Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6273 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. I, 24/02/2022, (ud. 26/10/2021, dep. 24/02/2022), n.6273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18583/2020 proposto da:

O.C., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Tassinari Rosaria, giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

26/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2021 Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35-bis, depositato il 09/07/2018, il cittadino (OMISSIS) O.C., nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento, notificatogli il 27/06/2018, con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, che egli aveva invocato allegando di aver dovuto lasciare la (OMISSIS) dopo la morte del padre, poiché i familiari gli avevano chiesto, quale primogenito, di prenderne il posto nel compimento dei riti juju per Sharam e al suo rifiuto, opposto in quanto (OMISSIS), aveva temuto di essere ucciso, pur non avendo ricevuto esplicite minacce; non si era rivolto alla polizia perché era un problema familiare e lui avrebbe dovuto ricoprire per forza quel ruolo; aveva quindi lasciato la (OMISSIS) il 15 giugno 2016 e, dopo essere fuggito da una prigione in Libia, era arrivato in Italia il 20 maggio 2017 ma temeva ancora, in caso di rimpatrio, di essere ucciso dai parenti del padre.

1.1. All’esito dell’audizione personale del ricorrente, il tribunale ha rigettato il ricorso, ritenendo non credibile il suo racconto, caratterizzato da dichiarazioni sommarie, prive di elementi di dettaglio e contraddittorie nelle due versioni fornite in sede amministrativa e giudiziale, anche alla luce delle specifiche C.O.I. raccolte sul fenomeno pacifico del rifiuto dei (OMISSIS)ni di religione (OMISSIS) di diventare “fetish priest”; ha quindi escluso la sussistenza dei presupposti di violenza indiscriminata D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), sulla base di C.O.I. qualificate e aggiornate al gennaio 2019 ed ha infine rigettato la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari per l’assenza di profili di vulnerabilità e di significativo radicamento in Italia.

2. Il ricorrente ha impugnato il predetto decreto con tre motivi di ricorso per cassazione; il Ministero intimato ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale, senza svolgere difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2.1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al punto 3 dell’art. 360 c.p.c. e per difetto di motivazione”, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, il racconto dei fatti reso dal ricorrente sarebbe “lineare e privo di contraddizioni”.

2.2. Il secondo mezzo prospetta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) per non avere il Tribunale di Bologna riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07 meglio conosciuta come Elgafaj”, censurando la “scarna motivazione resa” la quale sarebbe “del tutto infondata ed insufficiente”, per non aver il tribunale tenuto conto “di quanto osservato nel giudizio di primo grado, ossia che dall’estratto dal sito della Farnesina, Viaggiare Sicuri risulta che la situazione in (OMISSIS) è estremamente pericolosa”, richiamando “fonti non aggiornate in quanto risalenti al 2018 ed a gennaio e febbraio 2019”.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta la “Violazione del D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, art. 5, comma 6 (rectius 1998), per non avere il Tribunale di Bologna esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da Paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita ed incolumità”; in particolare, il tribunale avrebbe dovuto “verificare se la prospettazione del quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata accertato dal giudice di primo grado fosse quantomeno idoneo, pur in mancanza del riconoscimento di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, ad integrare una situazione di vulnerabilità”, tenuto conto altresì che “il ricorrente attraverso il suo lavoro di volontariato e l’impegno nello studio della lingua italiana ha intrapreso un percorso concreto di integrazione nel nostro Paese”; in particolare, il tribunale avrebbe omesso di considerare che il ricorrente “ha frequentato corsi di formazione e ha svolto fino a fine 2019 attività lavorativa, come da contratto di lavoro e buste paga che si allegano”, essendo “in attesa di reperire nuova occupazione a seguito dell’interruzione per il covid 2019”.

3. Tutti i motivi sono inammissibili.

3.1. Il primo motivo, in particolare, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge mira ad una rivisitazione delle valutazioni di merito sulla credibilità del richiedente (cfr. Cass. Sez. U, 34476/2019), a fronte di una puntuale motivazione, a pag. 4, 5 e 6 del decreto impugnato, delle plurime ragioni di incoerenza intrinseca ed estrinseca del narrato, anche alla luce di specifiche C.O.I. raccolte sull’assenza di conseguenze a carico dei soggetti di religione (OMISSIS) che rifiutano di assumere il ruolo di “fetish priest”. Ebbene, per consolidato orientamento di questa Corte, l’inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente – se correttamente valutata, come nel caso di specie, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 (dai quali il ricorrente non indica nemmeno come il giudice a quo si sarebbe discostato) attiene al giudizio di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (ex plurimis, Cass. 6897/2020, 5114/2020, 33858/2019, 21142/2019).

3.2. Il secondo mezzo è del tutto generico, in quanto sostanzialmente circoscritto alla trasposizione di brani di altre pronunce giurisdizionali e di fonti non meglio individuate, né datate, aventi ad oggetto prevalentemente gli attacchi terroristici posti in essere da (OMISSIS), che riguardano però Stati diversi da quello di provenienza del ricorrente, a fronte delle plurime C.O.I. qualificate e aggiornate al 2019 che il tribunale ha puntualmente vagliato a pag. 6 e 7 del decreto.

3.3. Il terzo infine, oltre a fare riferimento a circostanze estranee alla causa (come l’accertamento “del quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata” da parte del “giudice di primo grado”), attiene al merito di una valutazione effettuata dal tribunale felsineo sulla base delle circostanze allegate e dei documenti prodotti dal ricorrente, che si è conclusa con il rilievo della mancanza di profili di vulnerabilità personale, del difetto di un compiuto radicamento del ricorrente sul territorio italiano (al di là dell’attività lavorativa stagionale in precedenza svolta) e della persistenza in (OMISSIS) – dove svolgeva l’attività di piastrellista – di “stabili ed effettivi riferimenti affettivi e familiari”, con conseguente non configurabilità di un’eventuale violazione dell’art. 8 CEDU (cfr. Cass. Sez. U, 24413/2021).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non segue statuizione sulle spese, in difetto di difese del Ministero intimato.

5. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; Cass. Sez. U, 4315/2020).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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