Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6288 del 14/03/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 14/03/2018, (ud. 09/11/2017, dep.14/03/2018),  n. 6288

Fatto

Con sentenza del 25/11/2009 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha respinto il gravame interposto dalla contribuente società Pfizer Italia s.r.l. in relazione alla pronunzia C.T.P. Roma 19/2/2008, di parziale accoglimento dell’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso avente ad oggetto la rettifica a fini Irpeg ed Iva per l’anno d’imposta 2003.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la società Pfizer Italia s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Con requisitoria scritta del 16/10/2017 il P.G. presso questa Corte ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, D.M. (Ministero della salute) 14 giugno 2002, art. 5, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la CTR abbia erroneamente ritenuto assoggettate ad autorizzazione le spese sostenute per la pubblicità e la propaganda di medicinali veterinari, laddove trattandosi di pubblicità a mezzo stampa non è dal D.M. (Ministero della salute) 14 giugno 2002, art. 5 richiesta alcuna autorizzazione.

Il motivo è p.q.r. fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

E’ rimasto dai giudici di merito accertato che trattasi nella specie di prodotti veterinari con obbligo di ricetta, sicchè – come posto in rilievo dal P.G. nella propria requisitoria scritta- non viene in rilievo la disciplina concernente la previa specifica autorizzazione del Ministero della salute prevista per la pubblicità dei medicinali viceversa liberamente vendibili.

Per i prodotti veterinari con obbligo di ricetta ai sensi del D.M. (Min. salute) 14 giugno 2002, art. 1, comma 2, è invero senz’altro vietata ogni forma di messaggio pubblicitario.

La violazione di siffatto divieto integra peraltro ai sensi del D.M. (Min. salute) 14 giugno 2002, art. 6 un mero illecito amministrativo, sicchè le spese al riguardo sostenute sono deducibili. atteso che in base alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis nella formulazione ratione temporis applicabile (anteriormente cioè alla relativa sostituzione operata dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1) l’indeducibilità dei costi e delle spese è limitata a fatti, atti o attività integranti reato (“Nella determinazione dei redditi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1 non sono ammessi in deduzioni i costi e le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato…”) (cfr. Cass., 28/12/2017, n. 31059; Cass., 4/3/2013, n. 5342; Cass., 20/06/2012, n. 10167).

A tale stregua, nell’escludere la deducibilità delle spese di pubblicità sostenute dall’odierna ricorrente in ragione della ravvisata violazione del citato D.M. (Min. salute) 14 giugno 2002 in ipotesi come nella specie non integrante reato bensì mero illecito amministrativo il giudice dell’appello ha invero violato la suindicata norma.

Con il 2 motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la CTR abbia erroneamente ritenuto che le spese per “migliorie straordinarie effettuate sull’immobile di terzi condotto in locazione” vadano commisurate all’intera durata del contratto di locazione, ivi ricompreso il periodo di rinnovo sessennale, anzichè limitatamente al primo sessennio, laddove le spese come nel caso relative a più esercizi sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio.

Il motivo è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, la deducibilità delle spese relative a più esercizi è subordinata, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 3, all’indicazione degli specifici criteri cui commisurare la durata dell’utilità del bene, al fine di stabilirne la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (v. Cass., 19/6/2009, n. 14326).

A differenza del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 2, la suindicata norma di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 3 non prevede invero alcuna tipizzazione dei criteri di esposizione di tali componenti negativi del reddito, con la conseguenza che la ripartizione pluriennale non può aver luogo semplicemente applicando i criteri legali stabiliti per gli ammortamenti ma l’impresa (il contribuente) ha l’onere di indicare criteri specifici commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (v. Cass., 10/4/2006, n. 8344).

Con particolare riferimento a spese per manutenzione e riparazioni nonchè ad opere e migliorie, e in particolare il rifacimento di impianti elettrici ed idraulici degli immobili condotti in locazione, si è da questa Corte precisato che i costi di natura straordinaria al riguardo dal conduttore sopportati in vista della relativa utilità pluriennale ai sensi dell’art. 2426 c.c., comma 1, n. 5, possono (previo consenso del collegio sindacale, ove esistente) essere iscritti nell’attivo, anzichè essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito di esercizio in cui sono sostenuti, ove la società ritenga, in base ad una scelta fondata su criteri di discrezionalità tecnica, di capitalizzarli in vista di un successivo ammortamento pluriennale anzichè far gravare i costi interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti (v. Cass., 6/11/2013, n. 24939), sulla base dell’indicazione di specifici criteri, commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (v. Cass., 10/4/2006, n. 8344).

In quest’ultimo caso, in presenza di un piano di ammortamento redatto in relazione alla durata contrattuale della locazione deve tenersi allora conto soltanto della prima scadenza, e non anche del periodo di rinnovo, in quanto commisurata alla possibilità di utilizzazione delle opere in oggetto.

Non è pertanto legittima la ripresa a tassazione da parte dell’A.F. in ragione dell’assunto che la contribuente avrebbe dovuto viceversa considerare la rinnovazione automatica del contratto, e dunque la durata comprensiva del primo periodo di rinnovo (v. Cass., 13/1/2016, n. 382).

Orbene, a fronte di piano di “ammortamento” dall’odierna ricorrente predisposto in relazione al relativo previsto utilizzo calcolato sulla base di un seiennio, nell’affermare che le “spese di manutenzione straordinaria riferite a beni che non sono di proprietà dell’impresa, ma che sono dalla stessa posseduti in base ad altro titolo (affitto, leasing, comodato, ecc.) e che per tale motivo non risultano nel registro dei beni ammortizzabili, debbono essere iscritte nell’attivo dello Stato Patrimoniale e se esistono situazioni obiettive che fanno ritenere che il contratto sarà rinnovato. anche il periodo di rinnovo deve essere considerato nel determinare la durata dell’ammortamento”, sicchè essendo nella specie “previsto il rinnovo tacito per altri sei anni” e non risultando “motivi, prospettati dalla società, che facciano ritenere che lo stesso non sarà rinnovato, il periodo di tempo cui commisurare l’ammortamento è di 12 anni (sei anni più il rinnovo di sei) e non sei come operato dalla società”, il giudice dell’appello ha nell’impugnata sentenza invero disatteso (anche) il suindicato principio.

Con il 3^ motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1362 e 1363 c.c.. D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: nonchè contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che siano state erroneamente ritenute non inerenti le spese sostenute per il “distacco temporaneo di personale”, senza tenere conto dell’accordo contrattuale al riguardo “intercorso tra la società verificata (Fort Dodge Animal Health s.p.a.) e la società olandese AHP manufacturing BV (Fort Dodge Animai Holland)”.

Il motivo è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema d’imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 75 (ora 109), va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – sicchè il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (v. Cass., 11/8/2017, n. 20049; Cass., 27/2/2015, n. 4041; Cass., 21/1/2009, n. 1465).

Si è al riguardo precisato che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), comma 5 (riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ma dalla nozione di reddito d’impresa, stante la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (v. Cass., 11/1/2018, n. 450).

Orbene, a fronte della clausola contrattuale – dall’odierna ricorrente debitamente riportata nel ricorso in ossequio al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – (secondo cui “FDAH Holland addebiterà mensilmente a FDAH spa un importo non eccedente il costo totale sostenuto dalla stessaFDAH Holland si impegnerà a fornire a FDAH spa il dettaglio dei documenti relativi ai costi addebitati. Tali addebiti saranno ridotti da eventuali somme pagate da FDAH spa per conto di FDAH Holland, come previsto all’art. 6, per necessità e facilitazioni amministrative”) dal cui tenore emerge evidente – come posto in rilievo anche dal P.G. nella sua requisitoria scritta – che le spese sostenute dalla società presso la quale è avvenuto il distacco di personale in argomento erano soggette a decurtazione in sede di riaddebito alla medesima dei costi sostenuti dalla società distaccante a tale titolo, nell’apoditticamente e cripticamente affermare che “la Fort Dodge ha direttamente rilevato il costo in contabilità e non lo ha ribaltato alla società olandese. La conseguenza è che detto fringe benefit non è stato addebitato al sig. C. e pertanto la società non può considerarlo fiscalmente deducibile”, nell’impugnata sentenza il giudice dell’appello non ha invero dato debitamente conto della soluzione adottata.

Con il 4^ motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 1; D.M. (Ministero della salute) n. 306 del 2001, art. 19, D.Lgs. n. 119 del 1992, artt. 31 e 32, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 5^ motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa e/o insufficiente” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole essere stata erroneamente ipotizzata “una presunzione di cessione dei beni, in quanto la società non avrebbe fornito la prova della consegna dei beni “campioni gratuiti” dagli agenti ai veterinari”, essendo viceversa essa tenuta a “dimostrare, ai tini tributari, così come è avvenuto, la sola consegna dei beni a terzi (agli agenti)”, e non anche “dimostrare la successiva consegna dei precedetti beni da parte degli agenti (terzi) ai dottori veterinari”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.

Ai sensi del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 1, comma 1, comma 2, lett. a) e comma 5, lett. b), si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, nè in quelli dei suoi rappresentanti.

Tra tali luoghi rientrano anche le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze. stabilimenti, negozi, depositi ed i mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa, a meno che risulti dimostrato che i beni in questione siano stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà.

La consegna dei beni a terzi a titolo non traslativo della proprietà può in via alternativa come risultare anche – come appunto nella specie – dal documento di trasporto previsto dal D.P.R. n. 472 del 1996, art. 1, comma 3, integrato con la relativa causale.

Orbene, dopo aver dato atto che l’odierna ricorrente “acquista i medicinali veterinari oggetto della propria attività che vanno ad incrementare la giacenza di magazzino e il cui costo viene rilevato in contabilità quale costo di esercizio, secondo le esigenze, preleva dal magazzino gli stessi beni destinati alla rivendita e fa apporre su di esso il timbro campione gratuito per essere utilizzati appunto quali “campioni”. In sostanza la società non acquista confezioni già predisposte a tal fine ma utilizza le confezioni complete, idonee alla vendita, per la loro distribuzione. Il timbro sulle confezioni viene apposto dalla soc. “Silvano Chiapparoli Logistica Spa” che rilascia fattura per il servizio ed i campioni vengono dalla società consegnati ai loro agenti e procacciatori. Detto passaggio è documentato dai documenti di trasporto”, il giudice dell’appello è nell’impugnata sentenza invero pervenuto alla conclusione che nella specie “la società non è stata in grado di dimostrare, documentalmente, la destinazione della merce”.

Ha al riguardo argomentato in particolare dalla circostanza della ravvisata mancanza di prova che gli agenti, cui i campioni gratuiti de quibus sono stati dall’odierna ricorrente consegnati. abbiano successivamente i medesimi a loro volta consegnato a medici veterinari iscritti all’albo, come richiesto al D.M. n. 306 del 2001, art. 19 recante “regolamento relativo alla distribuzione dei medicinali veterinari in applicazione del D.Lgs. n. 119 del 1992, artt. 31 e 32.

A tale stregua il giudice dell’appello ha peraltro gravato la contribuente odierna ricorrente di un incombente ulteriore rispetto a quanto previsto dalla normativa primaria sopra riportata, in base alla quale è sufficiente la consegna dei beni a terzi, a titolo non traslativo della proprietà; e che la stessa risulti anche solo dal documento di trasporto previsto dal D.P.R. n. 472 del 1996, art. 1, comma 3, integrato con la relativa causale, o con altro valido documento di trasferimento, non essendo invero che essa debba fornire altresì la prova dell’ulteriore avvenuta consegna da parte di tali terzi ai medici veterinari, come richiesto dalla suindicata norma regolamentare, trattandosi di fonte secondaria di attuazione inidonea a derogare quella primaria suindicata (D.M. sanità 16 maggio n. 306 (pubblicato in G.U. n. 173 del 27 luglio 2001) adottato come indicato anche nel preambolo – ai sensi della L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 3, successivamente abrogato D.Lgs. n. 193 del 2006, ex art. 120 di attuazione della Direttiva 2004/28/CE recante codice comunitario dei medicinali veterinari).

Alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto, erroneamente il giudice dell’appello è pertanto pervenuto alla raggiunta conclusione dando nel caso tra l’altro ingresso alla “presunzione di cessione (presunzione grave, precisa e concordante) D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d))”, la cui operatività ha tra l’altro apoditticamente esteso anche alla diversa imposta diretta in contestazione (IRPEG).

Dell’impugnata sentenza (assorbito il 6^ motivo, con il quale denunziando “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 62,in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente si duole dell'”illegittimità delle sanzioni contemplate nell’avviso di accertamento impugnato”) s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla C.T.R. Lazio, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi 5 motivi, assorbito il 6^. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla C.T.R. Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2018

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