Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6298 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/03/2017, (ud. 12/04/2016, dep.10/03/2017),  n. 6298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25370/2013 proposto da:

S.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIUSEPPE PALUMBO 3, presso lo studio dell’avvocato ITALO MARIA

AMORELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE LO GIUDICE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ VIGILANZA VENATORIA E AMBIENTALISTA S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 543/2012 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 06/11/2012 R.G.N. 668/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte territoriale di Caltanissetta, con sentenza depositata il 6/11/2012, respingeva il gravame interposto da S.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede resa il 21/9/2010, con la quale era stata respinta la domanda proposta dal S., nei confronti della Società di Vigilanza Venatoria e Ambientalista S.r.l., volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento allo stesso intimato il 4/7/2007 per superamento de periodo di comporto previsto dal CCNL operai Agricoli e Florovivaisti, con conseguente reintegra nel posto di lavoro.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il S. affidandosi a due motivi.

La società datrice di lavoro è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo articolato il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 2087 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando che la sentenza di secondo grado abbia errato nel ritenere applicabile in via esclusiva la disciplina di cui all’art. 2110 c.c., al licenziamento per superamento del periodo di comporto, poichè avrebbe dovuto applicare il combinato disposto della L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 2087 c.c., che pongono a carico del datore di lavoro un preciso onere probatorio avente ad oggetto la dimostrazione dell’esistenza, una volta spirato il periodo di comporto, di un giustificato motivo di licenziamento, nonchè di avere adottato tutte le cautele necessarie ad assicurare la prevenzione e la protezione sul lavoro.

2. Con il secondo motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè motivazione carente e/o contraddittoria e si lamenta che i giudici di secondo grado non abbia considerato che, laddove l’assenza dal lavoro trovi la propria causa nell’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di sicurezza ai sensi dell’art. 2087 c.c., le giornate di assenza non vadano computate nell’arco di tempo utile alla maturazione del periodo di comporto.

1.1 Il primo motivo non merita accoglimento, in quanto, attraverso il riferimento alla violazione di legge (viene, infatti, sollevato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) si tenta di introdurre una diversa valutazione dei fatti di causa essendo, invece, in presenza di una motivazione corretta da parte dei giudici di secondo grado che, con dovizia di argomentazioni e di riferimenti agli arresti giurisprudenziali di legittimità e di merito hanno rettamente motivato la sussunzione della fattispecie concreta nella normativa da applicare.

1.2 Quanto al secondo motivo articolato è da osservare che – anche prescindendo dalla genericità della contestazione formulata, che si risolve, in sostanza, nel riferimento di numerose massime della Corte di legittimità relative al profilo di illegittimità da cui sono affetti alcuni licenziamenti intimati per superamento del c.d. periodo di comporto – lo stesso, così come formulato, relativamente al dedotto vizio di motivazione è inammissibile.

Invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 30 ottobre 2013, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica con precisione il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare (la pretesa inadempienza del datore di lavoro alle prescrizioni di cui all’art. 2087 c.c., rimane soltanto una ipotesi e sulla stessa non è stata mai proposta una specifica domanda nelle fasi di merito); nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”.

E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue in ordine alla legittimità del licenziamento di cui si tratta. Infatti, dopo una puntuale ricostruzione dei fatti di causa, la Corte ha rettamente declinato le ipotesi in cui ricorre il superamento del c.d. periodo di comporto, soffermandosi sulla normativa applicabile in modo articolato e convincente dal punto di vista della corretta sussunzione, nonchè dal punto di vista del percorso motivazionale Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese, poichè la società non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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