Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6275 del 24/02/2022
Cassazione civile sez. I, 24/02/2022, (ud. 26/10/2021, dep. 24/02/2022), n.6275
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17063/2019 proposto da:
S.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso
dall’avvocato Tassinari Rosaria, giusta procura speciale allegata al
ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il
19/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
26/10/2021 dal Consigliere Dott. Paola Vella.
Fatto
RILEVATO
CHE:
1. Con ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35-bis, depositato il 02/10/2017, il cittadino (OMISSIS) S.G., nato (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento, notificatogli il 05/09/2017, con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, che egli aveva invocato allegando di aver dovuto lasciare la (OMISSIS) in quanto alla morte del padre, affiliato alla setta degli (OMISSIS), questi ultimi avevano cercato di farlo affiliare in sua vece, minacciandolo di morte in caso di rifiuto; lasciata La (OMISSIS) il 28/02/2016, dopo essere transitato per la Libia, dove per sette mesi era stato sfruttato e picchiato, era arrivato in Italia il 27/10/2016 e temeva in caso di rimpatrio di essere ucciso dagli (OMISSIS), avendolo la matrigna avvertito di non tornare perché lo stavano ancora cercando.
1.1. All’esito dell’audizione personale del ricorrente, il tribunale ha rigettato il ricorso, ritenendo che le dichiarazioni rese non fossero credibili in quanto generiche, prive di dettagli, contraddittorie e non plausibili alla luce delle specifiche C.O.I. raccolte sul fenomeno delle sette in (OMISSIS); ha quindi escluso il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, così come di quella umanitaria, a fronte di un mancato inserimento lavorativo in Italia (dove ha svolto solo “attività di volontariato occasionale”) e dei persistenti contatti con la famiglia in (OMISSIS), tenuto conto che “ha una buona istruzione avendo concluso la scolarizzazione secondaria” e “può vivere in una fattoria di buone proporzioni gestita dalla matrigna con cui è in contatto”.
2. Il ricorrente ha impugnato il predetto decreto con tre motivi di ricorso per cassazione; il Ministero intimato ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale, senza svolgere difese.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
2.1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al punto 3 dell’art. 360 c.p.c. e per difetto di motivazione”, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, il racconto dei fatti reso dal ricorrente sarebbe “lineare e privo di contraddizioni”.
2.2. Il secondo mezzo prospetta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) per non avere il Tribunale di Bologna riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07 meglio conosciuta come Elgafaj”, censurando la “scarna motivazione resa”, in quanto “del tutto infondata ed insufficiente” per non aver il tribunale tenuto conto “di quanto osservato nel giudizio di primo grado, ossia che dall’estratto dal sito della Farnesina, (OMISSIS) risulta che la situazione in (OMISSIS) è estremamente pericolosa”, e per aver “del tutto omesso la consultazione di fonti aggiornate, né al riguardo eseguito alcuna valutazione della situazione del paese di provenienza”, limitandosi “ad indagare unicamente fonti relative alla setta degli (OMISSIS) ed alle confraternite in (OMISSIS)”; omissione che sarebbe a dire del ricorrente “ancor più grave se solo si considera che la mancanza di una indicazione alternativa dell’effettiva area o regione di provenienza del richiedente, non individuata neanche nella città dalla sentenza impugnata, priva di sostegno l’affermazione” – che invero non è dato rinvenire nel decreto impugnato – “relativa alla necessità di verificare se il cittadino straniero provenga effettivamente da una zona rientrante nel parametro del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c)”.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la “Violazione del D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, art. 5, comma 6 (rectius 1998), per non avere il Tribunale di Bologna esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da Paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita ed incolumità”; in particolare, il tribunale avrebbe dovuto “verificare se la prospettazione del quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata accertato dal giudice di primo grado fosse quantomeno idoneo, pur in mancanza del riconoscimento di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, ad integrare una situazione di vulnerabilità”, tenuto conto che “il ricorrente attraverso l’impegno nello studio della lingua italiana, la frequentazione di corsi di formazione professionale cui è seguito un contratto di apprendistato professionalizzante tuttora in essere, ha intrapreso un percorso concreto di integrazione nel nostro Paese.
3. Tutti i motivi sono inammissibili.
3.1. Il primo, in particolare, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge mira ad una rivisitazione delle valutazioni di merito sulla credibilità del richiedente (cfr. Cass. Sez. U, 34476/2019), a fronte di una puntuale motivazione, a pag. 3 e 4 del decreto impugnato, delle plurime ragioni di genericità, contraddittorietà e incoerenza intrinseca ed estrinseca del narrato, anche alla luce delle specifiche C.O.I. raccolte sul fenomeno delle sette in (OMISSIS). Ebbene, per consolidato orientamento di questa Corte, l’inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente – se correttamente valutata, come nel caso di specie, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 (dai quali il ricorrente non indica nemmeno come il giudice a quo si sarebbe discostato) – attiene al giudizio di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (ex plurimis, Cass. 6897/2020, 5114/2020, 33858/2019, 21142/2019).
3.2. Il secondo mezzo difetta di autosufficienza, poiché il ricorrente nemmeno allega di aver presentato una specifica richiesta di protezione sussidiaria per la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), mentre tutta la vicenda processuale risulta incentrata sul racconto degli (OMISSIS), tanto che la stessa raccolta delle C.O.I. da parte del tribunale si è ampiamente concentrata su questo aspetto; d’altro canto, anche in questa sede la censura è del tutto generica, limitandosi sostanzialmente il ricorrente a trascrivere brani di altre pronunce giurisdizionali e di ulteriori fonti non meglio indicate né datate, apparentemente riferite ad attacchi terroristici di (OMISSIS) nel settembre 2016 in Stati però diversi da quello di provenienza; il motivo contiene altresì, a pag. 6, un incomprensibile riferimento ad affermazioni non rinvenibili nel decreto impugnato.
3.3. Il terzo motivo, oltre a fare riferimento a circostanze estranee alla causa (come l’accertamento “del quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata” da parte del “giudice di primo grado”) si limita ad allegare la frequenza di corsi professionali e l’esistenza di un rapporto di apprendistato che il tribunale ha evidentemente considerato e ritenuto insufficiente ad integrare una compiuta integrazione in Italia, mentre i persistenti contatti con la famiglia di origine in (OMISSIS) – dove egli aveva raggiunto un buon livello di istruzione (scolarizzazione secondaria) e “può vivere in una fattoria di buone proporzioni gestita dalla matrigna con cui è in contatto” escludono anche la rilevanza di un’eventuale violazione dell’art. 8 CEDU (cfr. Cass. Sez. U, 24413/2021).
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non segue alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese del Ministero intimato.
5. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; Cass. Sez. U, 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022