Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6301 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 08/03/2021), n.6301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 109/2020 proposto da:

A.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANIELA GASPARIN;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 17/11/2019

R.G.N. 31069/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto n. 9016/2019 il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda di protezione internazionale e umanitaria avanzata da A.L., cittadino della (OMISSIS).

2. Il Tribunale ha osservato, in sintesi, che:

a) non è riconoscibile lo status di rifugiato, dovendosi escludere ogni ragionevole rischio di atti persecutori;

b) non è fondata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in quanto il racconto del richiedente, credibile circa la zona di provenienza, non lo è in relazione alle ragioni della fuga dal paese di origine; sono vaghe le presunte minacce ricevute da un gruppo (verosimilmente inteso come (OMISSIS)); del tutto inverosimile è la narrazione segnatamente in merito alla fuga da una prigione mediante lo sfondamento di una porta; affetta da gravi discrasie logiche è la narrazione della permanenza in Libia;

c) dunque, il richiedente non ha lasciato il suo paese di origine per ragioni di natura persecutoria o, quanto meno, sono da escludere nel suo racconto credibili e fondati timori di correre un pericolo per la sua vita o per l’incolumità fisica;

d) è infondata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto nella regione di provenienza del richiedente (Edo State), alla stregua delle fonti ufficiali consultate (elencate in nota a pag. 7 del provvedimento e aggiornate all’anno 2018), pur rilevandosi situazioni criticità per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, non si versa in una situazione di conflitto armato e generalizzato che metta a rischio indiscriminatamente la sicurezza dei cittadini;

e) non è riconoscibile la protezione umanitaria; nel paese di origine il ricorrente aveva un lavoro di elettrauto e manteneva una salda rete parentale; non è comprovata alcuna attività formativa o lavorativa in Italia (eccetto la partecipazione ad un corso di base di lingua italiana), per cui non vi è prova di un effettivo radicamento e un livello di integrazione sociale, personale ed anche lavorativa nel territorio nazionale; nel giudizi comparativo, non emerge dunque quella evidente sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali per ritenere che il ricorrente, ove rientrasse nel paese di origine, si troverebbe in uno stato di particolare vulnerabilità.

3. Il decreto, pubblicato il 17.11.2019 è stato impugnato da A.L., con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

4. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con i primi due motivi il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2 e 3 CEDU, per violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione subiti nel paese di origine e per violazione dei parametri normativi per la definizione di danno grave, nonchè per violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria e per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Si duole che il giudice di merito abbia espresso una valutazione sulla credibilità senza svolgere alcun ragionamento o argomentazione rispetto alle minacce e ai danni che il ricorrente aveva subito a causa dei cultisti e senza indicare in quali punti la narrazione sarebbe contraddittoria e inverosimile. Lamenta violazione di legge sul diniego della protezione sussidiaria per avere il Tribunale dato atto della violazione di diritti umani in Nigeria, per poi negarne la rilevanza nel caso di specie.

2. Entrambi i motivi sono inammissibili.

3. La valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 11925 del 19.6.2020, cfr. pure Cass. n. 3340 del 2019; v. pure Cass. n. 26921 del 2017 e succ. conformi).

4. Nel caso in esame, il Tribunale ha ampiamente e logicamente argomentato le ragioni della inverosimiglianza del narrato per circostanze non plausibili, per la vaghezza delle presunte minacce subite da una setta e per le discrasie logiche del racconto. Il ricorso per cassazione ora all’esame si limita a formulare generiche censure in ordine alla valutazione di merito operata dal Tribunale sulla scarsa attendibilità della narrazione, limitandosi a proporre – inammissibilmente – una diversa valutazione della credibilità del richiedente, sostituendo il proprio apprezzamento di fatto a quello compiuto dal giudice di merito.

5. La censura, per come formulata, esula dai limiti del sindacato ammissibile in sede di legittimità. Tale considerazione assorbe ogni altra deduzione del richiedente in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato e alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

6. Quanto ai presupposti per l’accoglimento della tutela sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (questione il cui accertamento prescinde dal difetto di credibilità del richiedente), il Tribunale ha verificato che il richiedente proviene dall’Edo State e che le violenze del gruppo di (OMISSIS) sono concentrate nel nord della Nigeria, mentre per il resto del paese si è in presenza di una situazione di criticità di ordine pubblico o di pubblica sicurezza interna, ma non di una situazione di conflitto armato generalizzato. Tale giudizio è supportato dall’indicazione fonti informative c.d. privilegiate, aggiornate all’epoca della decisione, ai sensi del D.Lgs. n. 24 del 2008, art. 8, comma 3. In particolare, il Tribunale ha rispettato l’onere di specificare le fonti in concreto utilizzate e il contenuto dell’informazione da esse tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alla parte la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del paese e della zona di provenienza del richiedente la protezione (cfr. Cass. n. 13449 del 2019; v. pure Cass. n. 13897 del 2019).

7. A fronte di ciò, il motivo di ricorso per cassazione mira genericamente a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine agli elementi appresi dalle fonti informative, in contrasto con l’orientamento di questa Corte per cui il ricorrente ha l’onere di evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del c.d. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass. n. 4037 del 2020).

8. Il terzo motivo censura il decreto nella parte in cui ha rigettato anche la domanda di protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il motivo si incentra sull’esistenza in Nigeria di un rischio generalizzato in caso di rientro e, come per i precedenti motivi, si limita ad enunciazioni di principio circa i presupposti della tutela umanitaria.

9. Il motivo è del tutto avulso dalla motivazione del decreto e quindi inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il provvedimento impugnato ha messo in evidenza che vi erano legami familiari e lavorativi nel paese di origine, mentre tali legami non vi erano in Italia e che non vi erano ulteriori allegazioni nè in ordine ad una personale situazione di vulnerabilità, nè relative ad una effettiva integrazione sociale e lavorativa raggiunta in Italia.

10. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, inammissibilità del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

12. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito (sent. n. 4315 del 2020) che la debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è “…normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – è costituito dall’aver il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo.

L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

 

 

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