Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6273 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. I, 05/03/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31920/2018 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in Milano, via Lamarmora n.

42, presso lo studio dell’avv. Stefania Santilli, che lo rappresenta

e difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2078/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2019 da Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Milano ha respinto il gravame proposto da C.E. cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito che all’età di 13 anni aveva ottenuto dalla polizia stradale la licenza di guida che gli consentiva di trasportare più di 20 persone e ciò gli consentiva di svolgere l’attività di autista di taxi alle dipendenze di terzi. Dopo circa sei mesi che aveva iniziato l’attività gli venne rubato il taxi. Il suo datore di lavoro lo accusò di aver venduto il veicolo o di averlo rubato lui e gli dette un mese di tempo per recuperare il taxi o risarcirgli il danno. Alla scadenza del mese, non riuscendo a pagare la somma pretesa dal datore di lavoro, prima decise di tornare nel suo villaggio e poi decise di fuggire, per non rischiare dieci anni di carcere.

Contro la sentenza della medesima Corte d’appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione subiti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sui parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente e sulla violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno

grave, (iii) sotto un terzo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10 Cost., comma 3, in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità, nonchè omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima, apparenza della motivazione e nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132 e dell’art. 156 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., comma 6.

Il primo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza che non è espressamente incentrato su un giudizio di non credibilità del richiedente (“Anche a prescindere, dunque, dalla credibilità del racconto dell’appellante..”), ma sull’insussistenza dei requisiti, alla luce della vicenda privata narrata, necessari per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato (v. p. 6).

Il secondo motivo (non perfettamente corrispondente alla rubrica), sulla protezione sussidiaria, è inammissibile, in quanto, vengono proposte censure sul merito dell’accertamento della situazione generale del Gambia, in termini di “mero dissenso” con la contestazione delle fonti informative consultate dalla Corte territoriale (v. p. 17), senza evidenziare di quali fatti decisivi sarebbe stata omessa, in tesi, la valutazione.

Il terzo motivo, in riferimento alla protezione umanitaria, è inammissibile, in quanto, la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

Poichè il ricorrente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non paga il doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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