Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6275 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 10/03/2017, (ud. 07/02/2017, dep.10/03/2017),  n. 6275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3019-2013 proposto da:

UNICREDIT SPA (OMISSIS), IN PERSONA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI

AMM.NE, LEGALE RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CARLO MIRABELLO 18, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO

QUINTARELLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.P. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIROLAMO BOCCARDO 26/A, presso lo studio dell’avvocato GENNARO

FREDELLA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 615/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO GUIDO;

udito l’Avvocato Marchegiani Marco con delega depositata in udienza

dell’avv. Fredella Gennaro difensore della controricorrente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 12154 del 2005, decidendo sull’opposizione proposta da D.P.M. (quale fideiubente) avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, su ricorso della Banca di Roma, per il pagamento di 405.922,10 Euro, revocò integralmente il decreto ingiuntivo e condannò l’istituto di credito al pagamento delle spese di lite.

Avverso detta sentenza propose impugnazione la banca, censurando la sentenza impugnata per aver interamente revocato il decreto a fronte dell’accertata illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi, e chiese la condanna della debitrice al pagamento del saldo passivo del conto corrente, con applicazione della capitalizzazione annuale degli interessi.

La debitrice, costituitasi,resistette.

Successivamente, all’udienza del 13.2.2009 il procuratore dell’appellata dichiarò il decesso della signora D.P.M. avvenuto in data 18.8.2007 e la Corte dichiarò l’interruzione del processo.

Con ricorso notificato il 13.10.2009 Unicredit spa, quale società incorporante Capitalia spa, già Banca di Roma spa, riassunse il giudizio nei confronti di P.P., figlia di D.P.M., in qualità di erede della de cuius, per avere omesso, quale chiamata all’eredità nel possesso dei beni ereditari, di effettuare l’inventario dei beni nei termini prescritti dall’art. 485 c.c..

La P., nel costituirsi, oppose il proprio difetto di legittimazione passiva, per avere rinunziato all’eredità della madre D.P.M., con atto del notaio Po. del 21 febbraio 2008.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 615/2012 respinse l’appello averso la sentenza impugnata, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado.

La Corte territoriale, in particolare, affermò che, a fronte della produzione da parte della resistente P.P. dell’atto pubblico di rinunzia all’eredità ex art. 519 c.c., la banca appellante avrebbe dovuto eccepire l’inefficacia dell’atto e proporre una specifica domanda di accertamento di inefficacia della rinuncia, non potendo la Corte rilevarla d’ufficio ed incidentalmente.

Concluse dunque che in mancanza di tale domanda non poteva ritenersi accertata la qualità di erede della P. e dunque quella di debitrice nel rapporto per cui è causa.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso con due motivi Unicredit spa.

P.P. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 34 c.p.c., in relazione all’art. 360 codice di rito, n. 3), censurando la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto di non poter decidere in via incidentale la questione dell’inefficacia dell’atto di rinuncia all’eredità, affermando la banca avrebbe dovuto proporre una specifica domanda volta ad ottenere una pronuncia di accertamento e declaratoria di inefficacia della rinuncia, onde, in mancanza di detta domanda, non sarebbe stato possibile accertare la qualità di erede in capo a P.P..

Con il secondo motivo si denunzia insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), avuto riguardo all’acquisto della qualità di erede in capo alla figlia della de cuius P.P. ai sensi dell’ art. 485 c.c..

Il primo motivo è fondato.

La Corte d’Appello ha infatti ritenuto che l’odierna ricorrente, a fronte della deduzione della P. in sede di costituzione, di aver rinunciato all’eredità, avrebbe dovuto proporre una specifica domanda volta ad ottenere una pronuncia di accertamento e declaratoria di inefficacia della suddetta rinuncia, onde, in mancanza di detta domanda non sarebbe possibile ritenere accertata, nel presente giudizio, avente ad oggetto una domanda di condanna per il pagamento di un debito della madre deceduta, la qualità di erede in capo alla P..

Tale assunto non è condivisibile.

Si osserva infatti che, come questa Corte ha già affermato, nella controversia promossa per far valere un credito nei confronti di chi sia assume erede del debitore le questioni attinenti alla sussistenza o meno di tale qualità di erede in capo al convenuto rientrano nell’ambito degli accertamenti meramente incidentali e non configurano una causa pregiudiziale, da definire con autorità di giudicato, qualora una domanda rivolta al conseguimento di siffatta pronuncia non sia stata formulata (Cass. 3288/1987).

Deve invero escludersi che, a fronte dell’eccezione sollevata dalla P., attinente all’effettiva titolarità del rapporto fondata su un atto pubblico di rinunzia all’eredità, la banca creditrice dovesse necessariamente proporre una specifica domanda di declaratoria di inefficacia delle rinunzia, atteso che la rinuncia all’eredità, posta in essere dopo la scadenza del termine di cui all’art. 485 c.c., dal chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari, non è in alcun caso configurabile come rinuncia ad effetti traslativi, atteso che alla scadenza del termine per l’effettuazione dell’inventario il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice, con la conseguente inefficacia della rinuncia (Cass. 25728/2007).

Da ciò consegue che l’eventuale prova dei presupposti dell’art. 485 c.c., di cui era onerata la creditrice appellante (Cass. 10525/2010), avrebbe determinato, di per sè, l’inefficacia delle rinuncia, senza necessità di una specifica domanda diretta a tal fine nei confronti della asserita erede, non sussistendo nè la necessita di una specifica impugnazione della rinuncia all’eredità, nè la necessità di accertare con efficacia di giudicato la questione della qualità di erede ex art. 485 c.c., della P..

Dall’accoglimento del primo motivo discende l’inammissibilità, per carenza di interesse, del secondo motivo di ricorso.

A fronte della statuizione che ha affermato l’impossibilità di accertare la qualità di erede in assenza di una specifica domanda, le ulteriori, generiche valutazioni di adeguatezza, nel merito, della prova dei presupposti di cui all’art. 485 c.c., della Corte territoriale, in quanto rese in assenza di potere, devono infatti ritenersi prive di efficacia.

Ed invero, come affermato dalle sezioni unite di questa Corte, qualora il giudice che abbia ritenuto inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, così spogliandosi della “potestas iudicandi” sul relativo merito, proceda poi comunque all’esame di quest’ultimo, è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di impugnazione della sentenza da lui pronunciata che ne contesti solo la motivazione, da considerarsi svolta “ad abundantiam”, su tale ultimo aspetto (Cass. Ss. Uu. 24469/2013).

Va dunque accolto il primo motivo di ricorso e la sentenza impugnata va cassata con rinvio innanzi ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Cosi deciso in Roma, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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