizio presupposto.

Per altro verso, appare erroneo detrarre dalla dura complessiva del giudizio tutto il periodo corrispondente a rinvii delle udienze richiesti dalle parti. Difatti, ai fini dell’accertamento della durata ragionevole del processo, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti dalla parte, o non opposti, e disposti dal giudice istruttore, si deve distinguere, come impone la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, tra tempi addebitatili alle parti e tempi addebitatili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza e pertanto, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo, propri del giudice istruttore, è necessario individuare la durata irragionevole comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la possibilità che la frequenza ed ingiustificatezza delle istanze di differimento incida sulla valutazione del patema indotto dalla durata e conseguentemente sulla misura dell’indennizzo da riconoscere (Cass., Sez. 1^, 25 gennaio 2008, n. 1715).

L’esame dei restanti motivi, attinenti al quantum dell’indennizzo liquidato, resta assorbito”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici, sono condivisi dal Collegio;

che, quindi, accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento degli altri, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione alla censura accolta e la causa rinviata alla Corte d’appello di Perugia, che la deciderà in diversa composizione;

che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2010

 

 

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