Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6280 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. I, 05/03/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CESARE Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. SCOTTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35677/2018 proposto da:

D.H., elettivamente domiciliato in Roma Via Giuseppe

Marcora 18/20, presso lo studio dell’avvocato Faggiani Guido che lo

rappresenta è difende unitamente all’avvocato Dalla Bona Roberto;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Milano, Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 13/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal cons. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso proposto da D.H. cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito di una vicenda privata, che lo avrebbe visto costretto a lasciare il paese per timore di essere ucciso dai familiari del vicino di casa, che lui aveva ferito dopo una lite per motivi di vicinato (il figlio dei vicini infastidiva il cane e il fratello del ricorrente gli aveva dato uno schiaffo).

Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi di ricorso. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte. Considerato che:

II ricorrente censura la decisione del Tribunale: (i) sotto un primo profilo, per violazione dell’art. 111 Cost. perchè il tribunale aveva erroneamente, deciso con il rito sommario, che è proprio della protezione internazionale, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, anche la domanda di protezione umanitaria, che è soggetta, invece, a regime ordinario di cognizione (con possibilità di reclamo e termini ordinari per l’impugnazione); (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, oltre che della Direttiva 2004/83/CE (recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, il tribunale erroneamente, non aveva riconosciuto i presupposti giuridici per il riconoscimento dello status di rifugiato, senza attivare officiosamente i poteri istruttori relativamente alla conoscenza della regione di provenienza sulla base delle fonti informative aggiornate; (iii) sotto un terzo profilo, per il vizio di nullità della sentenza e per quello di violazione di legge, in riferimento all’art. 111 Cost., al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e), oltre che alia Direttiva 2004/83/CE (recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007), per il mancato riconoscimento dei presupposti della protezione sussidiaria; (iv) sotto un quarto profilo, per violazione dell’avt. 5 comma 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998, oltre che alla Direttiva 2004/83/CE (recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007), dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8CEDU, in quanto, erroneamente il Tribunale, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti. della protezione umanitaria, sulla base degli stessi motivi di diniego della protezione internazionale,, senza un’autonoma vantazione delle situazioni di vulnerabilità, alla luce di una valutazione comparativa, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani “al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello stato della dignità personale”; (v) sotto un quinto profilo, per nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e per violazione di legge, in particolare, dell’art. 111 Cost., dell’art. 6Cedu e dell’art. 101 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto, il tribunale aveva acquisito autonomamente le fonti informative, senza sottopone al contraddittorio preventivo con le parti, non avendo tutte lo stesso grado di attendibilità con conseguente ampio margine d’interpretazione da parte di chi le utilizza.

Il ricorrente solleva, altresì, questione d’illegittimità costituzionale, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, perchè nella parte in cui consentirebbe la consultazione officiosa delle fonti informative da parte del giudice senza previa instaurazione del contraddittorio con le parti, andrebbe a ledere il diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost.. Il primo motivo è infondato, infatti, secondo Cass. n. 16458/19, qualora sia stata proposta esclusivamente la domanda di protezione umanitaria, la competenza per materia appartiene alla sezione specializzata del Tribunale in composizione monocratica, che giudica secondo il rito ordinario ex artt. 281-bis c.p.c. e ss. o, ricorrendone i presupposti, secondo il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis c.p.c. e ss. e pronuncia sentenza o ordinanza impugnabile in appello, atteso che il rito previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, con le peculiarità che lo connotano (composizione collegiale della sezione specializzata, procedura camerale e non reclamabilità del decreto), ha un ambito di applicazione espressamente limitato alle controversie di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e a quelle relative all’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino.

La presente vicenda, tuttavia, non ha visto la proposizione della sola domanda di protezione umanitaria, ma vi è stata richiesta di tutte le forme di protezione internazionale.

Ma in tal caso, secondo Cass. n. 9658/19, richiamata dalla stessa Cass. n. 16458 cit, ” (…)..qualora le azioni dirette ad ottenere le protezioni internazionali tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento di quella atipica (protezione umanitaria) siano state contestualmente proposte con un unico ricorso, per libera e autonoma scelta processuale del ricorrente, trova comunque applicazione per tutte le domande connesse e riunite, il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art, 35 bis davanti alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale, in ragione della profonda connessione, soggettiva ed oggettiva, esistente tra le predette domande e della prevalenza della composizione collegiale del Tribunale in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c.. Occorre inoltre tener conto, nella stessa prospettiva delineata, di alcuni fondamentali principi e valori che corroborano la conclusione: in primo luogo, il carattere unitario dell’accertamento dei presupposti dei vari tipi di tutela, che normalmente richiede l’indagine officiosa circa le medesime realtà socio-politiche del Paese di origine;

in secondo luogo, la fondamentale esigenza di evitare contrasto di giudicati, in considerazione del rapporto di sussidiarietà e conseguente relativa residuante reciproca che connota le tre forme graduate di protezione, che attuano ed esauriscono nel nostro ordinamento il diritto di asilo costituzionale ex art. 10 Cost., comma 3; in terzo luogo, il principio della ragionevole durata del processo, che impone una soluzione interpretativa che eviti le duplicazione di accertamenti processuali e i ritardi connessi alle inevitabili relazioni di pregiudizialità tra i processi celebrati separatamente (…)”.

Perciò, rilevato come la domanda di protezione umanitaria era nel caso di specie, fin dall’inizio, subordinata ed accessoria rispetto alle altre domande di protezione internazionale, in virtù del principio della “concentrazione processuale” la domanda accessoria doveva necessariamente seguire il rito di quella principale.

Il secondo motivo è infondato, in quanto, sulla base della vicenda narrata il tribunale ha accertato che la vicenda ha natura privata e non sono stati ritenuti sussistenti i presupposti della protezione internazionale, per l’assenza del rischio di persecuzione e/o discriminazione di carattere personale.

Il terzo motivo è infondato, in quanto il tribunale ha accertato, sulla base di fonti informative aggiornate che nel Punjab, la regione di provenienza del ricorrente, non emerge alcuna situazione di violenza indiscriminata.

Il quarto motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDI 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito).

Nel caso di specie, il giudice del merito ha accertato l’assenza di situazioni di vulnerabilità in capo al richiedente, ed, inoltre, l’inserimento socio lavorativo e la volontà di apprendimento non potevano giustificare i riconoscimento della protezione umanitaria. Il quinto motivo è infondato, in quanto, in tema di protezione internazionale, la ricerca delle fonti informative aggiornate è un obbligo officioso del giudice, che deve svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, ed inoltre, tali fonti d’informazione non appartenendo alla scienza privata del giudice, possono considerarsi “fatti notori” che sono a disposizione di chiunque e, quindi, anche delle parti private.

Infine, la questione di legittimità costituzionale, sollevata alla p. 7 del ricorso, in riferimento a tutte le norme ivi richiamate prima che manifestamente infondata è priva di dedsività nel presente giudizio, in quanto, la raccolta officiosa delle fonti informative da parte del giudice in tema di protezione internazionale, non richiede alcun previo contraddittorio, trattandosi di “fatti notori” che il giudice del merito è tenuto a consultare in ottemperanza a un preciso obbligo di legge. La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

Poichè il ricorrente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato non paga il doppio del contributo unificato.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si da atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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