Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6263 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. I, 05/03/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32608/2018 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in Gallarate (VA) via G.B.

Trombini n. 3, presso lo studio dell’avv. Daniela Vigliotti, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da R.A., proveniente dal distretto del (OMISSIS) in (OMISSIS), volta ad ottenere, in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il Tribunale argomentava che il richiedente aveva riferito che il padre era stato candidato alle elezioni comunali e, alla vittoria del partito avverso, era stato ferito mentre tornava a casa e poi ucciso. Egli aveva dunque fatto denuncia alla polizia, ma a cagione di ciò aveva subito minacce telefoniche e aggressioni.

3. Riteneva che il racconto non rientrasse nella invocata fattispecie normativa, in quanto le minacce erano conseguenza della denuncia alla polizia, mentre il suo coinvolgimento politico era poco significativo e non consentiva di ritenere credibile una persecuzione. Le dichiarazioni relative alle pretese minacce di morte erano del tutto generiche e non circostanziate e neppure collocate temporalmente. La mancata credibilità del richiedente era suffragata dall’attuale permanenza nel paese di origine sia della moglie – che pure sarebbe stata vittima delle minacce da parte dei rivali politici – sia dei figli, che vivevano nel villaggio di (OMISSIS).

4. Per la cassazione del decreto R.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11 in combinato disposto con l’art. 46 paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2012 e con l’art. 3 Cost., comma 1 e art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 117 Cost., comma 1, per avere il Tribunale di Milano rigettato il ricorso proposto senza previa fissazione dell’udienza di comparizione personale delle parti finalizzata a rendere l’interrogatorio libero del ricorrente, nonostante la mancanza della videoregistrazione delle dichiarazioni rese avanti alla Commissione.

2. Il motivo non è fondato.

A pg. 3 del ricorso si riferisce che con decreto del 3/8/2018 veniva fissata per il giorno 13/9/2018 l’udienza di sola comparizione delle parti davanti al giudice designato, non finalizzata a far luogo all’interrogatorio libero.

3. Questa Corte, nell’enunciare il principio secondo cui, in mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti la nullità del decreto pronunciato all’esito del ricorso, salvo che non sia stato lo stesso richiedente ad aver visto accolta la propria istanza motivata di non avvalersi del supporto della videoregistrazione, ha precisato che l’obbligatorietà della fissazione dell’udienza di comparizione, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis non comporta automaticamente la necessità di dar corso alla audizione del richiedente (cfr. da ultimo Cass. n. 5973 del 28/02/2019 e n. 2817 del 31/01/2019).

4. Tale affermazione, si è detto, trova conforto nella giurisprudenza comunitaria, la quale, pronunciandosi in ordine all’interpretazione degli artt. 12, 14, 31 e 46 della Direttiva 2013/32/CE del 26 luglio 2013, ha precisato che l’obbligo di consentire al richiedente di sostenere un colloquio personale, prima di decidere sulla domanda di protezione internazionale, grava esclusivamente sull’autorità incaricata di procedere all’esame della stessa, e non si applica 2 pertanto nei procedimenti d’impugnazione, in quanto l’obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, imposto al giudice competente dall’art. 46, par. 3, della Direttiva dev’essere interpretato tenendo conto della stretta connessione esistente tra la procedura d’impugnazione e quella di primo grado che la precede, nel corso della quale dev’essere consentito al richiedente di sostenere il colloquio personale, con la conseguenza che il giudice può decidere di non procedere all’audizione nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale svoltosi in occasione del procedimento di primo grado (cfr. Corte di Giustizia UE, 26/07/2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko).

5. Nel caso, il Tribunale ha motivato le ragioni per le quali non ha ritenuto di procedere a nuova audizione dell’interessato, argomentando che la difesa del ricorrente non aveva introdotto nuovi temi d’indagine, nè aveva allegato fatti nuovi, sicchè tutti gli elementi fattuali necessari per la decisione erano già stati posti all’attenzione del Collegio. Motivazione che neppure viene fatta oggetto di specifica censura.

6. Come secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 51 del 2007, art. 14, lett. c) per non avere il Tribunale di Milano riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla sua vita, in ragione della situazione socio politica del paese di provenienza. Richiama fonti internazionali (rapporto EASO dell’agosto 2017) che riferiscono di tre attentati a (OMISSIS) del 2017 e 2018, che hanno provocato morti e feriti.

7. Il motivo non è fondato.

Il Tribunale, in relazione alla situazione generale del (OMISSIS) e particolare del (OMISSIS), ha argomentato che, secondo quanto risulta dalla fonte EASO 2017, la regione dalla quale proviene il ricorrente registra un miglioramento generalizzato della sicurezza, con una riduzione degli attentati. Ha aggiunto che con particolare riguardo al (OMISSIS), risultano intraprese nel 2016 13 operazioni di sicurezza dalle Milizie statali ed anche il numero degli attacchi terroristici è in diminuzione, unitamente ai civili coinvolti negli stessi, mentre la situazione critica risulta concentrata in regioni diverse da quella di provenienza del ricorrente.

8. La delibazione circa l’esclusione dell’esistenza nel (OMISSIS) di una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c)) è stata quindi nel caso compiuta ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, utilizzando informazioni attendibili ed aggiornate, mentre il ricorrente fa riferimento ad attentati terroristici che pure sono stati valutati, ma ritenuti non decisivi, dal giudice di merito. Il motivo si sostanzia dunque in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9. Come terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 3 per non avere il Tribunale di Milano assolto all’onere di cooperazione istruttoria gravante in capo all’autorità giudiziaria.

10. Il motivo non è fondato: questa Corte ha chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197de128/09/2015, n. 27336de129/10/2018).

11. Il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. n. 15794 del 12/06/2019).

12. Qualora le dichiarazioni del richiedente, come nel caso, siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279), censura qui non idoneamente proposta.

13. Come quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19 TUI per non avere il tribunale riconosciuto al richiedente la protezione per motivi umanitari in ragione della generale situazione socio politica del paese di provenienza.

14. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha argomentato che il ricorrente non aveva allegato situazioni tali da delineare una situazione di integrazione in Italia sufficiente a far ritenere che le proprie condizioni di vita subirebbero un pregiudizio tale da integrare un’ incolmabile sproporzione rispetto a quanto troverebbe nel Paese di provenienza, considerato anche che il suo nucleo familiare composto da moglie e quattro figli risiede stabilmente nel villaggio di origine e che in Italia egli non possiede alcun impiego neppure temporaneo.

15. Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia deve fondarsi su un’ effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

16. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

17. Il motivo dunque è meramente contrappositivo della valutazione che il giudice di merito ha compiuto in coerenza con i parametri normativi.

18. Segue il rigetto del ricorso.

19. Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo svolto il Ministero intimato attività difensiva.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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