Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6271 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5873-2021 proposto da:

M.M.G., C.C., M.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentati e difesi dagli

avvocati GAETANO GRANOZZI, UGO ANTONINO SALANITRO, GAETANA ALLEGRA;

– ricorrenti –

contro

D.L., rappresentata e difesa dall’avvocato EMANUELE

PASSANISI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 17959/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

depositata il 27/08/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/01/2022 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. M.M.G., C.C. e M.G. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi per la revocazione della ordinanza n. 17959/2020 della Corte di Cassazione, del 27 agosto 2020.

2. L’intimata D.L. ha notificato controricorso.

3. Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perché la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.

Le parti hanno presentato memorie.

4. Questa Corte, con la sentenza n. 17959/2020 del 27 agosto 2020, accolse entrambi i motivi del ricorso incidentale proposto da D.L. avverso la sentenza n. 830/2014, depositata il 3 giugno 2014, della Corte d’appello di Catania, così motivando:

(…) “deve affermarsi che il contratto derivante dalla condotta penalmente rilevante del delitto di estorsione è nullo, perché viola norme imperative, è contrario all’ordine pubblico e costituisce il profitto del reato, così assumendo un chiaro connotato di illiceità.

Nel caso all’esame di questa Corte, la Corte d’Appello penale di Catania, con sentenza passata in giudicato, ha ritenuto colpevole M.G. del delitto di estorsione in danno di D.L., condannandolo a quattro anni di reclusione e ha accertato che, la condotta estorsiva si è concretizzata nella cessione da parte della D. dei due appartamenti, siti in Catania, Corso delle Province, mediante l’intestazione di uno a C.C., e dell’altro a M.M.G., rispettivamente moglie e figlio del predetto M.G..

A tal proposito deve ribadirsi che, ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, con esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile.

Per “fatto” accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica, costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale), e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. (ex plurimis Sez. 3, Sent. n. 20786 del 2018 Sez. 6-3, Ord. n. 14648 del 2011, Sez. 3, Sent. n. 19387 del 2004, in motivazione).

29. A nulla rileva il fatto che il contratto prevedesse come acquirenti fittizi il coniuge e il figlio dell’estortore perché, la nullità del negozio per violazione di una norma imperativa quale quella di cui all’art. 629 c.p. ha valenza assoluta e determina la nullità radicale e totale dell’intero negozio, del tutto inficiato, inidoneo e incapace di produrre effetti nei confronti di tutte le parti che ad esso hanno partecipato. In altri termini, la sanzione (nullità) colpisce l’intero negozio ed opera erga omnes, vale a dire nei confronti di tutti i soggetti del rapporto senza che alcuno di essi, richiamando posizioni personali (di presunta buona fede) o soggettive differenziate (di non partecipazione all’altrui attività delittuosa), possa giovarsi della situazione creatasi in dispregio del precetto legislativo. L’illiceità del contratto esclude che possano venire in rilievo gli aspetti psicologici (motivi) e pertanto rende irrilevanti le singole posizioni soggettive (nello stesso senso vedi Cass. n. 1657 del 1996).

Nel caso di specie sussisteva anche la prova dell’interposizione fittizia, in base ai fatti accertati in sede penale, peraltro – come si dirà più diffusamente al punto 31 – tale prova può ricavarsi anche mediante testimoni e presunzioni in conformità all’art. 1417 c.c.

Ritiene pertanto il collegio, che entrambi i contratti di cui si discute nel presente giudizio sono nulli ex art. 1418 c.c., essendo stato accertato con sentenza penale passata in giudicato che gli stessi sono conseguenza della condotta estorsiva di M.G. in danno di D.L..

30. La Corte d’Appello, dunque, ha commesso un duplice errore. Il primo, consistente nel ritenere che il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di un contratto debba essere coordinato con il principio della domanda nel senso che solo se sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda il giudice può rilevare in ogni stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività selettiva delle parti, l’eventuale nullità dell’atto stesso, mentre se la contestazione attenga direttamente all’illegittimità dell’atto, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d’ufficio né può essere dedotta per la prima volta in grado di appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella ab

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Numero registro generale 5873/2021 Numero sezionale 973/2022 Numero di raccolta generale 6271/2022 Data pubblicazione 24/02/2022

origine proposto dalla parte. Il secondo che le minacce subite dalla D., seppure qualificate come costituenti il delitto di estorsione a carico di M.G., non fossero causa di nullità dei due contratti di compravendita, non potendo derivarne la nullità dalla condanna penale.

Sotto il primo profilo, in disparte il fatto che D.L. aveva agito in giudizio per fare dichiarare proprio la suddetta nullità, domanda che il giudice di primo grado aveva integralmente accolto, deve ribadirsi in ogni caso che, la nullità contrattuale è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo come affermato in più occasioni da questa Corte (Sez. U, Sent. n. 26242 del 2014, Sez. U, Sent. n. 26243 del 2014 e Sez. U, Sent. n. 14828 del 2012) e che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale o di simulazione deve rilevare d’ufficio, ove emergente dagli atti, l’esistenza di un diverso vizio di nullità, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato (Sez. 1, Sent. n. 8795 del 2016, Sez. 2, Sent. n. 22457 del 2019).

Sotto il secondo aspetto deve affermarsi il seguente principio di diritto: “Il contratto stipulato per effetto diretto del reato di estorsione è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti”.

31. L’accoglimento dei due motivi del ricorso incidentale proposto da D.L. implica il rigetto dei primi quattro, nonché dell’ottavo, del nono e dell’undicesimo, motivi del ricorso principale perché tutti aventi ad oggetto la statuizione della Corte d’Appello di nullità del secondo contratto di compravendita in favore di M.M.G. per violazione del patto commissorio.

A questo proposito, a fini nomofilattici, deve comunque evidenziarsi l’erroneità della statuizione della Corte d’Appello, in tema di prova dell’interposizione fittizia nel caso di violazione del divieto del patto commissorio.

Occorre premettere che, secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c., con la conseguente sanzione di nullità radicale, si estende a qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente lecito, allorché esso venga impiegato per conseguire il fine concreto, riprovato dall’ordinamento, della illecita coercizione del debitore, costringendolo al trasferimento di un bene a scopo di garanzia nella ipotesi di mancato adempimento di una obbligazione assunta. In particolare, si ritiene pacificamente che il patto commissorio possa essere ravvisato anche di fronte a più negozi tra loro collegati, quando da essi scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del debitore sia collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a prescindere dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto (ex plurimis Cass. n. 23617 del 2017 che richiama a sua volta Cass. 23 ottobre 1999 n. 11924; Cass. 20 luglio 1999 n. 7740; Cass. 15 agosto 1990 n. 8325).

In tali casi, allorché venga dedotta la nullità di un contratto di compravendita siccome dissimulante un patto commissorio, la simulazione costituisce soltanto la causa petendi, cioè il fatto rivelatore del vietato patto posto a base dell’azione di nullità del contratto, sicché il relativo accertamento non è soggetto alle limitazioni ex art. 1417 c.c., quanto alla prova testimoniale, essendo volta a far valere l’illiceità ex lege del negozio dissimulato (Cass. n. 7740 del 1999 che richiama a sua volta Cass. n. 8325 del 1990).

32. I motivi quinto, sesto e settimo del ricorso principale sono infondati per quanto si è detto circa la valenza probatoria della sentenza penale di condanna per il delitto di estorsione a carico di M.G. ex artt. 651 e 654 c.p.c. e delle conseguenze di tale condanna.

33. Il decimo e il dodicesimo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello abbia omesso di esaminare che il prezzo del trasferimento era stato pagato mediante la compensazione delle somme ricevute in prestito della D. e con quietanza presente in entrambi gli atti di vendita sono infondati posto che la Corte d’Appello di Catania ha evidenziato che dalla sentenza penale emergeva l’accertamento del fatto che nessun prezzo era stato pagato e che l’alienazione era effettuata a scopo di garanzia con patto di retrovendita.

34. Il tredicesimo motivo di ricorso è altrettanto infondato posto che l’azione di nullità è imprescrittibile e che correttamente la Corte d’Appello ha affermato che l’effetto interruttivo della prescrizione derivante dalla costituzione di parte civile riguarda tutte le componenti risarcitoria connesse al reato oggetto dell’imputazione.

35. I motivi dal quattordicesimo al diciassettesimo sono tutti infondati, attenendo alle domande di rendiconto e di restituzione dei frutti civili che presuppongono la validità del trasferimento del diritto di proprietà in capo alla C. sull’appartamento del quale la D. aveva mantenuto il possesso.

36. Il diciottesimo motivo è inammissibile perché richiede una rivalutazione in fatto delle prove circa l’effettivo pagamento da parte del ricorrente degli oneri fiscali derivanti dal contratto e sarebbe, comunque, infondato in quanto il presunto danno deriverebbe comunque dalla condotta illecita del danneggiato”.

Il ricorso per revocazione deduce: 1) l’errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4 addebitato alla sentenza n. 17959/2020 per l’omessa percezione e l’omessa pronuncia sulla eccezione di giudicato avente ad oggetto la mancata impugnazione della statuizione della Corte d’appello nella parte in cui aveva escluso, nella ipotesi di estorsione, la nullità dei contratti per violazione di norma imperative, ravvisando soltanto un’ipotesi di annullabilità; 2) l’errore di fatto circa la percezione del contenuto della sentenza penale in ordine al pagamento dei corrispettivi della compravendite degli immobili dichiarate nulle, nonostante la sentenza penale fosse estranea alla compravendita della C. e nonostante il decimo motivo del ricorso principale recasse il contenuto confessorio delle dichiarazioni della D.; 3) l’errata supposizione del passaggio in giudicato delle statuizioni oggetto dei motivi di ricorso per cassazione 1, 2, 3, 4, 8, 9, 11, relativi al patto commissorio ed all’accordo di retrovendita, con omessa pronuncia su tali motivi perché ritenuti assorbiti dalla declaratoria di nullità.

I tre motivi di ricorso sono palesemente estranei al parametro dell’errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c..

Per consolidata interpretazione, invero, in materia di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, postula un contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla pronuncia sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione. Deve, dunque, trattarsi di un errore meramente percettivo, tale da aver indotto la Corte a fondare la propria decisione sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo. L’errore di fatto che può legittimare la revocazione di una decisione della Corte di cassazione deve, quindi, pur sempre riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e deve avere, quindi, carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla decisione medesima (Cass. Sez. U, 27/11/2019, n. 31032; Cass. Sez. U, 28/05/2013, n. 13181).

Il ricorso per revocazione mira, piuttosto, a reintrodurre il “thema decidendum” originario del precedente giudizio di legittimità, e le doglianze formulate denunciano non errori di fatto meramente percettivo, quanto la fallace valutazione della idoneità dei motivi del ricorso a fondare la cassazione della stessa pronuncia gravata, ovvero l’inesatta considerazione e interpretazione dell’oggetto del processo e, quindi, errori di giudizio.

Non possono dunque costituire errori di fatto ex art. 391 bis c.p.c.: la rilevabilità della nullità dei contratti nel pronunciare sui motivi del ricorso incidentale, in quanto “fatto” costituente proprio il punto controverso sul quale la sentenza di cassazione ebbe a pronunciare; la portata del giudicato penale recante la condanna per estorsione, in quanto “fatto” costituente proprio il punto controverso sul quale la sentenza di cassazione ebbe a pronunciare; il simmetrico rigetto o il ritenuto assorbimento di contrapposti motivi di gravame, attenendo ciò al giudizio di fondatezza o di superfluità delle censure per effetto della decisione sui punti prima indicati.

Peraltro, alla stregua dell’orientamento sancito da Cass. Sez. 6, 17/05/2018, n. 12046, il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio (quale quella oggetto dell’impugnazione in esame) è inammissibile se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e, in ragione della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di revocazione, liquidate in dispositivo.

Va negata la domanda della controricorrente per la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. di M.M., collegata alla trascrizione del sequestro conservativo ad alla richiesta di un mutuo ipotecario, in quanto riferita al comportamento tenuto dalla parte nelle fasi precedenti del giudizio. E’ comunque da escludere che il ricorso per revocazione sia stato proposto con colpa grave, ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire coscienza della sua integrale infondatezza.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di revocazione dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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