Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 627 del 18/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 18/01/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 18/01/2010), n.627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26559/2006 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRO MENOTTI

24, presso lo studio dell’avvocato CAPONETTI Pietro, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3742/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/09/2005 R.G.N. 6970/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/11/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato CAPONETTI PIETRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma confermava la sentenza Tribunale di Roma con la quale era stata accolta la domanda del lavoratore in epigrafe avente ad oggetto la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle somme trattenute dall’Amministrazione penitenziaria sulla mercede per il lavoro svolto durante la detenzione negli istituti della predetta amministrazione.

I giudici di appello, affermata la competenza funzionale del giudice del lavoro, ritenevano infondata, sia l’eccezione di difetto di legittimazione passiva essendo il Ministero convenuto “datore di lavoro titolare del rapporto”, sia quella di prescrizione non essendo il rapporto di lavoro, dedotto in giudizio, assistito dal regime della stabilità.

Il Ministero della Giustizia ricorre in cassazione sulla base di tre censure.

Parte intimata resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 354 del 1975, art. 69, della L. n. 663 del 1986, art. 21, per difetto di competenza del giudice del lavoro, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Il motivo è infondato.

Rileva il Collegio che, come già sottolineato da questa Corte (V. per tutte da ultimo sent. 15 ottobre 2007 n. 21573), con sentenza del 27 ottobre 2006 n. 341 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 374, art. 69, comma 6, lett. a), (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative delle libertà) che attribuiva al magistrato di sorveglianza la competenza a decidere sui reclami dei detenuti e degli internati, concernenti l’osservanza delle norme riguardanti “l’attribuzione della qualifica lavorativa, le questioni concernenti la mercede e la remunerazione, nonchè lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali dei detenuti”.

Conseguentemente competente a giudicare le dette controversie è il giudice delle controversie di lavoro in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, di cui all’art. 409 c.p.c., e segg., e art. 442 c.p.c., e segg..

Con il secondo motivo di ricorso il Ministero denuncia violazione degli artt. 2934 e 2948 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che il termine prescrizionale non potesse decorrere durante il rapporto di lavoro penitenziario, mancando esso di stabilità.

Il motivo non merita accoglimento.

Invero è oramai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (sentenze rispettivamente del 26 aprile 2007 n. 9969, del 22 ottobre 2007 n. 22077, del 27 novembre 2007 n. 24642 cui adde del 15 ottobre 2007 n. 21573 cit.) che le oggettive caratteristiche del lavoro carcerario presentano, infatti, tratti comuni a quelli che in altri rapporti di lavoro giustificano la non decorrenza del termine prescrizionale dei diritti del lavoratore durante lo svolgimento del rapporto – e che non si identificano necessariamente col timore di rappresaglie da parte del datore, di cui alla sentenza 10 giugno 1966, n. 63 della Corte Costituzionale – come può avvenire nel caso del lavoro nautico, marittimo (art. 373 c.n.) o aereo (art. 937 c.n.).

Del resto, come rimarcato nelle richiamate sentenze di questa Corte, neppure la certezza della stabilità reale talvolta è stata ritenuta sufficiente alla decorrenza della prescrizione in pendenza del rapporto, come è avvenuto quando le dimensioni dell’impresa non fossero esattamente rilevabili dal lavoratore e presentassero oggettiva incertezza (Cass. 8 novembre 1995, n. 11615) oppure nel caso di una serie di contratti di lavoro a tempo determinato da convenire in un unico contratto a tempo indeterminato ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 2 (Cass. 15 dicembre 1997, n. 7565).

Inoltre, “la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto di lavoro dei detenuti possono non coincidere con quelle che contrassegnano il lavoro libero, se ciò risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena e per assicurare le corrispondenti esigenze organizzative dell’amministrazione penitenziaria” (così Corte Cost.

n. 341 del 2006 cit.), ciò che può determinare nel lavoratore una situazione di metus giustificativa della sospensione della prescrizione.

Con la terza censura il Ministero allega violazione della L. n. 354 del 1975, art. 23, come riformulato dalla L. n. 663 del 1986, e dall’art. 1189 c.c.. L’Amministrazione deduce di non essere tenuta al pagamento dei 3/10 della retribuzione avendo corrisposto il relativo importo alla cassa per il soccorso alle vittime dei delitti, prima, e alle regioni ed enti locali, poi, come previsto dalla normativa successivamente dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 42 del 1992; secondo il motivo si tratterebbe di pagamento a creditore apparente, come tale idoneo a liberare il debitore.

Il motivo non è ammissibile poichè la questione non risulta trattata nella sentenza impugnata, nè il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, precisa in quale atto ed in quali termini ha dedotto, nel giudizio di merito, siffatta questione (V. per tutte Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664).

Il ricorso, in conclusione, va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 31,00 oltre Euro 1.500,00 per onorario ed oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. con attribuzione all’avv.to Pietro Caponetti anticipatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2010

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