Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6288 del 15/03/2010

Cassazione civile sez. I, 15/03/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 15/03/2010), n.6288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.G., con domicilio eletto in Roma, via Ludovisi n.

35, presso l’Avv. Arietta Cozzi, rappresentato e difeso dall’Avv.

Baldissini Rocco come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il 19 settembre 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 27 gennaio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.G. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, previa revocazione di una precedente pronuncia, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Luigi Salvato con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La relazione depositata è del seguente letterale tenore:

“1.- Il primo motivo denuncia violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, p.1, e art. 13 CEDU, artt. 111 e 117 Cost., artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), ponendo le seguenti questioni, in relazione alle quali richiama sentenze di questa Corte:

la durata andava fissata facendo riferimento all’anno di deposito del ricorso (1972 e non 1977);

i parametri relativi alla durata ragionevole ed alla misura dell’indennizzo fissati dalla Corte EDU sono vincolanti;

ai fini della liquidazione dell’indennizzo occorre tenere conto dell’intera durata del giudizio e non solo del periodo eccedente la durata ragionevole.

Infine, è formulato quesito di diritto diretto ad affermare che:

è illegittimo il mancato richiamo nel decreto impugnato e la mancata valutazione ai criteri della Cedu sia ai fini della determinazione della durata complessiva del procedimento che del quantum debeatur;

ai fini della quantificazione dell’indennizzo occorre avere riguardo all’intera durata del giudizio e fissare la durata ragionevole del giudizio avendo riguardo alla complessità del caso.

1.1.- Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) nella parte in cui il decreto ha valorizzato la mancata presentazione dell’istanza di discussione, ha enfatizzato la tenuità della somma oggetto della controversia (L. 63.700, senza considerare, da un canto, che era stata contestata proprio l’esiguità della somma riconosciuta, dall’altro che detta somma era anche rilevante all’epoca dei fatti e, comunque, l’entità della posta in gioco non può fare escludere il diritto all’indennizzo).

Il motivo, benchè denuncia vizio di motivazione, si conclude con un quesito di diritto, per poi proseguire richiamando sentenze della Corte Europea per dedurre la carenza della motivazione in ordine alla fissazione della durata ragionevole e della misura dell’indennizzo, siccome difformi in tali punte dall’orientamento della Corte EDU. 1.3.- Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, p.1, artt. 13 e 17 CEDU, artt. 111 e 117 Cost. e si conclude con quesito di diritto che pone le seguenti questioni:

a) le norme della CEDU e le sentenza della Corte EDU sono vincolanti e le norme della lege n. 89 del 2001 in contrasto con le prime vanno disapplicate;

b) la CEDU può essere direttamente applicata;

c) dica questa Corte se la L. n. 89 del 2001 sia da considerarsi rimedio effettivo ed adeguato.

1.4.- Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., dell’art. 11 c.p.c. e difetto di motivazione, concludendosi con quesito di diritto volto a conoscere se il decreto sia erroneo nella parte in cui non ha riconosciuto gli interessi legali dalla domanda.

2.- I mezzi, da esaminare congiuntamente, sono in parte manifestamente fondati e vanno accolti per quanto di ragione, entro i termini e nei limiti di seguito precisati.

In ordine al terzo motivo, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004). In termini analoghi è il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che, contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo, ha affermato che al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme.

Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione alle prime due questioni poste con il quesito del terzo mezzo, essendo inconferente, quindi inammissibile, la terza.

Relativamente alla durata ragionevole, va osservato:

la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma la quale, stabilendo che il giudice deve accertare la esistenza della violazione considerando la complessità della fattispecie, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonchè quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione, impone di avere riguardo alla specificità del caso che egli è chiamato a valutare, quindi la violazione del principio della ragionevole durata del processo va dunque accertata all’esito di una valutazione degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (ex plurimis, Cass. n. 8497 del 2008; n. 25008 del 2005; n. 21391 del 2005; n. 1094 del 2005; n. 6856 del 2004; n. 4207 del 2004);

il parametro della Corte EDU (rispettivamente, anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità) va osservato dal giudice nazionale, e da esso è possibile discostarsi, purchè in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta Legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass. Sez. un, n. 1338 del 2004; in seguito, cfr. le sentenze sopra richiamate).

Relativamente alla misura dell’indennizzo, va ribadito che: i criteri di determinazione del quantum della riparazione del danno non patrimoniale applicati dalla Corte Europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, quindi occorre osservare il parametro oscillante da Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno di ritardo, avendo la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante, compreso la mancata attivazione di strumenti sollecitatori, in quanto condotta espressiva di scarso interesse per la controversia; per tutte, Cass., n. 1630 del 2006; n. 1631 de 2006; n. 19029 del 2005; n. 19288 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006);

resta, invece, escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma, arbitrariamente assunta in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia;

la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo: mentre, infatti, per la CEDU l’importo assunto a base del computo in riferimento ad un anno va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

In questi termini sono t principi che vanno enunciati in riferimento ai quesiti posti con il primo ed il secondo motivo, che conducono a ritenere fondata la censura nella parte in cui il decreto ha affermato la violazione del termine di durata ragionevole del giudizio e, tuttavia, non ha con la dovuta precisione indicato quale dovesse essere la durata ragionevole del giudizio presupposto, apprezzato alla luce del parametro della Corte EDU e della specificità del caso, senza precisare quale fosse il dies a quo del medesimo e le ragioni per le quali non ha tenuto conto della data di presentazione del ricorso.

Entro questi limiti le censure vanno accolte – assorbito il quarto mezzo – il decreto cassato e la causa rinviata alla stessa Corte d’appello, affinchè proceda, in diversa composizione, al riesame della controversia, arttenendosi ai principi sopra enunciati, procedendo anzitutto ad accertare quale fosse il termine di durata ragionevole del giudizio, provvedendo anche in ordine alle spese di questa fase.

Pertanto, sussistono le condizioni per la decisione del ricorso in camera di consiglio”.

Ritiene il Collegio di dover condividere le motivazioni della riportata relazione e le conclusioni nella stessa prospettate con conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio della causa, anche per le spese, alla stessa Corte d’appello in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2010

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