Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6292 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2022, (ud. 23/12/2021, dep. 25/02/2022), n.629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22321-2017 proposto da:

ISTITUTO SACRA FAMIGLIA I.P.A.B., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PO 24, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TRILLO’, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato ARNALDO MIGLINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARMINE FRANCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3059/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/07/2017 R.G.N. 3529/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/12/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI DI PAOLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Roma con la quale era stata rigettata la domanda di L.D. volta al conseguimento di differenze retributive in ragione del dedotto rapporto di lavoro intercorso con l’Istituto Sacra famiglia I.P.A.B.”, è stata accertata la natura subordinata del rapporto in questione per il periodo dal 1 febbraio 2004 al settembre 2010, con conseguente condanna dell’Istituto a corrispondere al lavoratore le differenze retributive in applicazione del c.c.n.l. comparto autonomie locali “ratione temporis” vigente;

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’Istituto Sacra famiglia I.P.A.B.”, affidato a cinque motivi;

L.D. ha resistito con controricorso;

le parti hanno entrambe depositato memoria;

il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo l’Istituto ricorrente – denunciando nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e con riferimento all’art. 2126 c.c. e al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 – si duole che il giudice del gravame, accogliendo il terzo motivo di appello, abbia applicato l’art. 2126 c.c., benché in primo grado il lavoratore avesse chiesto tutte le retribuzioni dovutegli a titolo di giusta retribuzione per il periodo successivo al 24 gennaio 2011 e, nel successivo grado, avesse chiesto la condanna alle pretese retributive ai sensi dell’art. 36 Cost. quale diretta conseguenza della conversione dei contratti di collaborazione a termine in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

con il secondo motivo – denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in subordine omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, artt. 2697,1223,1227 e 2126 c.c., artt. 434 e 436 c.p.c., art. 12 cpv. preleggi, e art. 3 Cost. – lamenta, in primo luogo, che il predetto giudice abbia stabilito la misura del danno risarcibile senza tenere conto della corresponsabilità del lavoratore, il quale ha consentito il costante dispiegarsi del reiterato ricorso nel tempo a contratti di collaborazione autonoma senza alcuna reazione; in secondo, che non avrebbe dovuto individuare detta misura nella differenza algebrica “tra percepito ed astrattamente percependo” sulla base del ccnl di riferimento, pena la violazione del diritto di uguaglianza rispetto alla fattispecie del contratto di lavoro pubblico a termine illegittimo;

con il terzo motivo – denunziando nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 345,434 e 436 c.p.c., con riferimento all’art. 112 c.p.c. – si duole che la Corte territoriale non si sia pronunciata sull’eccezione di inammissibilità di alcune domande nuove formulate con il ricorso in appello, concernenti la natura dell’Istituto nonché l’accertamento della subordinazione;

con il quarto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in tema di prova costituita, con riferimento agli artt. 1362,1363 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. – lamenta che la predetta Corte non abbia congruamente apprezzato la documentazione (tra cui una lettera, peraltro non sottoscritta, di “controllo” e una nota recante “criteri di distribuzione dei turni del personale educativo”) allegata dall’appellante, dalla quale non avrebbe potuto inferirsi il carattere della subordinazione riconosciuto in sentenza, ove, peraltro, difetterebbero esame ed analisi anche impliciti, a raffronto, della documentazione allegata da esso ricorrente;

con il quinto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in tema di prova “costituenda”, con riferimento agli artt. 1362,1363 e 2697 c.c., artt. 115,116 e 246 c.p.c. e 34 del ccnl autonomie locali – si duole dell’omessa, incongrua, parziale o contraddittoria valutazione della prova testimoniale.

Ritenuto che:

il primo ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto logicamente connessi, vanno disattesi, poiché, in primo grado (come risulta dalla stessa sentenza impugnata), il lavoratore ebbe a richiedere, tra l’altro, la condanna della parte convenuta a corrispondergli tutte le somme dovutegli per il periodo dal 1 ottobre 2002 al 31 dicembre 2010 – o in subordine per il periodo dal 1 ottobre 2002 al 31 dicembre 2008 – a titolo di giusta retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., dell’art. 2099 c.c. e della contrattazione collettiva di categoria per la quantità e qualità del lavoro svolto; in secondo grado, il lavoratore medesimo ebbe a lamentare l’errato mancato riconoscimento del vincolo della subordinazione e del residuale diritto al risarcimento del danno; sicché non è riscontrabile il vizio di extrapetizione fatto valere dall’Istituto ricorrente (né la dedotta omessa pronuncia sulle eccezioni proposte, al riguardo, in appello), essendovi correlazione tra fatti costitutivi posti a base della pretesa e pronunzia, a nulla valendo la non coincidenza della mera qualificazione giuridica del titolo della pretesa in questione;

il secondo motivo è inammissibile perché non si confronta, sul punto, con la decisione, nella quale risulta operato un ordinario giudizio di adeguamento retributivo derivante dall’accertamento del requisito della subordinazione, con esclusione – della quale non può ovviamente dolersi l’Istituto ricorrente – di ogni risarcimento “ulteriore”;

anche il quarto ed il quinto motivo, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono da disattendere, poiché le conclusioni cui il giudice del gravame è pervenuto non risultano sganciate dal materiale istruttorio esaminato, la cui valutazione sfugge al sindacato di legittimità (cfr., sul punto, di recente, Cass. 19/07/2021, n. 20553, ove è statuito che “La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito”; in senso conforme, v. Cass. 01/06/2021, n. 15276: “In tema di ricorso per cassazione, esula dal vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità”; inoltre, in Cass. 09/06/2021, n. 16016, è precisato che “per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.”; e, ancora, in Cass. 29/10/2018, n. 27415, è puntualizzato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie);

nel caso, nella sentenza impugnata sono state evidenziate, ai fini del complessivo giudizio, le fonti di prova ed illustrato il loro contenuto, da cui il giudice del gravame ha tratto il proprio convincimento, pervenendo al riconoscimento, nel caso, del requisito della subordinazione sulla scorta di vari elementi (sussistenza di richiami verbali in caso di mancata presenza alle riunioni, segnalazioni scritte in caso di violazione della compilazione, ad opera dell’educatore, del materiale di bordo, esistenza di lettera di controllo con evidenziazione dell’inosservanza di turni festivi, turnazioni non rimesse alla libera iniziativa degli educatori ma regolate secondo direttive fornite dai responsabili dell’Istituto, mancata libertà nelle sostituzioni nei turni – dovendo la scheda cambio turno essere inviata alla direzione -, obbligo degli operatori di trattenersi oltre l’orario del proprio turno in caso di ritardo del collega del turno successivo, esistenza di un continuo controllo da parte della direzione sull’attività espletata dagli operatori, necessario rispetto, ad opera degli educatori, del “Regolamento educatori” e del documento denominato “Ruolo e competenze dell’Educatore”, che sancivano in modo pregnante compiti, comportamenti, servizi, attività e quanto altro gli educatori erano obbligati a fare, obbligo degli educatori di redazione di due relazioni e di partecipazione a due riunioni mensili, intervento della direzione nel dare indicazioni per la risoluzione di problemi, obbligo di compilazione di un “diario di bordo” sottoposto al controllo e verifica del supervisore tecnico, svolgimento di attività di affiancamento e formazione di nuovo personale e del controllo del budget, non strettamente rispondenti a quella di educatore indicata nei contratti di collaborazione formalmente stipulati tra le parti), con valutazione cui l’Istituto ricorrente, come sopra visto, contrappone inammissibilmente la propria mediante una diversa lettura del materiale probatorio;

non può incidere sulla sopra delineata prospettiva l’ordinanza (Cass. 19/01/2021, n. 812) prodotta in giudizio ed avente ad oggetto controversia analoga a quella in esame, con la quale è stata confermata la sentenza di appello favorevole all’Istituto;

infatti, il giudizio di cassazione, arrestandosi, in conformità ai motivi tassativamente indicati dalla legge, ai profili evidenziati in ricorso, ben può condurre ad un esito difforme rispetto ad altro, pur in relazione a vicende similari, in ragione di censure diverse in cui venga prospettata una determinata ricostruzione della vicenda fattuale (cfr., tra le altre, Cass. 16/03/2021, in motivazione, ove è affermato che l’oggetto del sindacato di legittimità non è – o non immediatamente – il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate dall’art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte ricorrente, derivandone che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali, ma si tratta di esiti non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare natura del controllo di legittimità, ancor più da quando il legislatore ha inequivocabilmente orientato il giudizio di cassazione nel senso della preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo progressivamente gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro apprezzamento);

le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna l’Istituto Sacra famiglia I.P.A.B.” al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da distrarsi a favore del difensore Carmine Francia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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