Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6304 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 08/03/2021), n.6304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 439/2020 proposto da:

O.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANNA ROSA ODDONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE E UMANITARIA, presso

la PREFETTURA UTG DI TORINO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 20/11/2019

R.G.N. 18148/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con Decreto n. 8476 del 2019 il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda di protezione internazionale e umanitaria avanzata da O.C., cittadina della (OMISSIS).

2. Per quanto ancora qui rileva, il decreto ha evidenziato la non credibilità della narrazione della richiedente circa le ragioni per le quali aveva lasciato la Nigeria: ella aveva dapprima riferito di essere stata indotta alla prostituzione in Italia, poi di non esservi stata costretta; di seguito, aveva nuovamente mutato la versione dei fatti. In particolare, sentita da personale specializzato anti-tratta, aveva riferito di non fare più la prostituta su consiglio di un sacerdote e di fare la parrucchiera; riconvocata dalla Commissione territoriale, aveva riferito di prostituirsi per restituire un debito contratto e che non era sua intenzione entrare in un programma di protezione, dovendo ella inviare i soldi alla famiglia in Nigeria (i familiari ignorano la sua effettiva condizione in Italia) e che la signora con cui aveva contratto un debito la minacciava per la restituzione dei soldi del viaggio. La richiedente aveva aggiunto di vivere ancora a (OMISSIS); di essere andata, su consiglio dell’avvocato, presso il gruppo (OMISSIS) due settimane prima dell’udienza e di avere intenzione di entrare in un centro di accoglienza.

3. Risulta dal decreto che la Commissione territoriale aveva motivato il rigetto della domanda di protezione internazionale evidenziando come la ricorrente, sebbene si fosse dichiarata vittima di tratta, avesse reso dichiarazioni contraddittorie in ordine alla sua attuale condizione. Tale valutazione è stata condivisa dal Tribunale che ha giudicato non credibile la richiedente sia in ordine alla costrizione o meno alla prostituzione, sia in ordine alle modalità della fuga dalla Nigeria e alla sussistenza o meno di minacce subite per la restituzione del debito contratto con una “signora” (maman), nonchè in ordine alle vicissitudini relative alle sue dimore temporanee in Italia.

4. Tenuto conto che la ricorrente, dinanzi al personale specializzato anti-tratta, aveva dichiarato di non prostituirsi, il Tribunale ha concluso che non vi erano elementi per affermare che la richiedente rientrasse nella categoria delle vittime di tratta di cui all’art. 3 del Protocollo della Convenzione di Ginevra. Neppure vi erano elementi per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), tenuto conto delle ragioni della partenza dal paese di origine, individuate dalla stessa richiedente in motivi di carattere solo economico.

5. E’ infondata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto nella regione di provenienza della richiedente (Edo State), alla stregua delle fonti ufficiali consultate (elencate a pagg. 6 del provvedimento e aggiornate all’anno 2018), pur rilevandosi situazioni criticità per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, non si versa in una situazione di conflitto armato e generalizzato che metta a rischio indiscriminatamente la sicurezza dei cittadini. Risulta una situazione di scarsa sicurezza nel Paese in conseguenza dell’attività del gruppo terroristico di (OMISSIS), concentrata tuttavia in alcuni Stati del nord e nel nord-est della Nigeria, località diverse e distanti da quella di provenienza della ricorrente, dove ha dichiarato di avere vissuto (sud del paese) prima dell’espatrio.

6. Non è riconoscibile la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, norma che prevede che il titolo di soggiorno possa essere rilasciato anche nel caso di rifiuto della protezione internazionale, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Non si riscontrano elementi di particolare vulnerabilità, mentre la motivazione di carattere economico che ha indotto la ricorrente a lasciare il suo paese non è sufficiente, da sola, a integrare il “serio motivo umanitario”.

7. Il decreto è stato impugnato da O.C. con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

8. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

9. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per avere il Tribunale escluso “ottimisticamente” che la Nigeria non sia attraversata da violenza indiscriminata e da conflitto armato, laddove tutte le fonti internazionali denunciano un quadro devastante dell’intero paese.

2. Il motivo è inammissibile. Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (ex multis, Cass. nn. 13858 del 2018, n. 9090 e 18306 del 2019, n. 15317 del 2020). Di norma, i rischi cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese non costituiscono ex sè una minaccia individuale definibile come “danno grave” (Corte giust. Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36).

3. La situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, invocata dalla ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è stata motivatamente esclusa dal Tribunale all’esito di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede (tra le più recenti, cfr. Cass. 1777 e 12514 del 2020).

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la totale omessa motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in ordine alla condizione di particolare vulnerabilità soggettiva, essendo il decreto del tutto carente della esposizione delle ragioni per cui tale condizione è stata esclusa nella specie. Il motivo di ricorso lamenta l’assenza radicale di motivazione per avere il decreto, sotto l’apparente veste della ragione meramente economica dell’espatrio (in sè insufficiente a giustificare il riconoscimento della misura richiesta), totalmente omesso di indagare sulla condizione di deprivazione umana in cui versa la richiedente, per la sua condizione di prostituta, alla quale era stata costretta in conseguenza delle sue vicissitudini personali.

5. Il motivo merita accoglimento per le ragioni che seguono.

6. La motivazione espressa dal Tribunale nel pervenire al rigetto della domanda di protezione umanitaria (nella disciplina che regola la fattispecie ratione temporis) si fonda su due proposizioni: a) la non credibilità del narrato espresso dalla richiedente per le variazioni delle versioni concernenti la sussistenza o meno della costrizione alla prostituzione e altri particolari riguardanti la sua permanenza in Italia; b) la motivazione meramente economica dell’espatrio.

7. Innanzitutto, va ribadito che la credibilità delle dichiarazioni della richiedente la protezione non può essere esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni nell’esposizione dei fatti su aspetti secondari o isolati, specie quando il giudice di merito non abbia concluso per l’insussistenza dell’accadimento (cfr. Cass. n. 8282/2013 e n. 26921 del 2017). Il decreto si è incentrato su imprecisioni riguardanti aspetti secondari del racconto della richiedente la protezione, senza tuttavia escludere – ed anzi implicitamente accreditando, secondo il tenore complessivo del decreto – la sostanziale veridicità del fatto principale, costituito dall’essere la O. stata indotta alla prostituzione per la necessità di ripianare un debito contratto per il viaggio e/o per la necessità di inviare denaro in Nigeria per il sostentamento della famiglia (che ignora la sua condizione). La ricorrente ha riferito inoltre la sua intenzione di entrare in un centro di accoglienza.

8. Tanto premesso, va altresì ribadito che il permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (v. Cass. n. 13565 del 2020, 13096 del 2019, 23604 del 2017), nel cui contesto rientrano tutte le condizioni potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (v. tra le altre, Cass. 15466 del 2014, n. 26566 del 2013). Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990 del 2018).

9. Il Tribunale ha falsamente applicando i parametri normativi propri della protezione umanitaria, non avendo esaminato in concreto l’esistenza di “gravi motivi di carattere umanitario” (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3), per cui è fondata la censura relativa allo sostanziale assenza e, quindi, all’apparenza – della motivazione relativa alla insussistenza della vulnerabilità. In particolare, la motivazione del decreto non rende percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice circa l’insussistenza della condizione di vulnerabilità.

10. Va poi ribadito che, una volta individuata la norma applicabile ratione temporis del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nel testo previgente alle modifiche di cui al D.L. n. 113 del 2018 (sull’irretroattività del quale cfr. S.U. n. 29459/19), ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ove sia ritenuta credibile la situazione che integra una particolare o eccezionale vulnerabilità, il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di “comparazione attenuata”, nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis (cfr. Cass. n. 1104 del 2020, conf. Cass. n. 20894 del 2020).

11. Sostituito al radicamento sociale la vulnerabilità, giacchè questa al pari di quello richiede di procedere ad una comparazione tra la situazione attuale e quella che si prefigura per la richiedente in caso di rimpatrio, il ragionamento operato nella fattispecie dal giudice di merito risulta viziato. Il Tribunale non ha operato il giudizio dl comparazione ovvero ne ha soppresso il rilievo della vulnerabilità derivante dal previssuto, supponendone apoditticamente l’indifferenza.

12. Per tutte le indicate ragioni, in accoglimento dell’assorbente profilo di censura relativa alla sostanziale assenza (e, quindi, all’apparenza) della motivazione relativa al rigetto della domanda di protezione umanitaria proposta dalla ricorrente, il decreto impugnato va cassato con rinvio al Tribunale di Torino, in diversa composizione, il quale procederà ad un nuovo esame della domanda di protezione umanitaria sulla base dei principi di diritto innanzi richiamati e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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