Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6265 del 10/03/2017

Cassazione civile, sez. II, 10/03/2017, (ud. 15/12/2016, dep.10/03/2017),  n. 6265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29029/2013 R.G. proposto da:

C.V., c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Carlo Poma, n. 4, presso lo studio dell’avvocato Antonio

Conte che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Franco

Marcolini la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A., c.f. (OMISSIS) – S.R. c.f. (OMISSIS) – (quali

eredi di Co.Pr.), elettivamente domiciliati in Roma, alla via

Spalato, n. 11, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Petroni che

congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Anna Valentini li

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e

A.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 549 dei 28.2/22.8.2013 della corte d’appello

di Ancona;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 15

dicembre 2016 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Francesca Papini, per delega dell’avvocato Franco

Marcolini, per la ricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI CAUSA

Con atto notificato in data 17.6.2000 Co.An.Lu. citava a comparire innanzi al tribunale di Pesaro C.V. e A.S..

Esponeva che era proprietaria di un fondo rustico con sovrastante fabbricato rurale in (OMISSIS), per acquisto fattone con atto del (OMISSIS); che da tale data aveva posseduto uti dominus le strisce di terreno costituenti il sedime della strada di accesso al proprio immobile, strada al cui inizio, onde intercluderla, aveva collocato una catena a mò di cancello; che tali strisce erano comprese entro la recinzione delimitante la sua proprietà.

Chiedeva che il tribunale acclarasse l’avvenuto acquisto per usucapione da parte sua ed in pregiudizio delle convenute delle strisce di terreno anzidette. Si costituiva A.S..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in subordine, in via riconvenzionale, chiedeva accertarsi l’avvenuto acquisto per usucapione da parte sua della servitù di passaggio lungo la strada di accesso all’immobile di proprietà dell’attrice.

Assunto il formale interrogatorio dell’attrice e della convenuta costituita, assunte le prove testimoniali, all’udienza di precisazione delle conclusioni si costituiva C.V..

Indi con sentenza n. 700/2006 l’adito tribunale accoglieva la domanda attorea e dichiarava l’intervenuto acquisto per usucapione della proprietà delle strisce di terreno da parte di Co.An.Lu.; altresì rigettava la domanda riconvenzionale proposta da A.S..

Proponeva appello A.S.. Resisteva Co.Pr., quale erede di Co.An.Lu.. Resisteva C.V..

Proponeva separato appello C.V.. Resisteva Co.Pr., parimenti quale erede di Co.An.Lu.. Resisteva A.S..

Con sentenza n. 549 dei 28.2/22.8.2013 la corte d’appello di Ancona rigettava i gravami all’uopo riuniti e condannava in solido le appellanti alle spese del grado.

In relazione al gravame esperito da C.V. evidenziava la corte di merito che il primo giudice aveva riscontrato i fatti addotti da Co.An.Lu. alla stregua e della mancata comparizione dell’appellante all’udienza fissata per l’assunzione del suo formale interrogatorio e degli ulteriori esiti dell’attività istruttoria; che in particolare il tribunale aveva correttamente reputato inattendibili i testi addotti dall’appellante, giacchè costoro avevano “reso dichiarazioni tra loro contrastanti su alcuni aspetti della vicenda (…) che minano per intero la credibilità della deposizione” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Evidenziava inoltre, in ordine alla deduzione della C. secondo cui “la presenza di un cancello sulla recinzione, che metteva in comunicazione il resto della sua proprietà con la strada, era di per sè sufficiente ad escludere che la Co. avesse posseduto la strada uti dominus” (così sentenza d’appello, pag. 8), che “da una lettura completa delle deposizioni testimoniali emerge che il cancello era ricoperto da edera, segno che da lungo tempo nessuno vi era più passato” (così sentenza d’appello, pag. 8); che propriamente “l’esistenza del cancello, in assenza di un riscontro del suo utilizzo e in presenza invece di elementi atti a comprovarne il disuso, non dimostra affatto che C.V. abbia posseduto la strada a discapito del possesso esclusivo di Co.An.Lu.” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Evidenziava ancora che non vi era motivo per dubitare dell’attendibilità dei testi indicati dall’originaria attrice, ancorchè avessero dichiarato che la catena era stata collocata all’ingresso della strada poderale nel corso dell’anno 1978; che invero Co.An.Lu. aveva sì acquistato il proprio immobile nell’anno successivo, tuttavia nel possesso del cespite era stata immessa antecedentemente alla stipula del rogito, siccome nello stesso rogito esplicitamente si dava atto.

Evidenziava infine che in considerazione dello stato dei luoghi il possesso esercitato da Co.An.Lu. aveva “caratteristiche tali da poter essere qualificato come possesso uti dominus e non solo quoad servitutem” (così sentenza d’appello, pag. 9).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.V.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese.

S.A. e S.R., eredi di Co.Pr., hanno depositato controricorso; hanno chiesto, previa riunione al procedimento iscritto al n. 5406/2012 R.G., rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

A.S. non ha svolto difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Del pari hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c., i controricorrenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e degli artt. 1158 e 1140 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè incoerenza logico – formale dell’argomentazione svolta dal giudice di merito che si compendia in una non motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”, (così ricorso, pag. 27).

Deduce che Co.An.Lu. nel corso del giudizio di primo grado giammai ha dedotto che il cancello che pone in comunicazione la strada poderale con la proprietà di ella ricorrente, fosse inagibile giacchè ricoperto d’edera; che pertanto, allorchè la corte distrettuale ha fatto leva su tale circostanza, peraltro riferita nel corso del suo formale interrogatorio unicamente da A.S., onde escludere il transito da parte di ella ricorrente attraverso il cancello e dunque l’uso anche da parte sua della strada, ha violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Deduce al contempo che la circostanza che il cancello fosse ricoperto d’edera neppure rileva, atteso che era onere di Co.An.Lu. “dedurre e dimostrare la inagibilità del passaggio e soprattutto l’inizio della sua impraticabilità, onde stabilire il termine iniziale dell’usucapione” (così ricorso, pag. 30).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “omessa pronuncia su uno dei motivi del gravame che viene contestata con specifico riferimento all’error in procedendo ovverosia per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” (così ricorso, pag. 32).

Premette che il tribunale di Pesaro ha ritenuto che le strisce di terreno oggetto della domanda di usucapione fossero individuate nel progetto di frazionamento prodotto dall’originaria attrice e predisposto in data 29.5.2000 dai suoi tecnici di fiducia; che segnatamente il giudice di prime cure ha opinato in tal senso sul presupposto che A.S. non aveva sollevato obiezioni in ordine alle avverse produzioni documentali e che ella ricorrente parimenti non le aveva disconosciute giacchè inizialmente contumace.

Indi deduce che con l’atto di appello ha provveduto a censurare specificamente la riferita valutazione del primo giudice; che ha prospettato alla corte di Ancona che, costituitasi all’udienza di precisazione delle conclusioni, aveva contrastato le avverse deduzioni e produzioni documentali, sicchè “il primo giudice aveva errato nel ritenere incontestata la perizia de qua che, quindi, avrebbe dovuto ritenersi improduttiva di effetti nei suoi confronti” (così ricorso, pag. 33); che “l’obiezione non è stata minimamente valutata dalla Corte Territoriale” (così ricorso, pag. 34).

Si puntualizza previamente che il giudizio iscritto al n. 5406/2012 R.G. (giudizio al quale i contro ricorrenti hanno chiesto la riunione del presente procedimento) è stato da questa Corte definito con sentenza n. 19721/2016, sentenza che ha rigettato il ricorso proposto da S.A. e R. (quali eredi di Co.Pr.) nei confronti di Ca.Gi..

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Il che ne suggerisce l’esame contestuale.

Ambedue i motivi comunque sono destituiti di fondamento.

Si premette che entrambi i mezzi di impugnazione si qualificano esclusivamente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Occorre tener conto, da un lato, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Occorre tener conto, dall’altro, che con gli addotti motivi la C. censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso.

Più esattamente, con precipuo riferimento al primo motivo, va specificato che la circostanza per cui il cancello fosse impraticabile siccome ricoperto d’edera, è – circostanza – di natura propriamente probatoria, emersa nel corso dell’attività istruttoria e debitamente vagliata, del quadro delle ulteriori risultanze probatorie, dai giudici del merito in esplicazione della loro potestas decidendi. La circostanza surriferita dunque non era destinata a rilevare in quanto fosse ed a condizione che fosse ascrivibile alle iniziali prospettazioni in fatto di Co.An.Lu. (cfr. Cass. 8.5.2006, n. 10499, secondo cui il vigente ordinamento processuale è ispirato ai principi del libero convincimento del giudice e di libertà delle prove, in forza dei quali tutti i mezzi di prova hanno pari valore, sicchè nulla esclude che il giudice tragga gli elementi del proprio convincimento dalle risultanze probatorie comunque acquisite agli atti).

La prefigurazione, in parte qua, del vizio di ultrapetizione è perciò del tutto ingiustificata.

Più esattamente, con precipuo riferimento al secondo motivo, va specificato che la confutazione delle produzioni documentali (in particolare del progetto di frazionamento datato 29.5.2000) e delle argomentazioni difensive avversarie, cui in primo grado, all’udienza di precisazione delle conclusioni, C.V. aveva provveduto, del pari riveste significato in proiezione propriamente probatoria. Ebbene in tale proiezione la corte di merito ha debitamente riscontrato e avallato la correttezza del primo dictum alla luce della ineccepibile valutazione che delle complessive risultanze istruttorie il primo giudice aveva operato.

La prefigurazione, in parte qua, del vizio di omessa pronuncia su uno dei motivi di gravame è analogamente in toto ingiustificata.

I presunti vizi che l’uno e l’altro mezzo veicolano, rilevano quindi in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), recte in relazione alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), quale introdotta dal D.Lsg. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (è il caso de quo: la sentenza della corte di Ancona è stata depositata il 22.8.2013).

In tal guisa riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, da un canto, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, dall’altro, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Per un verso, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (“il Tribunale (…) ha valutato tale circostanza unitamente alle risultanze degli altri mezzi istruttori”: così sentenza d’appello, pag. 8; “da una lettura completa delle deposizioni testimoniali emerge che il cancello era ricoperto da edera”: così sentenza d’appello, pag. 8).

Per altro verso, che la corte marchigiana ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa.

Del resto, la ricorrente censura la valutazione delle risultanze di causa (“il solo potere, da parte della C., di esercitare le facoltà inerenti al suo diritto di proprietaria di quel cancello, rendeva equivoca e non pacifica la situazione possessoria della Co. che, perciò, non presentando i caratteri della pienezza ed esclusività, non poteva dar luogo alla pronuncia di usucapione”: così ricorso, pag. 31; “la mancanza di prova (…) circa l’inagibilità del cancello ed, in particolare, circa l’inizio dell’inagibilità, erano sufficienti ad escludere (…)”: così ricorso, pag. 32; “il primo giudice aveva errato nel ritenere incontestata la perizia de qua”: così ricorso, pag. 35).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4) – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

E parimenti nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dello stesso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (cfr. Cass. (ord.) 6.7. 2015, n. 13928).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

A.S. non ha svolto difese.

Nonostante il rigetto del ricorso pertanto nessuna statuizione nei suoi confronti va assunta in ordine alle spese.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 16.12.2013.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, C.V., a rimborsare ai controricorrenti, S.A. e S.R., le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, I.V.A. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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