Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6268 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 10/03/2017,  n. 6268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4745/2014 R.G. proposto da:

LE TORRI IMMOBILIARE di G.G. & C. s.a.s., –

c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a

margine del ricorso dall’avvocato Walter Guarini ed elettivamente

domiciliata in Roma, al Piazzale degli Eroi, n. 8, presso lo studio

dell’avvocato Vittoria Caruso;

– ricorrente –

contro

G.S., – c.f. (OMISSIS) – T.U. – c.f.

(OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a

margine del controricorso dall’avvocato Massimo Zaganelli ed

elettivamente domiciliati in Roma, alla via Michelangelo Tilli, n.

57A4, presso lo studio dell’avvocato Alessandra Bianchi;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 548 dei 6/27.12.2012 della corte d’appello di

Perugia;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 15

dicembre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Massimo Silvestri, per delega dell’avvocato, Walter

Guarini per la ricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato in data 18.11.1998 L.I. citava a comparire dinanzi al tribunale di Perugia T.F..

Esponeva che aveva alienato al convenuto con rogito per notar P. del 3.11.1970 porzione di fabbricato in (OMISSIS), alla via (OMISSIS); che a seguito di lavori di sistemazione del tetto dell’edificio, terminati nel 1977, il sottotetto, in origine volume tecnico impraticabile, era divenuto parzialmente praticabile; che nel 1994 il convenuto aveva assunto che il sottotetto fosse di sua esclusiva proprietà; che viceversa il medesimo vano fuoriusciva senz’altro dall’oggetto della compravendita siglata in data 3.11.1970.

Chiedeva, in via principale, che fosse dichiarata proprietaria esclusiva del sottotetto e che si facesse ordine al convenuto di chiudere il passaggio che aveva realizzato onde accedervi direttamente dal suo appartamento; in via subordinata, che ne fosse dichiarata comproprietaria e che le fosse riconosciuto il diritto di farvi ingresso attraverso il passaggio creato dal T..

Si costituiva T.F..

Instava per il rigetto delle avverse domande.

Deduceva che con l’atto del 3.11.1970 aveva acquistato anche il sottotetto in quanto pertinenza della porzione immobiliare compravenduta; che in ogni caso l’aveva posseduto uti dominus per oltre un ventennio, sicchè ne aveva acquistato la proprietà per usucapione.

Assunte le prove articolate, disposta ed espletata c.t.u., all’udienza del 28.6.2005 si costituiva la s.a.s. “Le Torri Immobiliare di G.G. & C.”, quale avente causa dell’originaria attrice.

Con sentenza n. 67/2009 il tribunale adito rigettava le domande di parte attrice e condannava l’accomandita semplice alle spese di lite e di c.t.u..

Interponeva appello la s.a.s. “Le Torri Immobiliare”.

Resistevano G.S. ed T.U., eredi di T.F.. Con sentenza n. 548 dei 6/27.12.2012 la corte d’appello di Perugia rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Premetteva la corte che nell’atto per notar P. del 3.11.1970 nulla era detto in ordine al vano sottotetto, “che, all’epoca, non era praticabile ed aveva una funzione esclusivamente di protezione creando una intercapedine tra la parte abitativa e il tetto sovrastante” (così sentenza d’appello, pag. 3).

Indi esplicitava che, in dipendenza della funzione al momento della compravendita esclusivamente protettiva ed isolante dell’appartamento del T., in assenza di disposizioni nel titolo ed in difetto di destinazione all’uso comune ovvero all’esercizio di un servizio di interesse comune, non operava la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., sicchè il sottotetto doveva considerarsi pertinenza dell’appartamento sottostante; che ciò tanto più che i lavori di sopraelevazione con l’assenso di L.I. erano stati integralmente pagati dall’appellato, al quale “era stato anche consentito di aprire un unico accesso con una scala chiocciola dal proprio appartamento” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la s.a.s. “Le Torri Immobiliare di G.G. & C.”; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

G.S. ed T.U. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Deduce che la corte di merito ha compiuto “un illogico ed immotivato apprezzamento delle risultanze di causa” (così ricorso, pag. 5).

Deduce in particolare che la corte distrettuale ha in maniera del tutto incongrua considerato “quale oggetto di causa e di rivendica un sottotetto (intercapedine) non più esistente, e non il nuovo e diverso manufatto, realizzato in seguito, praticabile e suscettibile di piena utilizzazione, del quale, se appunto fosse stato preso in considerazione, sarebbe stata esclusa a priori (…) la natura pertinenziale” (così ricorso, pag. 5).

Deduce ulteriormente che il sottotetto è stato edificato sulla scorta della licenza edilizia rilasciata ad L.I. ed a T.F., sicchè “giammai poteva essere di proprietà esclusiva del T., sia per difetto di titolo di acquisto (…), sia per la sua inesistenza prima dei lavori di sopraelevazione” (così ricorso, pag. 6).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 817, 1102 e 2697 c.c..

Deduce che del tutto irrilevante è la circostanza per cui i lavori di sopraelevazione sono stati pagati interamente da T.F..

Deduce che rilevano piuttosto la circostanza per cui la licenza è stata richiesta e rilasciata ad entrambi i proprietari e condomini e la circostanza per cui la sopraelevazione e la costruzione di un nuovo vano hanno “comportato un aumento di cubatura (…) giustificato dalla capacità residua edificabile del lotto della L.” (così ricorso, pag. 6).

Deduce inoltre che, qualora si reputassero T.F. ed i suoi aventi causa unici proprietari del sottotetto, questi ultimi avrebbero fatto luogo alla realizzazione di un vano in sopraelevazione senza corrispondere agli altri condomini alcuna indennità.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Difatti, pur il secondo motivo si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Occorre tener conto, da un lato, che anche con il secondo motivo la s.a.s. “Le Torri Immobiliare” censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso (si condivide quindi la prospettazione dei controricorrenti secondo cui la ricorrente s.a.s. adduce con tale mezzo di impugnazione “argomentazioni di mero fatto”: così controricorso, pag. 4); dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

In questi termini ambedue i motivi sono destituiti di fondamento.

Si rappresenta previamente che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980), quale positivamente sancito all’art. 366, 1 co., n. 6), cod. proc. civ., ben avrebbe dovuto la ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro dei suoi assunti, riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso quanto meno il rogito per notar P. del 3.11.1970 ed il testo della relazione di c.t.u. disposta in prime cure.

Si rappresenta comunque che i vizi motivazionali veicolati dagli addotti motivi rilevano nei limiti della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), quale introdotta dal D.Lgs. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella legge n. 134/2012, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (è il caso de quo: la sentenza della corte di Perugia è stata depositata il 27.12.2012).

In tal guisa, evidentemente, riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, da un canto, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, dall’altro, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Per un verso, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (“al momento della compravendita, il vano sottotetto aveva esclusivamente la funzione isolante e protettiva dell’appartamento acquistato dal T. e, nulla disponendo il titolo, doveva per ciò stesso considerarsi pertinenza dell’appartamento stesso”: così sentenza d’appello, pag. 4).

Per altro verso, che la corte territoriale ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa.

Del resto, la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (il “Giudice a quo (…) considera quale oggetto di causa e di rivendica un sottotetto (…) non più esistente”: così ricorso, pag. 5; “risulta dai documenti da noi prodotti e non contestati (…) che (…)”: così ricorso, pag. 6; “la licenza di costruzione (…) è stata richiesta da, e rilasciata a, entrambi i proprietari e condomini”: così ricorso, pag. 6).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

E parimenti nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dello stesso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (cfr. Cass. (ord.) 6.7. 2015, n. 13928).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte d’appello risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

Infatti, correttamente la corte di merito ha fatto riferimento all’iniziale conformazione, quale mera intercapedine per nulla praticabile, del sottotetto (questa Corte spiega che, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicchè, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117 c.p.c., comma 1; viceversa, allorchè il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento: cfr. Cass. 30.3.2016, n. 6143).

D’altra parte, questo Giudice spiega che la licenza edilizia legittima l’esercizio dello ius aedificandi nei soli confronti della pubblica amministrazione, ma non è idonea – in relazione alla sua particolare natura e finalità – a pregiudicare i diritti dei terzi, nè ad ingenerare a loro favore posizioni giuridiche maggiori o diverse da quelle che ad essi competono in base alle norme edilizie applicabili alla singola fattispecie (cfr. Cass. 28.5.1984, n. 3260).

Ovviamente non rileva in questa sede la circostanza che sia eventualmente insorto l’obbligo di pagamento dell’indennità di cui all’art. 1127 c.c..

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente s.a.s. al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 7.2.2014.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della s.a.s. ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, d.p.r. n. 115/2002.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “Le Torri Immobiliare di G.G. & C.” s.a.s., a rimborsare ai controricorrenti, G.S. ed Urbano T., le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi delart. 13, comma 1 quater, d.p.r. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente s.a.s., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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