Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6261 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 657-2014 proposto da:

ROMAGNANO COSTRUZIONI S.a.S. DI C.V. & C., in persona

del legale rappresentante pro tempore C.V. elettivamente

domiciliati in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che li rappresenta e difende assieme all’Avvocato ALFREDO

FERRARI giusta procura speciale estesa a margine del ricorso;

– ricorrenti-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/1/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del TRENTINO ALTO ADIGE, depositata il 19/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/1/2022 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Romagnano Costruzioni S.a.S. di C.V. & C. e C.V. propongono ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Trentino-Alto Adige aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 28/4/2010 della Commissione Tributaria Provinciale di Trento, che aveva respinto il ricorso avverso avviso di liquidazione di imposta di registro relativa a contratto di apertura di credito, contratto di accollo di mutuo ipotecario, atto di costituzione di società e successivo scioglimento della stessa, riqualificati dall’Amministrazione come unico atto di compravendita immobiliare a titolo oneroso;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

con ordinanze emesse all’esito delle adunanze camerali del 24.10.2019 e dell’11.12.2020 il Collegio disponeva il rinvio a nuovo ruolo del giudizio in ragione del vaglio di costituzionalità a cui era stato sottoposto l’art. 20 cit.;

i ricorrenti hanno da ultimo depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. con il primo mezzo parte ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20), lamentando che la riqualificazione contrattuale sia consentita solo “quando gli atti presentino intrinseca natura voluta dalle parti, non corrispondente alla loro forma apparente”, circostanze da escludere nella fattispecie;

1.2. con il secondo mezzo si denuncia violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 42, per avere l’imposta in esame natura suppletiva, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione Tributaria Regionale;

1.3. con il terzo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76) per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso di rilevare l’intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere impositivo, essendo stato emesso l’atto impugnato dopo il decorso del termine di tre anni, decorrenti dalla data di richiesta di registrazione per gli atti presentati a tale scopo;

1.4. con il quarto motivo si lamenta “contraddittoria, insufficiente e solo apparente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” costituito dall’iniziale apertura di credito ad opera di Co.Mi. e di C.V. e dall’effettiva partecipazione della prima all’attività d’impresa della società per tutta la sua durata;

2.1. va accolta la prima censura;

2.2. come leggesi nella sentenza impugnata, la vicenda, che ha dato luogo all’adozione dell’avviso di accertamento impugnato, è la seguente: il 23 dicembre 2003 i coniugi C.V. e Co.Mi. stipulavano con la Cassa Rurale di Aldeno un contratto di apertura di credito di Euro 390.000,00 con garanzia ipotecaria sull’immobile (OMISSIS), situato in contrada Romagnano; il 28 gennaio 2004 Co.Mi. si accollava il 50% del debito contratto con la Cassa Rurale; il 4 febbraio 2004 veniva costituita la società Romagnano Costruzioni S.a.S. di C.V. & C., nella quale Co.Mi., quale socia fondatrice, sottoscriveva una quota di Euro 24.000,00, corrispondente al 25% del capitale sociale, conferendo la proprietà della (OMISSIS) del comune di Romagnano, di cui sopra, e della cubatura edificabile relativa alla (OMISSIS); il valore netto dei beni conferiti, pari ad Euro 24.000,00, veniva imputato a capitale; la società conferitaria dei beni immobili si accollava il mutuo ipotecario, versando alla registrazione l’imposta di registro per l’8% del valore conferito (pari ad Euro 24.000,00) e l’imposta ipotecaria pari al 2% del valore immobiliare (pari ad Euro 414.000,00); il 12 dicembre 2005 C.V., Co.Mi., P.N. e P.E., cui faceva capo l’intero capitale sociale, scioglievano la società senza messa in liquidazione, la cui durata nell’atto costitutivo era stata prevista fino al 31.12.2017; nel 2007 veniva costituita la società Penta Costruzioni s.a.s. di C.V. & C., avente lo stesso oggetto sociale e la medesima compagine societaria, a cui si aggiungevano solamente altre due socie;

2.3. l’Agenzia delle entrate, ravvisando nell’evidente collegamento negoziale la sola finalità del risparmio dell’imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20, 21, 41, 43 e 50 e del D.Lgs. n. 347 del 1990 recuperava quest’ultima per Euro 33.345,00 (ordinaria imposta di registro sul valore dell’immobile);

2.4. i contribuenti hanno contestato per i fini di cui all’art. 20 Legge di registro la possibilità di valorizzare un eventuale collegamento funzionale tra più atti negoziali, per assoggettare a tassazione gli effetti giuridici finali in concreto conseguiti;

2.5. l’Ufficio ha contrastato il ricorso assumendo, al contrario, essere pienamente legittimo ricondurre ad unità un frazionamento negoziale di una pluralità di atti, per tassarne l’effetto finale, e che, se è vero che l’imposta di registro debba essere applicata in base alla “intrinseca natura” ed “agli effetti giuridici degli atti”, è altrettanto vero che è necessario tener conto dell’eventuale collegamento funzionale instaurato dalle parti tra più negozi giuridici (collegamento volontario);

2.6. in diritto, va posta in rilievo, in primo luogo, la più recente elaborazione giurisprudenziale costituzionale in materia in riferimento all’interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20;

2.7. con la recente sentenza n. 158 del 21 luglio 2020 la Corte Costituzionale ha analizzato la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, c.d. TUR), art. 20, nella parte in cui, nella sua attuale formulazione, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi””;

2.8. la questione era stata sollevata da questa Corte, con ordinanza del 23 settembre 2019 n. 212, sul presupposto che tale formulazione del cit. art. 20 sarebbe lesiva: a) dell’art. 53 Cost., sotto il profilo dell’effettività dell’imposizione, in quanto – in contrasto con il principio “imprescindibile ed anche storicamente radicato” della prevalenza della sostanza sulla forma – “l’esenzione del collegamento negoziale dall’opera di qualificazione giuridica dell’atto produce l’effetto pratico di sottrarre ad imposizione una tipica manifestazione di capacità contributiva”; b) dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’eguaglianza e ragionevolezza, dal momento che “a pari manifestazioni di forza economica (e quindi di capacità contributiva) non possano corrispondere imposizioni di diversa entità (…) a seconda che (…) le parti abbiano stabilito di realizzare il proprio assetto di interessi con un solo atto negoziale piuttosto che con più atti collegati”, non essendo il collegamento negoziale un indice di diversificazione di fattispecie legittimante un trattamento non omogeneo delle situazioni prese a comparazione;

2.9. nel ritenere non fondata la questione di incostituzionalità, la Corte Costituzionale ha evidenziato come il legislatore, con la denunciata norma, ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal Testo Unico;

2.10. in tal modo risulta rispettata la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, coerenza sulla cui verifica verte il giudizio di legittimità costituzionale (su tale esigenza, cfr., ex multis, sentenze n. 10 del 2015, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997);

2.11. ne consegue che le questioni prospettate con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. sono state ritenute non fondate, in quanto si basano sull’assunto del rimettente che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri;

2.12 tale assunto è stato invece respinto dalla Consulta sul rilievo che tali parametri, sul piano della legittimità costituzionale, non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte del legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” dello stesso testo unico;

2.13. in tal modo, del resto, il criterio di qualificazione e di sussunzione in via interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo le regole del Testo Unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata;

2.14. la pronuncia evidenzia, pertanto, che non può ritenersi manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la ratio dell’imposta di registro in sostanziale conformità alla sua origine storica di “imposta d’atto” nei sensi sopra precisati in caso di collegamento negoziale, atteso che, sul piano costituzionale, l’interpretazione evolutiva del D.P.R. n. 131 del 1986, detto art. 20, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, consentendo, infatti, all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea);

2.15. trova pertanto conferma la tesi, più volte ribadita in altre occasioni da questa Corte, pertanto, secondo cui: a) l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i tributi armonizzati, mentre per i tributi non armonizzati occorre una specifica previsione normativa (Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass. 31 maggio 2016, n. 11283, Cass. n. 6758/2017); b) sempre in tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 concerne l’oggettiva portata effettuale dei negozi e non contiene quindi una disposizione antielusiva strictu sensu, come quella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, sicché l’avviso di liquidazione ex art. 20 non soggiace all’obbligo di contraddittorio preventivo ex art. 37-bis (cfr. Cass. 19 giugno 2013, n. 15319), pure aggiungendosi che il ricordato art. 20 T.U. Registro non esprime una regola antielusiva, bensì una regola interpretativa (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3562);

2.16. è poi opportuno precisare che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali;

2.17. esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva (cfr. Cass. S.U. n. 30005/2008; Cass. nn. 34595/2019, 31772/2019, 3938/2014, 2011/21782);

2.18. tuttavia il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta, e la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (cfr. Cass. nn. 439/2015, 3938/2014);

2.19. in particolare, il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali (cfr. Cass. nn. 869/2019, 4604/2014, 1372/2011);

2.20. nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale, nel riformare la sentenza di primo grado, ha affermato che gli avvisi di liquidazione vengono fondati dall’Ufficio finanziario sulla Legge di registro, art. 20, ravvisando nell’art. 20 una norma antielusiva nell’ambito specifico dell’imposta di registro;

2.21. il Collegio non ritiene condivisibili le affermazioni della CTR, atteso che se è indubitabile che l’Amministrazione in forza di tale disposizione non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella “forma apparente” al quale lo stesso art. 20 fa riferimento, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici;

2.22. come ribadito anche dalla Consulta, non deve ricercare pertanto un presunto effetto economico dell’atto tanto più se e quando – come nel caso di specie – lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici che si vogliono realizzare;

2.23. così posta la questione, pertanto, priva di rilievo risulta la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell’operazione in quanto, una volta riconosciuto, alla luce dei principi innanzi enunciati, che ci si trova di fronte ad un caso di conferimento societario immobiliare (come nella fattispecie in esame ritenuto dall’Agenzia delle Entrate), pur inerente il diritto di proprietà su terreno edificabile, oggetto di rilievo da parte dell’Erario, non è richiesta alcuna valutazione circa l’esistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare l’operazione medesima, per come strutturata, né tantomeno incombe sull’Ufficio alcun onere probatorio al riguardo;

2.24. l’esaminata disposizione non richiede invero l’intento elusivo, che può esserci ma non deve necessariamente esserci, sicché il tema d’indagine non consiste nell’accertare cosa la parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale, e tanto non discende dal contenuto delle peculiari dichiarazioni delle parti medesime;

2.25. come pure evidenziato da autorevole dottrina, il tributo del registro può atteggiarsi come imposta, quando è rapportato, in misura proporzionale, al valore dell’atto registrato (contratto, sentenza, ecc.) a contenuto economico, assunto dal legislatore come indice di capacità contributiva, e come tassa, quando è dovuto in misura fissa, in tal caso trovando come presupposto e giustificazione la prestazione di un servizio, cioè la registrazione (e conservazione) di un atto;

2.26. va quindi, ribadito che “l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano” (cfr. Cass. n. 3562/2017; conf. Cass. n. 5748/2018);

2.27. sulla base di quanto affermato dalla Consulta nella sentenza dianzi citata, inoltre, circa la necessità di tassazione isolata al solo ed esclusivo atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati, in coerenza con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro e, in particolare, con la natura di “imposta d’atto” storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta, ne consegue che, pur restando ferma la possibilità di sindacato delle operazioni straordinarie ai sensi della disciplina di contrasto all’abuso del diritto, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 53-bis del TUR alla disposizione antielusiva generale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, va affermato come ai fini dell’imposta di registro operazioni strutturate mediante conferimento di immobile seguito dal successivo scioglimento della società (come la presente fattispecie) non possano essere riqualificate in una cessione di immobile e non configurano di per sé il conseguimento di un vantaggio indebito realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (fatta salva l’ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi, ad esempio una fusione diretta o inversa, che renderebbero chiara la volontà di acquisire direttamente l’azienda, ovvero di perfezionare ab origine un asset deal);

2.28. peraltro, come precisato dalla Corte Costituzionale, ritenere irrilevanti sia gli elementi extratestuali che gli atti collegati, non significa favorire l’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali, sottraendo all’imposizione l’effettiva ricchezza imponibile, atteso che tale sottrazione “potrebbe rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto” di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10-bis (norma antielusiva);

2.29. va infine evidenziato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 39 del 2021, ha in via preliminare osservato che la L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, nello stabilire che “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”, non detta direttamente, come spesso avviene, un contenuto che viene definito dalla stessa quale interpretazione autentica di una precedente disciplina, essendo invece rivolto a definire, esplicitandola con la forza della legge, la natura di un pregresso intervento legislativo, quello del 2017, che non si era auto-qualificato, affermandone il carattere di interpretazione autentica e di conseguenza determinandone l’efficacia retroattiva;

2.30. fatta tale premessa, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sopra indicata sul rilievo, in particolare, che la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), (norma a cui occorre fare riferimento per individuare la portata retroattiva dell’interpretazione sopra indicata dell’art. 20 cit.) “appare finalizzato a ricondurre il cit. art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico)”, concludendo che “proprio la clausola finale del censurato art. 20 “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” concorre ad avvalorare la suddetta valenza sistematica dell’intervento legislativo del 2017 nell’assetto della disciplina del tributo”;

3. all’accoglimento del primo mezzo consegue l’assorbimento del secondo e quarto motivo di ricorso;

4.1. va inoltre accolto il terzo motivo anche con riguardo ai profili circa la dedotta contestazione alla parte contribuente ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 50, relativamente alle passività gravanti sull’immobile oggetto di conferimento ai fini della determinazione della base imponibile;

4.2. ritenuta, sulla scorta di quanto sin qui illustrato, l’illegittima riqualificazione dell’operazione societaria da parte dell’Ufficio finanziario al fine di ricondurre ad unità il frazionamento negoziale di una pluralità di atti per tassarne l’effetto finale, si osserva dunque che, con riguardo alla decadenza triennale, prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, il termine non può che decorrere dalla data dell’atto di conferimento alla società della proprietà dell’immobile (nell’ottobre 2004), senza tener conto, come invece sostiene l’Agenzia delle entrate, del “momento concludente della volontà elusiva” delle parti, concretatosi nell’atto di scioglimento della società (nel dicembre 2005);

4.3. alla data di notifica dell’atto impositivo (21/10/2008) l’Amministrazione era dunque già decaduta dal potere di accertamento del maggior valore del compendio oggetto del conferimento societario;

5. in conclusione, il ricorso va accolto quanto al primo ed al terzo motivo, assorbiti i rimanenti motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata;

6. poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso introduttivo della parte contribuente ed annullamento dell’avviso di liquidazione opposto;

6. visto il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento giurisprudenziale in materia, si ritiene che le spese dell’intero giudizio debbano essere compensate.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbiti i rimanenti motivi; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., accoglie il ricorso introduttivo della società contribuente mediante annullamento dell’avviso di liquidazione opposto; compensa le spese dell’intero procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

 

 

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