Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6262 del 24/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30345-2018 proposto da:

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 409/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/04/2018 R.G.N. 3265/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2022 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale della RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a (d’ora in avanti, RAI) e di quello incidentale di T.S., e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la RAI al pagamento della somma di Euro 332.934,00 a titolo di risarcimento del danno alla professionalità, e della somma di Euro 20.000,00 quale risarcimento del danno biologico, oltre accessori di legge; ha respinto la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance e di risarcimento di altre voci di danno non patrimoniale. Ha confermato nel resto la decisione impugnata.

2. Avverso tale sentenza la RAI ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi. T.S. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi. La RAI ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380.bis.1 c.p.c..

4. Con il primo motivo di ricorso la RAI ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione all’art. 1325 c.c., n. 4 e art. 1324 c.c., nonché ai principi di diritto in materia di libertà di forma degli atti di esercizio dei poteri datoriali, per avere la Corte di merito ritenuto che, nel contesto della vicenda oggetto di causa, l’assegnazione di incarichi al ricorrente in primo grado dovesse essere fatta per iscritto.

5. Con il secondo motivo di ricorso la RAI ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza, sotto il profilo della natura meramente apparente della motivazione, in ordine alla questione della modalità di comunicazione al T. delle proposte di incarico.

6. Con il terzo motivo di ricorso la sentenza d’appello è censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., sotto il profilo della mancata utilizzazione della deposizione del teste Flussi, in relazione ad una sua pretesa inattendibilità.

7. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per la natura meramente apparente della motivazione circa la pretesa inattendibilità del teste Flussi.

8. Con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., anche in relazione agli artt. 1957 e 1974 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la transazione proposta dalla RAI al T. fosse di natura preclusiva di ogni sua pretesa coltivata nei giudizi tra le parti e che l’esistenza di precedenti giudicati precludesse in radice la stipula di una transazione.

9. Con il sesto motivo di ricorso si addebita alla pronuncia d’appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. in relazione patrimoniale da lesione della professionalità dedotto dal T. potesse riproporsi tale quale dopo la precedente lesione denunciata per lo stesso titolo.

10. Con il settimo motivo di ricorso si critica la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., anche in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere ritenuto, in presenza della censura della RAI relativa alla carenza di allegazioni a sostegno del danno alla professionalità, che la stessa potesse essere superata dall’uso della prova presuntiva.

11. Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., anche in relazione all’art. 2103 c.c., per avere la Corte ritenuto che il parametro per la liquidazione equitativa del danno patrimoniale alla professionalità potesse riferirsi anche ad una voce di retribuzione variabile legata al risultato.

12. Con il nono motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente sulla questione della percentuale di retribuzione da prendere in esame ai fini della liquidazione equitativa del danno alla professionalità.

13. Con il decimo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente sulla questione del riconoscimento di una personalizzazione del danno biologico.

14. I primi quattro motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente poiché investono, da diversi angoli di visuale, la medesima statuizione d’appello sul mancato adempimento, da parte della RAI, all’onere di provare l’assegnazione o l’offerta al dipendente di incarichi adeguati alla sua qualifica professionale.

15. La denuncia di violazione degli artt. 1324 e 1325 c.c. si fonda su un assunto errato, cioè che la sentenza impugnata abbia ritenuto “necessaria la formulazione scritta da parte della RAI di proposte di incarico al sig. T.”. In nessun passaggio della pronuncia d’appello si rinviene una simile affermazione, avendo la Corte di merito svolto null’altro che la valutazione del materiale probatorio raccolto, di sua competenza.

16. La sentenza d’appello ha ritenuto che la società non avesse assolto all’onere di prova, sulla stessa incombente, di aver adibito il lavoratore a mansioni confacenti alla qualifica posseduta ed ha motivato tale conclusione sul rilievo di inattendibilità del teste Flussi e sulla esistenza di elementi indiziari che deponevano in senso contrario all’assunto della RAI; quest’ultima, in altre occasioni (missiva dell’11.2.2014 prot. n. 1896, in ottemperanza al decisum di un precedente giudizio), aveva proposto al T. alcuni incarichi per iscritto (anche se poi non aveva dato seguito alcuno alla propria offerta), mentre mancava nel caso di specie qualsiasi traccia documentale, essendo ragionevole e conforme all’id quod plerumque accidit che “considerato il lungo e complesso contenzioso tra le parti, era certo interesse del datore di lavoro lasciare precisa traccia scritta di tali asserite proposte, proprio al fine di darne poi dimostrazioni in un’eventuale, quanto molto probabile, giudizio”.

17. Non solo il ragionamento presuntivo risulta applicato conformemente ai canoni dettati da questa Corte (v. Cass. n. 14762 del 2019; n. 29635 del 2018; n. 6387 del 2018; n. 6081), ma neppure vi è spazio per ravvisare nel giudizio di inattendibilità del teste Flussi una violazione dell’art. 115 c.p.c.. La deposizione testimoniale è stata oggetto di scrutinio, sia pure negativo, e tanto basta ad escludere ogni ipotesi di contrasto con la disposizione citata; del giudizio negativo è stata resa una motivazione per niente apodittica, in quanto facente leva sull’interesse del testimone rispetto all’esito della lite e sulla ricorrenza di elementi logici contrari alle affermazioni del medesimo, rivelandosi ogni altra critica inammissibile in questa sede in quanto afferente al concreto apprezzamento della prova.

18. Il quinto motivo di ricorso risulta inammissibile poiché inidoneo a incidere sulla ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto non dimostrata, dalla società onerata l’attribuzione al dipendente di mansioni corrispondenti alla sua qualifica professionale e irrilevanti, a tal fine, i “tentativi di una conciliazione in sede sindacale non riuscita”, peraltro successivi alla instaurazione del giudizio. Non essendo neppure allegato dalla società che la conciliazione in sede sindacale costituisse la sola modalità per assegnare al giornalista posto fuori line un nuovo incarico apicale.

19. Il sesto motivo di ricorso è infondato poiché la Corte territoriale ha riconosciuto il danno alla professionalità in relazione ad un segmento temporale successivo e diverso da quello oggetto del precedente giudizio, definito con sentenza di questa Corte n. 22930 del 2015.

20. Il settimo motivo denuncia, nella sostanza, l’errata interpretazione del ricorso introduttivo della lite in punto di sufficienti allegazioni sul danno alla professionalità. Simile censura, non solo non integra la violazione delle disposizioni denunciate in tema di prova presuntiva e di danno in re ipsa, ma non è neanche veicolata, come necessario, attraverso la deduzione di violazione di specifici criteri ermeneutici, risultando di conseguenza inammissibile.

21. Occorre comunque considerare che, ai fini della prova presuntiva del danno da demansionamento e dequalificazione professionale, costituiscono elementi indiziari gravi, precisi e concordanti la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione (Cass. n. 25743 del 2018; n. 19778 del 2014; n. 4652 del 2009; n. 29832 del 2008) e che l’onere del lavoratore di specifica allegazione dei fatti, che il giudice può valutare al fine di ritenere integrata la prova presuntiva, risulta necessariamente alleggerito laddove, a causa dell’inadempimento datoriale, il dipendente sia stato lasciato in condizione di totale inattività, senza attribuzione di mansioni e assegnazione di compiti; specie ove tale condizione di inattività, in assoluto contrasto con l’art. 2103 c.c., si sia protratta per molto tempo, costituendo in tal caso il danno sofferto dal lavoratore una conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità.

22. Anche l’ottavo motivo è infondato atteso che l’entità della retribuzione può essere assunta, nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa, a parametro del danno da demansionamento (v. Cass. n. 12253 del 2015; n. 7967 del 2002; n. 9228 del 2001) e che il parametro può essere rappresentato anche dalle retribuzioni effettivamente percepite (v. Cass. n. 7967 del 2002 cit.), come nella specie avvenuto, secondo un percorso motivazionale (“ai fini della liquidazione del danno alla professionalità va utilizzata in via parametrica l’intera retribuzione in concreto percepita, perché si verte in tema di totale inattività. (…) va concretamente considerata anche quella parte della retribuzione variabile legata al risultato, dal momento che l’inattività determina quale ulteriore posta di danno sub specie di lucro cessante proprio la mancata possibilità di conseguire il risultato”) che sorregge a sufficienza l’esercizio del potere discrezionale di valutazione equitativa.

23. Il nono e il decimo motivo non possono trovare accoglimento atteso che la motivazione adottata dalla Corte di merito, ai fini della liquidazione equitativa del danno alla professionalità e della personalizzazione del danno biologico, soddisfa ampiamente i requisiti richiesti ai fini dell’art. 132 c.p.c. e le censure mirano piuttosto a mettere in discussione il concreto esercizio del potere equitativo del giudice.

24. Al riguardo, si è precisato che la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria, (Cass. n. 1529 del 2010; n. 12318 del 20/10), caratteristiche non certo rinvenibili nel caso in esame.

Ricorso incidentale di T.S..

25. Con il primo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 32 Cost. e art. 36 Cost., comma 3, dell’art. 2109 c.c., del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 come sostituito dal D.Lgs. n. 213 del 2004, art. 1, comma 1, lett. d); inoltre, dell’art. 7 della Direttiva 2003/88, dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 7 e 23 del c.c.n.l. giornalistico, degli artt. 3 e 3 del contratto integrativo aziendale per i giornalisti RAI; dell’art. 12 c.p.c. e art. 115 c.p.c., comma 1.

26. L’attuale ricorrente incidentale ha premesso di avere chiesto, col ricorso introduttivo di primo grado, la condanna della RAI al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi nonché delle maggiorazioni per il lavoro festivo; di avere proposto uno specifico motivo di appello contro il rigetto di tale domanda da parte del Tribunale; ha sostenuto che la RAI aveva ammesso il numeroso arretrato di ferie e riposi non goduti e di maggiorazioni per lavoro festivo non corrisposte; che la contrattazione collettiva, nazionale e aziendale, non prevede che il giornalista possa autodeterminare i periodi di godimento delle ferie e dei riposi; che il potere di autodeterminazione delle ferie, ove anche esistente, non equivale a rinuncia alle ferie medesime.

27. Il motivo non può trovare accoglimento.

28. La Corte territoriale ha accertato, in fatto, che il T. aveva il potere di autodeterminare le proprie ferie, che lo stesso non risulta aver mai avanzato richiesta di ferie, che non è stata dedotta né dimostrata alcuna necessità aziendale che abbia precluso al predetto il godimento delle ferie.

29. Le censure mosse, là dove contestano, anche indirettamente, tale accertamento fattuale si rivelano inammissibili, in quanto estranee al perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nella parte in cui richiamano la contrattazione nazionale e aziendale, risultano comunque inammissibili atteso che la sentenza impugnata non ha respinto il motivo di appello fondandosi sulla disciplina contrattuale, ma in ragione dell’accertamento del potere del T. di autodeterminarsi nel godimento di ferie e riposi.

30. Neppure è configurabile la violazione delle disposizioni di legge invocate. Questa Corte (v. Cass. n. 13613 del 2020), partendo dalla premessa per cui il diritto alle ferie è irrinunciabile e, come tale, è garantito dall’art. 36 Cost. e dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, ha recepito l’interpretazione data dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea alla direttiva citata, da ultimo con la sentenza del 6.11.2018 (nella causa C-619/16), in cui è stato affermato il seguente principio: “l’art. 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nei limiti in cui essa implichi che, se il lavoratore non ha chiesto, prima della data di cessazione del rapporto di lavoro, di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite, l’interessato perde – automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie prima di tale cessazione, segnatamente con un’informazione adeguata da parte del datore di lavoro stesso – i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell’Unione alla data di tale cessazione e, correlativamente, il proprio diritto a un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute”; sulla base dei seguenti snodi interpretativi: l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da tale direttiva, che comprenda finanche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il diritto medesimo (sentenza del 20 gennaio 2009 C350/06 e C-520/06, punto 43 e giurisprudenza ivi citata); invece non è compatibile con il suddetto art. 7 una normativa nazionale che preveda una perdita automatica del diritto alle ferie annuali retribuite, non subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, infatti il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti. Se risulta quindi che il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite, dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, l’art. 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/88 non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute.

31. Nel caso in esame, in base all’accertamento compiuto dal giudice di merito, il mancato esercizio da parte del T. del diritto alle ferie e ai riposi non pare rimproverabile al datore di lavoro, bensì unicamente al lavoratore medesimo, dotato delle necessarie prerogative per la scelta delle modalità di esercizio del diritto medesimo, dovendo quindi escludersi la dedotta violazione di legge.

32. Con il secondo motivo di ricorso incidentale è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per omessa pronuncia, nonché violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 115 c.p.c., comma 1, art. 132 c.p.c., n. 4.

33. Si assume l’omessa pronuncia della sentenza impugnata sulla richiesta di maggiorazioni per il lavoro festivo, rispetto a cui la controparte aveva contestato non l’an, ma solo la determinazione della base giornaliera imponibile.

34. Il motivo è infondato avendo la sentenza esaminato la censura del lavoratore sul lavoro festivo unitamente a quella relativa al mancato godimento delle ferie e adottato un’unica motivazione di rigetto, fondata sul potere del T. di autodeterminarsi nell’esecuzione della prestazione e nell’organizzazione del lavoro. La Corte d’appello ha sul punto confermato la decisione di primo grado (riportata a pag. 8 della sentenza d’appello) secondo cui “il contesto risultato dall’istruttoria porta ad escludere che vi fossero ragioni di servizio per indurre il ricorrente alla presenza in ufficio anche durante il periodo di ferie o i giorni festivi”.

35. Le considerazioni finora svolte conducono al rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

36. Le spese del presente giudizio sono compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.

37. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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