Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6287 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.10/03/2017),  n. 6287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30301/2014 proposto da:

I.T., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Corte Suprema di Cassazione, rappresentato c difeso

dall’avvocato RODOLFO ROSSO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dell’avvocato

ANTONINO SGROI, unitamente agli avvocati EMANUELE DE ROSE, CARLA

D’ALOISIO, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 520/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. I.T. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino che, in accoglimento del gravame svolto dall’INPS, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno per avere il lavoratore aderito al piano di esodo volontario proposto dal datore di lavoro, Poste Italiane s.p.a., in base ad una errata comunicazione dall’IPOST sulla posizione contributiva;

2. per la Corte territoriale, sulla premessa che versandosi in ipotesi di responsabilità contrattuale l’interessato sarebbe stato tenuto a dimostrare il nesso causale fra evento dannoso ed errata indicazione fornitagli dall’ente, l’onere probatorio non era risultato assolto per non avere il lavoratore dato prova di avere consensualmente risolto il rapporto, in conseguenza dell’erronea indicazione della contribuzione risultante dal prospetto estratto dalla banca data dall’IPOST, ovvero che non avrebbe acconsentito a risolverlo, alla data del 31.12.2009, se avesse avuto consapevolezza dell’errore;

3. in definitiva per la Corte territoriale non era risultato alcun elemento testuale per ritenere che, nella decisione del lavoratore, avesse avuto incidenza determinante l’erronea indicazione contenuta nel prospetto e, perciò, la possibilità di accedere al trattamento pensionistico dal luglio 2011;

4. il ricorso, ulteriormente illustrato con memoria, e affidato a due motivi con i quali, deducendo violazione dell’art. 1218 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione (per vero richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3, in luogo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), il ricorrente reputa dimostrato, all’esito dell’istruttoria espletata, il nesso tra decisione di risolvere il rapporto e contribuzione ancora da versare e indicazione del periodo pensionistico;

5. l’INPS ha resistito con controricorso;

6. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

7. entrambe le censure si risolvono in una rilettura dei fatti di causa;

8. il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa ed assume, appunto, che “anche solo dall’esame del teste il nesso tra la decisione di risolvere il rapporto e la contribuzione ancora da versare, in base alle risultanze della stampa dei dati, è evidente e dimostrato proprio in base all’art. 1218 c.c.”;

9. la dedotta violazione si risolve nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, risultando così esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito:

10. anche il secondo mezzo d’impugnazione consiste in un argomentata rilettura dei fatti di causa e della documentazione prodotta, all’esito della quale si afferma che la motivazione della sentenza impugnata non troverebbe riscontro negli atti, e che la Corte di appello non avrebbe considerato o rettamente considerato determinati documenti e risultanze di causa;

11. pur con l’intitolazione del motivo conforme al testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, la parte critica, in realtà, la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo e dunque un caratteristico vizio motivazionale, non più censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, interpretato dall’arresto n. 8053 del 2014 delle S.U. di questa Corte ed ora confinato, sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, che ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

12. l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria);

13. il riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053/14 cit.);

14. nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale, sicchè non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente;

15. all’inammissibilità del ricorso segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo;

16. la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi) e di provvedere in conformità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2.700,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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