Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6259 del 24/02/2022
Cassazione civile sez. trib., 24/02/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 24/02/2022), n.6259
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3436/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,
con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
BETON CAMPANIA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa per procura speciale dall’Avv.
Giorgio Sagliocco, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv.
Pasquale Iannuccilli in Roma, Via Lima n. 7, int.7;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Campania n. 196/17/12, depositata l’8 giugno 2012;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 27 gennaio
2022 dal Consigliere Cataldi Michele.
Fatto
RILEVATO
che:
1. La Beton Campania s.r.l. propose ricorso contro l’avviso d’accertamento, in materia di Ires, Irap ed Iva, di cui all’anno d’imposta 2007, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva accertato il maggior reddito d’impresa, e le conseguenti maggiore imposte, all’esito di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza (nel quale era stato dato atto del rinvenimento di documentazione extracontabile), imputando alla predetta società l’omessa fatturazione di ricavi; la mancata contabilizzazione di fatture attive; l’emissione, da parte della contribuente, di fatture attive per operazioni inesistenti; l’indetraibilità di costi relativi a fatture passive per operazioni inesistenti; l’accertamento di maggiori ricavi; l’indeducibilità di perdite su crediti.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Caserta rigettò il ricorso della contribuente. Proposto appello da quest’ultima, la Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza n. 196/17/12, depositata l’8 giugno 2012, lo ha accolto parzialmente, confermando l’accertamento tributario “limitatamente alla determinazione di corrispettivi evasi per complessivi Euro 33.100,00, di cui Euro 20.520,00 per merci non fatturate ed Euro 12.580,00 per saldo di cassa negativo.”.
Avverso quest’ ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, affidandolo a quattro motivi.
La contribuente si è costituita con controricorso.
Successivamente, con istanza dell’11 aprile 2019, la contribuente ha dichiarato di volersi avvalere delle disposizioni di cui al D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, convertito dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136, chiedendo di disporre la sospensione del processo.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Preliminarmente va dato atto che non risulta che la stessa contribuente abbia depositato, entro il 10 giugno 2019, copia della domanda di definizione della lite e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, adempimenti in difetto dei quali il processo non è rimasto sospeso, dopo il 10 giugno 2020 e fino al 31 dicembre 2020, e non sussisteva pertanto il presupposto della necessaria istanza di trattazione di cui al ridetto art. 6, comma 13, proseguendo il procedimento in virtù dell’originario ricorso.
Infatti, come è stato rilevato in fattispecie analoga, “In tema di definizione agevolata D.L. n. 50 del 2017 ex art. 11, comma 8, conv., con modif., in L. n. 96 del 2017, la sospensione del giudizio fino alla data del 31 dicembre 2018 opera soltanto se il contribuente inoltra la relativa richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni di tale norma, e deposita copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, sicché in mancanza di tali adempimenti, non occorre la presentazione, entro il suddetto termine, di un’istanza di trattazione ai sensi del comma 10 della medesima norma, in quanto il relativo procedimento non sospeso prosegue in forza dell’originario ricorso.” (Cass. 02/02/2021, n. 2221).
2. Con il primo, composito, motivo di ricorso l’Amministrazione denuncia:
– in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d); D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54; artt. 2697,2700,2727 e 2729 c.c.;
– in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Assume, infatti, l’Agenzia, con riferimento specifico (ma non esclusivo, essendo la questione interferente anche con gli ulteriori rilievi) alla decisione della CTR in ordine al “rilievo riguardante ricavi evasi per Euro 1.319.152,79”, che il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere che l’Ufficio non avesse dato prova del fondamento dell’accertamento, basato sull’esistenza di documentazione extracontabile (documenti di consegna, schede contabili e quadernoni) della contribuente, rinvenuta dalla Guardia di finanza, trattandosi di documenti che “pur citati, non risultano allegati al PVC, né in alcun modo prodotti in giudizio”, fatta eccezione per un unico “foglio di brogliaccio” e per due buoni di consegna, sulla base dei quali la CTR ha quindi confermato l’avviso d’accertamento nei limiti di Euro 20.520,00.
Rileva, infatti, la ricorrente che nel p.v.c. erano stati trasfusi analiticamente e nel dettaglio i riscontri relativi alla documentazione extracontabile rinvenuta, dalla quale era stata riscontrata l’esistenza di una contabilità parallela a quella ordinaria e, conseguentemente, attraverso l’esposizione di una dettagliata ricostruzione logico-giuridica, la sussistenza di operazioni inesistenti.
Ritiene la ricorrente che per tale contenuto lo stesso verbale abbia rilevanza istruttoria ex se, e anzi goda della fede privilegiata, fino a querela di falso, di cui all’art. 2700 c.c., per cui la CTR avrebbe errato nel non prenderlo in considerazione, ai fini della decisione, anche a prescindere dalla produzione in giudizio di parte della predetta documentazione extracontabile.
Aggiunge poi la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe insufficiente in ordine all’illustrazione delle ragioni per le quali non era stata riconosciuta al p.v.c. efficacia istruttoria, in parte qua, fino a querela di falso.
2.1. Preliminarmente, al fine del positivo riscontro dell’ammissibilità del motivo, va rilevato che, sia nella rubrica che nel corpo del ricorso, la ricorrente ha distinto (graficamente e nei contenuti) la denuncia della violazione e falsa applicazione di legge da quella relativa all’insufficienza della motivazione, che non risultano pertanto coarcevate in maniera inestricabile e non sono quindi inammissibili.
Va, poi, sottolineato che la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione applicabile ratione temporis in relazione alla data di deposito della sentenza impugnata (“per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”) consentiva alla ricorrente di denunciare l’insufficienza della motivazione, come avvenuto nel caso di specie.
Ancora, va dato atto che la ricorrente Amministrazione ha trascritto, per autosufficienza, ampie parti del p.v.c., relative all’articolato contenuto cui si riferisce la sua censura.
Infine, va evidenziato sin d’ora che la questione della rilevanza istruttoria del p.v.c. è esplicitamente richiamata e riproposta dalla ricorrente Agenzia anche nel secondo e nel terzo motivo, con riferimento quindi anche ai rilievi che sono specifico oggetto di tali ulteriori mezzi.
2.2. Le due censure oggetto del primo motivo, per la loro stretta connessione logico-giuridica, vanno trattate congiuntamente e sono fondate, nei termini che seguono.
Giova premettere che la CTR, decidendo nel merito della pretesa impositiva, ha necessariamente dato per presupposto che l’atto impositivo fosse formalmente valido, conclusione che in questa sede non è stata impugnata. Pertanto, non è in discussione la legittimità della motivazione dell’avviso e, quindi, la conoscenza, o quanto meno la conoscibilità, dei documenti sui quali esso si fonda, assicurata, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche per relationem sia con il verbale redatto dalla Guardia di finanza (Cass. 20/12/2018, n. 32957; Cass. 14/01/2015, n. 407, ex plurimis); sia con documenti in possesso, o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente, ai quali il p.v.c. faccia a sua volta riferimento (Cass. 24/11/2017, n. 28060, in fattispecie di rinvio a p.v.c. richiamante bolle di accompagnamento della merce acquistata dal contribuente, in quanto documenti conoscibili).
Tanto premesso, in ordine alla questione dell’efficacia probatoria da riconoscere al p.v.c. questa Corte ha chiarito che ” In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il riferimento contenuto nel processo verbale, sia pure non specifico e analitico, al contenuto di documenti comunque conoscibili dal soggetto sottoposto a verifica, quali le bolle di accompagnamento della merce da lui acquistata, elemento di prova, seppure non assistito da fede privilegiata, idoneo a suffragare le conclusioni in base ad essi raggiunte dai verificatori, non risultando specifiche contestazioni sollevabili dal contribuente all’atto della verifica).” (Cass. 24/11/2017, n. 28060; conforme Cass. 05/10/2018, n. 24461).
Nel caso di specie, il fatto del rinvenimento e dell’acquisizione della documentazione extracontabile in questione corrisponde quindi alla fattispecie sub a) della massima appena citata ed è assistito da fede privilegiata fino a querela di falso. Quanto invece alla veridicità sostanziale del contenuto della stessa documentazione extracontabile (la cui riconducibilità alla contribuente, presso la quale è stata acquisita, potrà essere valutata in chiave indiziaria), essa deve essere parametrata dal giudice di merito, previ i necessari accertamenti in fatto, alle fattispecie sub b) e/o sub c).
Tanto premesso in ordine alle verifiche relative al rinvenimento ed alla veridicità sostanziale della documentazione extracontabile menzionata nel p.v.c., il giudice del merito deve considerare inoltre, quanto all’efficacia probatoria della stessa, che ” In tema di accertamento dell’IVA, la documentazione extracontabile legittimamente reperita presso la sede dell’impresa, ancorché consistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità e nell’adempimento degli obblighi di legge: ne deriva che qualora, a seguito di ispezione, venga rinvenuta presso la sede dell’impresa documentazione non obbligatoria astrattamente idonea ad evidenziare l’esistenza di operazioni non contabilizzate, tale documentazione, pur in assenza di irregolarità contabili, non può essere ritenuta dal giudice priva di rilevanza probatoria, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni dalla stessa promananti e la comparazione delle medesime con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente.” (Cass. 24/08/2018, n. 21138, ex plurimis, in materia di Iva, ma con principio che non vi è ragione di non estendere alle imposte dirette). Inoltre, neanche con riferimento al resto del contenuto del p.v.c. (in particolar modo relativamente al nutrito ed articolato apparato di ulteriori circostanze indiziarie esposto a sostegno dell’esistenza di ricavi non dichiarati, ma anche dell’inesistenza oggettiva di alcune operazioni corrispondenti a fatture sia attive che passive della contribuente) è consentito al giudice tributario negare qualsiasi rilevanza istruttoria, quanto meno indiziaria, avendo già questa Corte, in fattispecie nella quale il giudice del merito aveva escluso la natura fittizia di alcune operazioni, omettendo di motivare sulle circostanze a supporto risultanti dal processo verbale di constatazione, che ” Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste qualora il giudice di merito non abbia tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte degli elementi dimostrativi addotti in giudizio ed indicati nel ricorso con autosufficiente ricostruzione, e si sia limitato ad assumere l’insussistenza della prova, senza compiere una analitica considerazione delle risultanze processuali.”. (Cass. 02/03/2012, n. 3370).
In ogni caso, dunque, il giudice del merito non può escludere in radice qualsiasi rilevanza istruttoria degli atti trasmessi dalla Guardia di finanza che siano stati riportati, sia pur essenzialmente, nel processo verbale di constatazione richiamato, per relationem, nell’avviso d’accertamento, costituendo essi parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare, dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza (arg. anche da Cass. 23/02/2010, n. 4306; Cass. 08/04/2015, n. 6946; Cass. 20/05/2020, n. 9316).
All’accoglimento del primo motivo, nei termini appena illustrati, consegue la cassazione della sentenza impugnata in parte qua, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti in fatto, da condurre in base ai principi appena illustrati.
3. Con il secondo motivo di ricorso l’Amministrazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d); D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54; artt. 2697,2700,2727 e 2729 c.c.
Assume, infatti, l’Agenzia, con riferimento specifico alla decisione della CTR in ordine al rilievo riguardante “l’emissione di fatture per operazioni inesistenti”, che il giudice a quo avrebbe errato nel non apprezzare gli elementi istruttori emergenti dal p.v.c., dai quali sarebbe emersa la fatturazione, da parte della contribuente, di operazioni inesistenti, senza che l’esistenza di queste ultime potesse ritenersi provata dalla documentazione contabile o relativa ai pagamenti.
4. Con il terzo motivo di ricorso l’Amministrazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d); D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54; artt. 2697,2700,2727 e 2729 c.c.
Assume, infatti, l’Agenzia, con riferimento specifico alla decisione della CTR in ordine al rilievo riguardante “l’indetraibilità di costi per Euro 48.318,00”, che il giudice a quo avrebbe errato nel non apprezzare gli elementi istruttori emergenti dal p.v.c., dai quali sarebbe emerso che la contribuente avrebbe utilizzato fatture passive relative ad operazioni inesistenti, senza che l’esistenza di queste ultime potesse ritenersi provata dalla documentazione contabile o relativa ai pagamenti.
4.1. Il secondo ed il terzo motivo, che nel loro contenuto si ricollegano alla questione relativa all’efficacia probatoria del p.v.c., devono ritenersi assorbiti, in quanto, a loro volta, presuppongono la corretta valutazione della possibile rilevanza istruttoria di tale ultimo atto, da accertare e modulare, eventualmente anche in modo differenziato rispetto alle diverse parti del suo contenuto, secondo i principi già ampiamente esposti in sede di trattazione del primo motivo.
Giova, peraltro, rilevare, con riferimento al secondo motivo, che l’assorbimento non è precluso dall’eccezione di inammissibilità, formulata dalla controricorrente sul presupposto che, relativamente all’Iva, la censura non attingerebbe la ratio decidendi secondo cui le fatture erano state annotate nella contabilità dell’azienda ed avevano concorso anche alla liquidazione mensile dell’Iva, con la conseguenza che “L’accertamento di ricavi già dichiarati risulterebbe altresì viziato per duplicazione d’imposta.”.
Invero, la motivazione della CTR sul relativo motivo d’appello si apre espressamente con la constatazione che “anche tale contestazione viene motivata dall’ufficio sulla base di documentazione citata ma non esibita”, palesando pertanto come la questione dell’esame dell’efficacia probatoria delle risultanze istruttorie ricavabili dal p.v.c. si ponga a monte di qualsiasi ulteriore valutazione di merito, anche in ordine all’individuazione dell’effettiva coincidenza dei ricavi accertati con quelli “già dichiarati”, tanto più che tanto la ricorrente (cfr. pag. 17 s. del ricorso), quanto la controricorrente (cfr. pag. 2 del controricorso), danno atto che già nell’atto impositivo l’importo di cui alle fatture emesse dalla contribuente sarebbe stato sottratto dall’imponibile accertato.
Inoltre, la stessa sentenza impugnata “collega” esplicitamente i rilievi oggetto del secondo e del terzo motivo, attinenti rispettivamente fatture emesse e deduzioni di costi, accomunandoli espressamente nella ritenuta mancanza di prova da parte dell’Ufficio, quale ratio radicalmente fondante l’appello erariale.
Pertanto, le censure di cui al secondo ed al terzo motivo devono ritenersi assorbite.
5. Con il quarto motivo di ricorso l’Amministrazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 101, comma 5, per avere accolto l’appello della contribuente in ordine al rilievo concernente le perdite su crediti.
Assume, infatti, la ricorrente Agenzia che, in mancanza di procedure concorsuali aperte nei confronti dei debitori, le perdite sui crediti non avrebbero potuto essere dedotte se non ricorrendo elementi certi e precisi, in particolare l’inutile esperimento dei mezzi legali disponibili. Avrebbe quindi errato la CTR nel riconoscere legittima la relativa deduzione sulla base di una “scheda contabile” relativa ai crediti in sofferenza e della “corrispondenza informativa del legale incaricato, presente in atti, che comunica la esistenza di procedure fallimentari o di inutile prosecuzione della procedura esecutiva, circostanze tutte da qualificarsi come elementi certi e precisi”.
Il motivo è inammissibile.
Infatti nel motivo non viene indicato in che fase e grado del giudizio di merito siano stati prodotti i predetti documenti (la scheda contabile e la corrispondenza informativa) sui quali si fonda l’accertamento censurato. Tanto meno, nel corpo del mezzo, sono riprodotti i ridetti documenti; né, in calce al ricorso, viene data puntuale menzione dell’allegazione specifica degli stessi.
Non risulta quindi adempiuto l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (ex plurimis Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 20/11/2017, n. 27475; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. Un., 03/11/2011, n. 22726; Cass., Sez. Un., 25/03/2010, n. 7161).
Infatti, come questa Corte ha in più occasioni avuto modo di chiarire “detta disposizione, oltre a richiedere l’indicazione degli atti e dei documenti, nonché dei contratti o accordi collettivi, posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale tali fatti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. (…) In breve, il ricorrente per cassazione, nel fondare uno o più motivi di ricorso su determinati atti o documenti, deve porre la Corte di cassazione in condizione di individuare ciascun atto o documento, senza effettuare soverchie ricerche.” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1235 del 2019, in motivazione, ed ulteriore giurisprudenza di legittimità ivi citata). Inoltre il motivo è altresì ulteriormente inammissibile sia perché generico, in quanto non precisa quale sia la specifica censura da riferire ad ognuna delle singole perdite individuate nella motivazione; sia perché (anche in ragione di tale genericità) esprime una censura astratta che, nel ribadire la necessità della ricorrenza di una procedura concorsuale o dell’esperimento dei mezzi legali disponibili, non risulta difforme dalla ratio decidendi – che quindi non attinge criticamente – esposta dalla stessa CTR relativamente all’inutile prosecuzione delle procedure esecutive ed alle procedure fallimentari.
Tanto meno, poi, l’accertamento dei medesimi requisiti di certezza e precisione, operata dalla CTR, potrebbe essere censurata in fatto, non essendo consentito in questa sede di legittimità, se non nei limiti in cui lo permetta la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non formulato nel caso di specie.
In conclusione, in accoglimento del primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo, inammissibile il quarto, la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo ed inammissibile il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022