Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6265 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. I, 05/03/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32745/2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Del Casale

Strozzi, 31, presso lo studio dell’avvocato Laura Barberio che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ex

lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 03/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da C.M., proveniente dalla Costa d’Avorio, volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il Tribunale argomentava che il richiedente aveva riferito di avere lasciato la Costa d’Avorio il 10 gennaio 2014 e di essere giunto in Italia dopo aver attraversato Mali, Algeria e Libia, per il timore di essere ucciso dai seguaci dell’attuale presidente della Costa d’Avorio, O., a cagione del fatto che egli era percepito nel proprio quartiere, abitato in maggioranza da sostenitori di O., come sostenitore del presidente uscente G.. A far data dalle campagna elettorale del 2010-2011, avendo gli accompagnato il fratello a fare propaganda politica, aveva subito minacce, il fratello era stato picchiato e ucciso e la sua officina era stata incendiata.

3. Riteneva che il racconto non fosse credibile, essendo privo di coerenza logica interna, avendo il richiedente risposto a specifica domanda della Commissione che lui stesso e il fratello non avevano svolto mai attività politica, laddove le recenti informazioni sul Paese di origine, che richiamava a pg. 11 del decreto, riferiscono che gli arresti riguardano solo le persone che avevano ricoperto, nell’ambito delle milizie, incarichi di potere di rilievo e ruoli chiave a sostegno del Presidente G.; inoltre il tempo intercorso tra la campagna elettorale in cui aveva riferito di avere svolto il ruolo di autista e l’episodio violento del 2013 era troppo lungo per poter ritenere che l’uccisione del fratello fosse legata a motivi di carattere politico. Le contraddizioni inficiavano la credibilità dell’intera ricostruzione.

4. Escludeva, sulla base delle numerose fonti aggiornate citate dalla Commissione territoriale, che la Costa d’Avorio presentasse una generalizzata situazione di violenza indiscriminata.

5. Negava infine l’esistenza di una situazione di vulnerabilità determinante la concessione della protezione umanitaria, in quanto il ricorrente aveva prodotto l’attestato di partecipazione a un corso di lingua italiana e di prestazione di lavoro volontario, ma non risultava una situazione personale e familiare rilevante ai sensi dell’art. 8 CEDU, in mancanza di un’attività lavorativa produttiva di adeguato reddito e senza quindi alcuna possibilità di indipendenza e di integrazione sociale.

6. Per la cassazione del decreto C.M. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi.

7. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale.

9. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), art. 3, comma 3 e art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e omessa motivazione in ordine alla richiesta del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), relativa ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria per il rischio di trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei sospettati di appartenere al partito politico FPI e alla effettiva tutela da parte delle forze dell’ordine avverso tali efferate aggressioni e uccisioni consistenti in violazione dei diritti umani e ai rischi di arresti arbitrari e torture per motivi politici; deduce altresì violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lettera c) e omessa attivazione dei poteri officiosi.

10. I due motivi non sono fondati.

11. Questa Corte ha chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018).

12. Il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15794 del 12/06/2019).

13. Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279).

14. Nel caso, il Tribunale ha compiuto il dovuto vaglio delle dichiarazioni del richiedente, anche alla luce delle informazioni assunte in merito al paese di provenienza, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicchè la doglianza relativa alla necessità di procedere ad ulteriore cooperazione istruttoria officiosa costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure attinta sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

15. Quanto alla censura relativa al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), va premesso che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui deve essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018, n. 30105).

16. L’utilizzazione delle informazioni sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza – in via preferenziale, ma non esclusiva, attraverso lo scrutinio delle cd. c.o.i., “country of origin informations” – al fine di verificare se nel Paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rientro del richiedente, costituisce ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, un potere-dovere del giudice, esercitabile anche d’ufficio, sicchè dell’esito di tali informazioni egli è tenuto a rendere contezza nella motivazione. Tale esercizio non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass. n. 14283 del 24/05/2019).

17. Nel caso in esame, il giudice di merito ha escluso la ricorrenza di tale situazione dopo avere consultato le fonti aggiornate e accreditate indicate a p. 11 del decreto e quelle già utilizzate dalla Commissione territoriale, richiamate per relationem a pg. 14. Il ricorrente non contesta l’attendibilità di tali fonti, ma ve ne contrappone altre, che riferisce essere già state prodotte nel giudizio di merito e che quindi facevano parte del materiale a disposizione del giudice di merito ai fini della propria valutazione, che tuttavia ha sortito esito diverso da quello sollecitato dal richiedente.

18. Ed allora le censure sviluppate sono inammissibili, in quanto dirette a sollecitare una rivisitazione del giudizio di merito in ordine ai paventati rischi in caso di rientro nel paese di origine, al di là dei limiti consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

19. Come terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 TUI e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

20. Neppure tale motivo è fondato.

21. Questa Corte ha chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

22. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

23. Nel caso, il Tribunale ha argomentato che non erano state dedotte specifiche condizioni di vulnerabilità: a fronte della situazione riferita al paese di origine, già ritenuta inidonea a configurare una compressione dei diritti umani, neppure risultavano allegate le circostanze fattuali per compiere il dovuto giudizio di comparazione in ordine alla situazione di integrazione del richiedente nel nostro paese, che neppure vengono prospettate in questa sede.

24. Segue coerente il rigetto del ricorso.

25. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

26. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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