Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6293 del 10/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 10/03/2017, (ud. 07/04/2016, dep.10/03/2017),  n. 6293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20047-2011 proposto da:

MAC S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ROMEI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MAURO NEBIOLO VIETTI, LUCA NEGRINI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TACITO, 23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO CARAPELLE, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/02/2011 r.g.n. 521/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2016 dal Consigliere Dott. LEO GIUSEPPINA;

udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO;

udito l’Avvocato DE MICHELI CINZIA per delega verbale Avvocato

CARAPELLE ROBERRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Torino, con la sentenza depositata in data 11/2/2011, rigettava il gravame interposto dalla MAC S.p.A. avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede il 20/10/2009 che, in accoglimento del ricorso presentato da A.G.. nei confronti della predetta società aveva dichiarato che tra le parti era in corso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 20/3/2006 con inquadramento dell’ A. nel CCNL industria metalmeccanica, 3^ livello operaio ed aveva condannato la parte resistente a corrispondere al ricorrente. dedotto l’aliunde perceptum, l’importo mensile lordo di Euro 1.545,16, a decorrere dal 25/3/2009, oltre accessori e spese di lite.

Per la cassazione della predetta sentenza ricorre la MAC S.p.A. sulla base di quattro motivi.

L’ A. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 276 del 2003, art. 86, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., rappresenta che la fattispecie ricade sotto la disciplina della norma transitoria in materia di somministrazione contenuta il D.Lgs n. 276 del 2003, art. 86, comma 3, norma in forza della quale “in relazione agli effetti derivanti dall’abrogazione delle disposizioni di cui alla L. n. 196 del 1997, artt. da 1 a 11, (precedente disciplina del lavoro interinale), le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. A della medesima legge e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto mantengono, in via transitoria, e salvo diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro, con esclusivo riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze di carattere temporaneo che consentono la somministrazione del lavoro a termine” e che, al momento di entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003 (24/10/2003) la società ricorrente applicava il CCNL Metalmeccanici industria privata del 7/10/2003, alla cui stregua era possibile ricorrere al lavoro interinale anche nel caso di “punte di più intensa attività, cui non possa farsi fronte con il ricorso ai normali assetti produttivi, connesse a richieste di mercato derivanti dall’acquisizione di commesse o dal lancio di nuovi prodotti o anche indotte dall’attività di altri settori. Ciò premesso, la società lamenta che la sentenza della Corte di merito non eliminerebbe l’onere di specificazione dei motivi di ricorso alla somministrazione, derivante dal richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 22, alla disciplina prevista per il contratto a termine dal D.Lgs. n. 368 del 2001, in particolare per quanto riguarda l’art. 1, comma 2, che prevede l’onere di specificare le ragioni di apposizione del termine.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 codice di rito, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., e, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione, lamentando che il giudice di secondo grado ha ritenuto che non potesse essere risolto il contratto per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 c.c., essendosi la società appellata limitata, a suo dire, a fondare la propria pretesa sui 17 mesi trascorsi dalla data di cessazione a quella di deposito del ricorso, non ravvisando pertanto un comportamento incompatibile con la volontà di mantenere fermo il vincolo negoziale.

3. Con il terzo mezzo di impugnazione si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte d’Appello ha ritenuto che nella fattispecie il legislatore del 2003 avrebbe operato un rinvio alla disciplina del contratto di lavoro a termine quanto al requisito della specificità dei motivi come requisito essenziale del contratto di lavoro di somministrazione, lamentando che, secondo la sentenza impugnata, in caso di mancata osservanza di tale condizione, come è avvenuto nel caso in questione, la conseguenza non potrebbe che essere quella della instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice.

4. Con il quarto motivo si denuncia la falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 414 c.p.c. e del D.Lgs n. 276 del 2003, art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e si lamenta che la Corte di merito ritenga che la illegittimità del contratto di lavoro in somministrazione determini la conversione di quest’ultimo contratto in un contratto di lavoro a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice e che la conclusione cui giunge la corte sia il portato necessario dell’impostazione secondo la quale alla somministrazione di lavoro trova applicazione la disciplina in materia di contratto di lavoro a termine.

2.1 Il primo motivo è inammissibile perchè non palesa in modo compiuto quale sia l’effettiva doglianza in grado di scalfire le argomentazioni su cui si fonda la sentenza della Corte di merito. Ed invero, a fronte del percorso motivazionale ineccepibile dei giudici di secondo grado in ordine alla corretta lettura del combinato disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003 e della disposizione contrattuale, che richiede che nella motivazione a supporto del contratto di somministrazione a tempo determinato occorra individuare quali siano le punte di più intensa attività che giustifichino l’assunzione temporanea del lavoratore, del tutto generiche ed astratte appaiono le censure della parte ricorrente, in violazione del principio più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della pare ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass., S.U., n. 8077/12; Cass. n. 14541/2014, cit.). Il ricorso per cassazione deve, pertanto, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 1435/2013; Cass. n. 23675/2013; Cass. n. 10551/2016).

Inoltre, nel ricorso neppure è stato allegato il CCNL Metalmeccanici Industria Privata del 7/5/2003 cui la società fa espresso riferimento a sostegno dei propri assunti.

2.1 Il secondo motivo è infondato.

Invero, come pure sottolineato nella sentenza della corte di merito, alla stregua dei consolidati arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità “Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessaria che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua della modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (cfr., tra le molte, Cass. nn. 2279/10; 19425/09; 4844/09). E, come ben messo in evidenza dai giudici di appello, non è rimasto delibato che sussistesse una volontà certa e chiara dell’ A. di risolvere il rapporto di lavoro intercorrente con la MAC S.p.A..

3.1 – 4.1 Parimenti infondati risultano il terzo ed il quarto mezzo di impugnazione, il primo dei due in quanto non coglie nel segno l’oggetto del giudizio e non risulta centrato rispetto alla decisione oggetto del presente giudizio. Ed infatti la società afferma che il richiamo operato dai giudici di secondo grado al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 22, sarebbe del tutto irrilevante in quanto l’elemento centrale della fattispecie non sarebbe il rapporto di lavoro ma il contratto commerciale; e sostiene che la compatibilità delle norme riguardanti la disciplina del contratto a termine andrebbe verificata non con il contratto di lavoro somministrato ma con il contratto commerciale in quanto sarebbe quest’ultimo elemento il fulcro del rapporto di lavoro, senza porre l’attenzione sul fatto che nel contratto di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore d’opera è soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, con la conseguenza che il rapporto di lavoro, per essere regolarmente costituito, deve rispettare tutti i requisiti formali previsti da tale normativa, ivi inclusa la specificità delle causali apposte quali motivo di ricorso al lavoro temporaneo anzichè a tempo indeterminato.

Il quarto motivo viene automaticamente travolto dal rigetto del terzo, essendo ad esso strettamente collegato anche in termini di prospettazione. Lo stesso attiene, peraltro ad una questione non sviluppata nei gradi di merito e non corretta in quanto il contratto di cui si tratta è stato regolarmente impugnato, come è dato riscontrare dalle conclusioni del ricorso introduttivo del giudizio.

Pertanto corretta è stata la dichiarazione di illegittimità del contratto di lavoro somministrato, con conseguente riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Con la M.A.C. s.p.a., ed infine, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, l’indagine giudiziale è stata correttamente incentrata sul contratto di lavoro somministrato, l’unico nella materiale disponibilità del lavoratore. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore dell’avv. Roberto Carapelle, dichiaratosi antistatario, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge, da distrarsi.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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