Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6255 del 05/03/2021
Cassazione civile sez. III, 05/03/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 05/03/2021), n.6255
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33161-2019 proposto da:
A.C., Elettivamente domiciliato in Falconara marittima,
piazza Mazzini, n. 9, presso l’avv. NICOLETTA PELINGA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 555/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 18/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
Fatto
CONSIDERATO
CHE:
A.C. è cittadino (OMISSIS), della regione del (OMISSIS), da cui è fuggito, secondo il suo racconto, per le minacce subite da una setta alla quale si era rifiutato di aderire giungendo inizialmente in Libia, dove ha dovuto lavorare per restituire la somma spesa per il viaggio. Dalla Libia è poi arrivato in Italia, dove ha chiesto protezione da rifugiato, tutela sussidiaria ed umanitaria.
La commissione che ha raccolto le sue dichiarazioni non ha ritenuto credibile il suo racconto, ed ha respinto le richieste di protezione avanzate dallo straniero, reiterate da A. davanti alla giustizia ordinaria. Tuttavia, anche il Tribunale in prima istanza ha ritenuto generiche e poco credibili le affermazioni del ricorrente sui motivi della sua fuga, giudizio questo confermato dalla corte di appello, che inoltre ha ritenuto non sussistere situazione di pericolo in (OMISSIS) e non allegata alcuna condizione di vulnerabilità che giustifichi la concessione della protezione umanitaria.
Diritto
RITENUTO
CHE:
p..- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione alla concessione dello status di rifugiato.
La tesi del ricorrente è che l’onere di dimostrare non solo la vicenda storica che ha portato alla fuga, ma altresì l’esistenza di una persecuzione rilevante ai fini della protezione non è solo a carico del ricorrente, bensì anche dello stesso giudice, o meglio, ripartito fra entrambi. Inoltre, il ricorrente ritiene che la corte abbia errato nel ritenere che le minacce provengono da gruppi privati, come tali non rientranti tra quelli che giustificano una protezione internazionale.
Il motivo è infondato.
Intanto, quanto alla ripartizione dell’onere della prova, esso sarebbe riferito all’accertamento da parte della corte della rilevanza della minaccia, se pur proveniente da un gruppo privato; in altri termini, il ricorrente ritiene che la corte non ha compiuto sforzi istruttori per accertare se la minaccia, pur proveniente da un gruppo privato, potesse avere una rilevanza tale da giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato.
Invero, in tema di protezione sussidiaria, quando si deduca un fatto suscettibile di rilevare D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) riconducibile all’azione di privati, l’onere di allegazione del richiedente deve essere adempiuto in termini sufficientemente specifici, non potendosi, in mancanza, attivare l’obbligo di integrazione istruttoria officiosa D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 (Cass. 8930/ 2019).
p..- Il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione della normativa concernente il riconoscimento della protezione sussidiaria”, senza indicazione delle norme di riferimento.
Ad ogni modo, il senso del motivo di ricorso è il seguente: i giudici di merito non hanno compiuto una valutazione adeguata della situazione oggettiva della (OMISSIS), ed hanno escluso pericoli in caso di rientro, senza valutare la concreta condizione del ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
A parte la genericità della censura, parte ricorrente omette di individuare il motivo di appello del quale la corte si doveva occupare e, per la verità, la stessa esposizione del fatto si limita ad indicare solo la vicenda narrata, senza nulla dire del contenuto della decisione di primo grado e anche lì sui motivi di appello. In pratica nulla viene riferito su quello di cui doveva occuparsi la corte territoriale e, dunque il fatto che la motivazione alluda solo alla sussidiaria ex lett. a) e b), non si sa se sia giustificata da questo. In particolare, non è dato sapere se e che cosa il ricorrente aveva con l’appello prospettato riguardo alla condizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Onde non è possibile apprezzare se la (Ndr: testo originale non comprensibile) svolta nel motivo sia giustificata.
p..- Il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 25 del 2008, art. 32 e L. n. 286 del 1998, art. 6.
Si duole della mancata concessione della protezione umanitaria e ripercorre il contenuto e la ratio delle norme che la disciplinano, sottolineando che le condizioni che rendono possibile la tutela non sono tipiche, ma costituiscono un numero aperto e che la corte non doveva limitarsi a valutare solo le situazioni di vulnerabilità. Il motivo è inammissibile.
Intanto la vulnerabilità è la qualificazione delle condizioni soggettive, nel senso che se esiste una condizione soggettiva che rende il soggetto vulnerabile, prevista la protezione, e dunque la vulnerabilità non è una condizione soggettiva tipizzata ed alternativa o esclusiva delle altre, come parrebbe intendere il ricorrente, ma è la valutazione circa la gravità e rilevanza di una data condizione soggettiva.
Inoltre, il ricorrente, a fronte del giudizio di mancata allegazione di una condizione soggettiva (con il che la corte dimostra di ammettere che il numero delle condizioni aperto), non allega alcunchè e soprattutto non dimostra di avere allegato nel giudizio di merito una qualche condizione (integrazione in Italia, sua situazione personale particolare religiosa, o di vita privata che giustifica la protezione umanitaria).
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
La corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021