Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6279 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. I, 24/02/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4587/2019 proposto da:

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore

avv. R.W., elettivamente domiciliata in Roma, Viale

Castrense n. 7, presso lo studio dell’avvocato Placidi Armando,

rappresentata e difesa dall’avvocato Zoff Ivan, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Impresa (OMISSIS) S.r.l. in Fallimento, in persona del curatore prof.

avv. P.L., elettivamente domiciliata in Roma, Via Sesto Rufo

n. 23, presso lo studio dell’avvocato Taverniti Bruno, rappresentata

e difesa dall’avvocato Marrocco Giuseppe, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE, del

15/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2022 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

SOLDI ANNA MARIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’avvocato Ivan Zoff, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’avvocato Giuseppe Marrocco, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Fallimento Impresa (OMISSIS) s.r.l. ha proposto opposizione, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. avverso il decreto di diniego di ammissione di un proprio credito chirografario di complessivi Euro 129.561,40, maturato in ragione di pagamenti eseguiti dalla società in bonis, in luogo di (OMISSIS) s.r.l., al fine di adempiere obbligazioni su quest’ultima gravanti.

2. – Ha sostenuto il Fallimento opponente che il credito vantato era sorto da un’operazione d’espromissione o, in subordine, aveva dato luogo ad un ingiustificato arricchimento, atteso che la società debitrice, poi fallita, aveva tratto vantaggio dai pagamenti effettuati da (OMISSIS) s.r.l..

3. – Nel contraddittorio con il Fallimento (OMISSIS) s.r.l., che ha resistito all’opposizione, il Tribunale adito, con decreto del 15 gennaio 2019, ha accolto l’opposizione, con riguardo alla domanda subordinata ex art. 2041 c.c., osservando che la ricorrente aveva provato il proprio credito, producendo documentazione che dimostrava i pagamenti eseguiti, pagamenti non inquadrabili nell’ambito dell’espromissione, ex art. 1272 c.c., ma riconducibili all’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., sicché l’opponente aveva diritto ad un indennizzo da quantificare in misura pari al vantaggio che (OMISSIS) s.r.l. aveva tratto dall’estinzione di obbligazioni nei suoi confronti.

4. – Per la cassazione del decreto (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per quattro mezzi.

5. – Ha resistito con controricorso il Fallimento Impresa (OMISSIS) s.r.l., depositando anche memoria.

6. – Con ordinanza del 22 luglio 2021, questa Corte ha disposto il rinvio della causa in pubblica udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., u.c. in assenza di precedenti concernenti l’applicabilità al procedimento di opposizione allo stato passivo del principio affermato da Cass., Sez. Un., 13 settembre 2018, n. 22404, secondo cui nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. – Il ricorso contiene quattro motivi.

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 93, 94, 95,96,98,99, artt. 113 e 345 c.p.c., avendo il Tribunale accolto l’opposizione allo stato passivo relativamente all’azione di indebito arricchimento, proposta per la prima volta nel ricorso ex art. 98 della legge.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 93, 94, 95,96,98,99, art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 2042 c.c., non avendo il Tribunale dichiarato inammissibile la domanda di arricchimento senza causa, proposta in subordine per la prima volta nell’atto d’opposizione, data la natura residuale dell’azione ex art. 2041 c.c.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 93, 94, 95,96,98,99, art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., poiché l’accoglimento dell’opposizione era stata decisa in mancanza della prova di un titolo dei pagamenti effettuati dalla curatela opponente.

Il quarto motivo denunzia violazione della L.Fall., artt. 93, 94, 95,96,98,99, art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 2697, per omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, poiché il Tribunale aveva erroneamente ritenuto non specificamente contestata da parte della curatela ricorrente la sussistenza dei crediti che il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. avrebbe estinto.

8. – Il primo mezzo è fondato.

8.1. – Il quesito al quale la Corte è chiamata a rispondere è se, nel procedimento di opposizione allo stato passivo, possa trovare applicazione il principio affermato da Cass., Sez. Un., 13 settembre 2018, n. 22404, secondo cui: “Nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta”. Tale principio si colloca a valle di Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, che, immutando il precedente orientamento, ha affermato che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio.

8.2. – Secondo la giurisprudenza del tutto prevalente di questa Corte, formatasi in riferimento all’art. 345 c.p.c., la domanda di arricchimento senza causa è nuova a fronte di quella di adempimento (Cass. 6 ottobre 1999, n. 11123; Cass. 9 marzo 2000, n. 2677; Cass. 24 maggio 2000, n. 6810; Cass. 29 marzo 2001, n. 4612; Cass. 27 novembre 2001, n. 15028; Cass. 6 dicembre 2002, n. 17335; Cass. 24 ottobre 2003, n. 16005; Cass. 2 dicembre 2004, n. 22667; Cass. 26 maggio 2004, n. 10168; da ult. nello stesso senso dell’inammissibilità Cass. 19 ottobre 2016, n. 21190; Cass. 9 febbraio 2021, n. 3058).

Questa impostazione è ampiamente richiamata e recepita nella stessa decisione del 2018 delle Sezioni Unite, le quali hanno però ritenuto che, nel quadro di applicazione dell’art. 183 c.p.c., il passaggio dalla domanda di adempimento a quella di ingiustificato arricchimento si atteggi quale “domanda modificata” nel contesto della medesima vicenda sostanziale, come tale ammissibile in conformità alla decisione delle Sezioni Unite del 2015; il che consente di tenere per fermo che l’una e l’altra domanda differiscono quanto a due degli elementi identificativi delle azioni, petitum e causa petendi.

8.3. – Nell’esaminare il quesito, vale allora anzitutto osservare che l’ammissibilità di domande nuove è confinata entro l’ambito del giudizio di primo grado, ed è destinata a collocarsi all’esordio della scansione processuale disciplinata dall’art. 183 c.p.c..

La decisione delle Sezioni Unite del 2015, difatti, nel procedere alla ridefinizione delle nozioni di mutatio ed emendatio, condotta in riferimento all’art. 183 c.p.c., ha già avuto modo di evidenziare che ciò non si ripercuote sulla disciplina dello ius novorum in appello, giacché, anzi, l’ampliamento degli spazi per la modificazione della domanda, ai sensi di detta disposizione, è motivato, tra l’altro, proprio sul differente dato testuale di essa, in cui non è dato rinvenire un esplicito divieto di domande nuove come quello riscontrabile nell’art. 345 c.p.c.. Sicché, anche dopo la decisione delle Sezioni Unite, è stata ribadita l’inammissibilità delle domande formulate per la prima volta in appello (Cass. 21 novembre 2017, n. 27566; per l’inapplicabilità in appello del principio formulato dalle Sezioni Unite v. pure Cass. 10 gennaio 2018, n. 535, in motivazione).

Parimenti, la pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 ha ribadito che il principio dell’ammissibilità di domande nuove con la prima memoria di cui all’art. 183 c.p.c., secondo il precedente del 2015, si fonda, tra l’altro, sull’assenza, in tale norma, di “un esplicito divieto di domande nuove nell’ambito dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. paragonabile a quello espresso dell’art. 345 c.p.c.”.

8.4. – Il procedimento di opposizione allo stato passivo, il quale mostra evidenti tratti di peculiarità, che non ne consentono la completa assimilazione ad alcuno dei procedimenti tipici regolati dal secondo e quarto libro del codice di rito, non si presta, così come l’appello, all’introduzione di domande nuove, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, più volte ribadito anche dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 2015.

8.5. – Si tratta difatti senz’altro di un procedimento di natura impugnatoria, secondo l’opinione stabilmente condivisa in giurisprudenza (Cass. 30 luglio 2021, n. 21991; Cass. 4 dicembre 2020, n. 27902; Cass. 10 maggio 2018, n. 11366; Cass. 3 novembre 2017, n. 26225; Cass. 13 settembre 2017, n. 21201; Cass. 30 novembre 2016, n. 24489; Cass. 17 febbraio 2015, n. 3110; Cass. 6 novembre 2013, n. 24972; Cass. 9 maggio 2013, n. 11026; Cass. 22 marzo 2013, n. 7278; Cass. 12 dicembre 2012, n. 22765; Cass. 4 luglio 2012, n. 11146; Cass. 8 giugno 2012, n. 9341; Cass. 4 giugno 2012, n. 8929; Cass. 18 maggio 2012, n. 7918; Cass. 23 marzo 2012, n. 4744; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677), oltre che ampiamente prevalente in dottrina.

8.6. – Il carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo è reso palese da una semplice constatazione: se non è proposta l’opposizione, il decreto del giudice delegato acquista la stabilità propria del giudicato, sia pure con i limiti del giudicato endofallimentare (di recente, su tali limiti, Cass. 3 dicembre 2020, n. 27709; Cass. 21 ottobre 2020, n. 22954), di guisa che, per rimuoverlo, occorre l’opposizione: opposizione dunque indispensabile per lo scopo di promuovere l’altrimenti precluso riesame del provvedimento, di natura indubbiamente giurisdizionale, adottato dal giudice delegato; opposizione da proporsi dinanzi ad un diverso giudice, il collegio, di cui non può far parte il giudice delegato (L.Fall., art. 99, commi 9 e 10), ad esclusiva iniziativa del soccombente, il quale abbia visto respinta la propria domanda di ammissione;

opposizione da proporsi entro un termine perentorio (art. 99, comma 1).

Sicché il testo della L.Fall., art. 99, comma 2, n. 3, secondo cui il ricorso in opposizione deve contenere “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione”, lungi dal denunciare un’improprietà di linguaggio, appare frutto di una scelta legislativa precisa e consapevole.

8.7. – Ciò detto, è cosa nota che, pur nella sua natura di rimedio impugnatorio, l’opposizione allo stato passivo non è assimilabile all’appello (tra le molte, da ultimo, a mero titolo di esempio, Cass. 30 luglio 2021, n. 21991, concernente l’inapplicabilità all’opposizione allo stato passivo e la sanzione di improcedibilità per mancata comparizione dell’appellante di cui all’art. 348 c.p.c.): ed è del resto ovvio che sia così, giacché l’appello segue ad un giudizio di primo grado a cognizione piena, ove pure svoltosi nelle forme del rito sommario di cognizione, da intendersi quale rito di cognizione soltanto semplificato, a mezzo del quale le parti hanno avuto modo di far integralmente valere, sotto ogni aspetto, le proprie domande ed eccezioni; ciò accade invece solo in parte nella fase della verifica dello stato passivo, sol che si consideri che il contraddittorio è sì assicurato, ma senza che sia prevista la costituzione del curatore con un difensore, essendo d’altronde la difesa tecnica del creditore solo eventuale, ed altresì che la fase di verifica si connota per la sommarietà della cognizione, sicché non è assimilabile ad un primo grado a cognizione piena (per la prima ricostruzione in tal senso in periodo post-riforme del 2005-2007 v. Cass. 11 settembre 2009, n. 19697).

Ciò però non intacca punto l’affermazione della natura impugnatoria del procedimento in discorso, anche se sovente pone l’interprete dinanzi all’esigenza di coprire gli spazi lasciati vuoti dalla scheletrica descrizione del suo funzionamento: per il che occorre “di volta in volta scrutinare la compatibilità di esse”, le regole dettate in materia di impugnazioni dagli artt. 323 c.p.c. e ss., “con lo strumento in questione, in ragione dalle sue particolari caratteristiche” (Cass. 1 giugno 2016, n. 11392, in motivazione), fermo restando che, considerato il carattere impugnatorio del rimedio, è proprio alla disciplina dell’appello che occorre porre mente, ove non emergano “ulteriori esigenze di specialità e di autonomia della procedura concorsuale che trovino nella relativa disciplina apposita e distinta regolamentazione” (Cass. 10 maggio 2018, n. 11366).

8.8. – Orbene, la certezza raggiunta in ordine al carattere impugnatorio del procedimento di opposizione allo stato passivo non è di per sé risolutiva della questione se nel procedimento possano essere proposte domande nuove.

Difatti non può in astratto escludersi che il legislatore possa prevedere congegni di gravame tali da prevedere l’introduzione di domande nuove. E tuttavia è un fatto che, nel sistema, le impugnazioni non consentono l’introduzione di domande nuove e che, in particolare, il procedimento tipico di impugnazione volto a denunciare così l’illegittimità, come l’ingiustizia della decisione impugnata, l’appello, non ha mai consentito l’introduzione di domande nuove, nelle diverse formulazioni succedutesi dell’art. 345 c.p.c., eccezion fatta per un ristretto numero di domande ammissibili in appello, in quanto, per così dire, meramente consequenziali, in tema di accessori e danni maturati dopo la sentenza impugnata.

Sicché, il riconosciuto carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo, in assenza della espressa previsione, nella L.Fall., art. 99, della facoltà dell’opponente di proporre domande nuove, è già di per sé indice significativo dell’inammissibilità delle stesse.

8.9. – E’ qui il caso di aggiungere, per completezza, anche se le considerazioni svolte in relazione al carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo escludono che essa possa essere ricondotta ad un giudizio di primo grado, che l’opposizione qui in discorso non è neppure assimilabile all’opposizione a decreto ingiuntivo, rilievo, questo, qui necessitato dall’affermazione, che si rinviene nella recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la facoltà di radicale mutatio attraverso la prima memoria di cui all’art. 183 c.p.c. troverebbe applicazione anche nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. 13 aprile 2021, n. 9668).

Ebbene, la distanza tra l’opposizione allo stato passivo e quella a decreto ingiuntivo è incolmabile, non soltanto perché nell’opposizione allo stato passivo il contraddittorio si dispiega fin dall’inizio del procedimento, mentre nel giudizio per decreto ingiuntivo è soltanto eventuale, ove l’ingiunto introduca l’opposizione; non soltanto perché l’opposizione allo stato passivo è intrapresa dal preteso creditore che ha visto respinta la sua domanda, mentre l’opposizione a decreto ingiuntivo è proposta dal debitore ingiunto, a fronte di un provvedimento che ha provvisoriamente accolto la domanda del creditore in monitorio; non soltanto perché il giudice che rilascia il decreto ingiuntivo può essere il medesimo dinanzi al quale si propone l’opposizione: la distanza è segnata soprattutto dal rito che disciplina il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, giudizio che “si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito”, ai sensi dell’art. 645 c.p.c., comma 2 a fronte del rito che disciplina il giudizio di opposizione allo stato passivo, regolato, invece, dalla L.Fall., art. 99.

8.10. – Si giunge, qui, a completare il ragionamento svolto in precedenza: l’ammissibilità di domande nuove in sede di opposizione a decreto ingiuntivo non discende soltanto dal carattere impugnatorio del rimedio, ma anche dalla positiva disciplina del mezzo, che non lascia spazio, se non per quanto espressamente previsto, allo ius variandi dell’opponente.

L’art. 99, comma 2, n. 3, stabilisce, come si è detto, che il ricorso deve contenere “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione e le relative conclusioni”. Già tale dato letterale evidenzia che l’atto introduttivo non è destinato ad ospitare domande, bensì solo circostanze di fatto ed argomenti in diritto finalizzati all’accoglimento dell’impugnazione, ossia “motivi”, censure dirette a sollecitare l’accoglimento della domanda che, nella fase giurisdizionale precedente, il giudice ha in tutto o in parte disatteso.

Ciò in perfetta aderenza con sistema delineato dalla L.Fall., artt. 93 e ss..

L’art. 93 stabilisce che la domanda di ammissione al passivo di un credito si propone con ricorso contenente la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo, e dunque il petitum, nonché la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda, e cioè la causa petendi che sostiene quel petitum. Si tratta, dunque, degli elementi caratterizzanti gli atti introduttivi delle domande proposte in procedimenti a cognizione piena, come accade nell’art. 163, comma 3, nn. 3 e 4, nell’art. 414, comma 2, nn. 2 e 3, nell’art. 702 bis, per il tramite del rinvio all’art. 163 c.p.c.: in questo caso la domanda introduttiva è collocata in una fase sommaria, ma deve essere dotata di quanto richiesto per dar corso alla eventuale successiva fase a cognizione piena.

Il successivo L.Fall., art. 94 soggiunge sotto la rubrica “Effetti della domanda”, che la domanda di cui all’art. 93 “produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento”, dal che si desume che è quella, prevista dall’art. 93, diretta alla insinuazione al passivo, la domanda che produce gli effetti suoi propri, effetti che si protraggono per la durata della intera procedura fallimentare e che non hanno modo di prodursi altrimenti, la qual cosa conferma che non vi è altra sede per la proposizione di una domanda nei confronti del fallimento al di fuori della previsione della L.Fall., art. 93.

L’art. 95, poi, prosegue affermando che il curatore, esaminate le domande di cui all’art. 93, depositato il progetto di stato passivo, “decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati”: dal che si desume ancora sia che la decisione si cristallizza in quella sede, obbedendo al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fatte salve le eccezioni rilevabili d’ufficio, sia che anche gli altri interessati, anzitutto gli altri creditori, devono poter interloquire sulle domande proposte.

L’art. 98 disciplina poi i rimedi contro lo stato passivo, ossia l’opposizione, che è data al creditore che ha visto disattesa la sua insinuazione e – è importante dire – si propone nei confronti del solo curatore; l’impugnazione, data al curatore e agli altri creditori, per contestare l’accoglimento della domanda di un creditore ammessa; la revocazione data anch’essa al curatore e ai creditori per attaccare in determinati casi provvedimenti sia di accoglimento che di rigetto. Anche quest’aspetto, già da solo dirimente, ineluttabilmente conferma, sul piano sistematico, che l’opposizione non può ammettere domande nuove dell’opponente, giacché su di esse gli altri creditori non potrebbero interloquire, come hanno invece diritto di fare secondo l’art. 95.

8.11. – Nel complesso, la ratio sottesa alla previsione di un procedimento così contratto, in cui giocano un rilievo sostanzialmente ultimativo gli atti introduttivi, che non consente ulteriori attività volte alla successiva definizione del thema decidendum e del thema probandum, che è radicalmente incompatibile con gli sviluppi scanditi dall’art. 183 c.p.c., e che è destinato a concludersi con un provvedimento assunto in forma di decreto, tale da esigere il minimo teorico del supporto motivazionale richiesto dalla Costituzione, è del tutto chiara: occorre che la decisione sulle opposizione allo stato passivo sia quanto più possibile semplificata e celere, senza che l’esigenza di celerità della decisione, sempre nel rispetto dell’art. 24 Cost., possa essere pregiudicata da complicazioni procedurali non indispensabili: ed è per questo che il procedimento di opposizione allo stato passivo non consente l’introduzione di domande nuove, finanche riconvenzionali (p. es. Cass. 8 febbraio 2019, n. 3778), sicché deve aversi per certo che il creditore, assunta la veste dell’opponente, non può proporre domande nuove, per aver consumato la sua chance all’atto dell’insinuazione.

Occorre che lo stato passivo trovi al più presto una definitiva stabilità, la quale è condizione indispensabile perché il procedimento fallimentare possa attingere il suo esito, questo il senso del procedimento apprestato dal legislatore per la definizione delle opposizioni allo stato passivo. Ma, se si ammettesse la proposizione di domande nuove con l’opposizione allo stato passivo, la stessa utilità della precedente fase verrebbe ad esserne travolta, dal momento che il creditore, se non altro in relazione alla medesima “vicenda sostanziale” che ha dato causa al sorgere del credito insinuato, potrebbe mutare radicalmente la causa petendi, costringendo il giudice a rifare ora lo scrutinio di fondatezza che egli ha già fatto nella fase di verifica.

8.12. – Un’ultima osservazione sembra opportuna. Da un duplice versante.

L’inammissibilità delle domande nuove in sede di opposizione allo stato si ricollega anche al funzionamento delle insinuazioni tardive di cui alla L.Fall., art. 101.

Ad esempio, tra i tanti possibili, è stato di recente detto che, in tema di ammissione al passivo fallimentare, la domanda di insinuazione tardiva è ammissibile se diversa, per petitum e causa petendi, rispetto a quella di insinuazione ordinaria, poiché il carattere giurisdizionale e decisorio del procedimento di verificazione del passivo esclude che, per il giudicato interno formatosi sull’istanza tempestiva, possa proporsi una nuova insinuazione per un credito, o una parte di esso, che sia stato in precedenza escluso dal passivo. (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4506, che ha ritenuto ammissibile l’insinuazione tardiva relativa a differenze retributive per mansioni superiori nonostante l’accoglimento della domanda tempestiva per la retribuzione calcolata sulla base dell’inquadramento riconosciuto dal datore di lavoro).

Ma ciò sta anche a significare che il meccanismo dell’inammissibilità delle domande nuove in sede di opposizione allo stato passivo non è infine giugulatorio, giacché non esclude il ricorso all’insinuazione tardiva.

8.13. – Ben si comprende, dunque, il principio ribadito secondo cui nel giudizio di opposizione allo stato passivo, che ha natura impugnatoria ed è “retto dal principio dell’immutabilità della domanda, non possono essere introdotte domande nuove o modificazioni sostanziali delle domande già avanzate in sede d’insinuazione al passivo” (Cass. 30 marzo 2012, n. 5167, sulla scia dell’ampia giurisprudenza precedente ivi richiamata, poi ribadita da numerosissime decisioni, tra le quali, di recente, le nn. 25316 e 10990 del 2021, 12179 e 5611 del 2020, 27543, 24587, 24445, 20213, 14937 e 278 del 2019). Ed ancora, senza pretesa di completezza, l’art. 99, nel testo novellato dapprima dal D.Lgs. n. 5 del 2006, e successivamente dal D.Lgs. n. 169 del 2007, “configura il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso inequivocabilmente impugnatorio e quindi non ammette né domande nuove da parte dell’opponente” (Cass. 8 giugno 2012, n. 9341; Cass. 22 marzo 2010, n. 6900) né “domande riconvenzionali del curatore, non previste” (Cass. 4 aprile 2013, n. 8246). Ovvero, “a seguito della novella n. 5 del 2006 l’opposizione del creditore o del titolare di beni mobili o immobili per le domande respinte… è regolata in modo dettagliato con una disciplina autonoma, e non potrebbe essere assimilata ad altri giudizi di opposizione che si propongono davanti allo stesso giudice (significativo, in questo senso, è l’espresso divieto di partecipazione al collegio da parte del giudice delegato al fallimento). La configurazione di tali giudizi in senso inequivocabilmente impugnatorio appare incompatibile con l’ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente, quali le domande riconvenzionali” (Cass. 22 marzo 2010, n. 6900).

8.14. – Ha dunque errato il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nell’accogliere la domanda spiegata dal preteso creditore in via subordinata soltanto nell’atto di opposizione allo stato passivo.

9. – Il primo mezzo vanno dunque accolto, con assorbimento degli ulteriori. Sicché il decreto impugnato deve essere cassato e rinviato al giudice a quo, che, provvedendo altresì sulle spese di questo giudizio di legittimità, si atterrà al seguente principio: “Nell’ambito del procedimento di opposizione allo stato passivo disciplinato dalla L.Fall., art. 99 sono inammissibili domande dell’opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, senza che possa trovare applicazione il principio dell’ammissiblità, nel giudizio di primo grado, entro il primo termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, della mutatio di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi, sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio”.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa il decreto in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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