Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6254 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 10/03/2017, (ud. 20/10/2016, dep.10/03/2017),  n. 6254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16669-2012 proposto da:

D.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

POLLIA 23-29, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SASSI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMPLEX SRL, P.I. (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE DELEGATO E LEGALE

RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAZIO N. 20/C,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO COGGIATTI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GAETANO SARDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 548/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato Sassi Francesco difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Sardo Gaetano difensore della controricorrente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine, il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Nel 1992 Complex s.r.l. convenne in giudizio D.F. chiedendo che fosse accertata la risoluzione di diritto del contratto preliminare stipulato in data (OMISSIS), con cui essa attrice aveva promesso di vendere al convenuto tre appartamenti con due sovrastanze al prezzo complessivo di Lire 99 milioni, da corrispondere prima della stipula del contratto definitivo, e che fosse pronunciata la condanna del promissario acquirente al risarcimento del danno.

Il convenuto D. eccepì l’inadempimento della promittente venditrice e propose, in via riconvenzionale, domanda di esecuzione del contratto ex art. 2932 c.c., e di condanna dell’attrice al risarcimento del danno.

1.1. – Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza depositata il 15 ottobre 2005, accolse la domanda dell’attrice, condannò D.F. a risarcire il danno da liquidarsi in separato giudizio e autorizzò la società a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria pari a Lire 10 milioni.

2. – La Corte d’appello di Catanzaro, adita da D.F., con sentenza depositata in data 13 maggio 2011, ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per omessa pronuncia sulle domande ed eccezioni proposte dal convenuto appellante, e, decidendo nel merito, ha accolto la domanda di risoluzione del contratto e risarcitoria, proposta dalla società Complex, escludendo il diritto alla ritenzione della caparra.

2.1. – All’esito della comparazione dei comportamenti dei contraenti, la Corte distrettuale ha ritenuto più grave l’inadempimento del promissario acquirente, che non aveva corrisposto il saldo del prezzo prima della stipula, al domicilio del promittente venditore, nè aveva provveduto, dopo aver ricevuto la diffida ad adempiere, ad effettuare offerta formale di pagamento, rispetto all’inadempimento della promittente venditrice, la quale, a fronte dell’impegno contrattuale che comprendeva il trasferimento della proprietà delle sovrastanze, aveva chiesto al D., immesso nel possesso degli immobili, il pagamento di somme a titolo di canoni di locazione per l’uso di detti locali.

2.3. – La Corte d’appello ha escluso l’inadempimento della società promittente venditrice per presunta incommerciabilità degli immobili, richiamando sul punto gli accertamenti compiuti dal CTU.

3. – Per la cassazione della sentenza D.F. ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi. Resiste controricorso Complex srl, che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 1460 c.c. e dell’art. 1457 c.c., comma 1, e si contesta l’inadempimento della società promittente venditrice, che aveva richiesto i canoni di locazione per l’uso delle sovrastanze, così manifestando inequivocabilmente l’intenzione di non vendere detti locali unitamente ai due appartamenti, come invece era previsto in contratto. A fronte di tale inadempimento, il promissario acquirente aveva legittimamente rifiutato il pagamento integrale del corrispettivo prima della stipula del contratto definitivo, nel contempo invitando la controparte a comparire il giorno 8 giugno 1992 dinanzi al notaio, ove avrebbe provveduto al pagamento.

1.2. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha proceduto alla valutazione comparativa del comportamento delle parti, in esito alla quale ha ritenuto più grave l’inadempimento del promissario acquirente, evidenziando che il predetto, obbligatosi a pagare l’intero corrispettivo prima della stipula del contratto definitivo, non aveva mai eseguito l’offerta formale di pagamento del saldo (tale non era il deposito temporaneo del libretto bancario presso il notaio), neppure dopo avere ricevuto la diffida ad adempiere, e l’importo era l’equivalente della metà circa dell’intero corrispettivo.

Il giudizio è frutto della corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., secondo cui occorre considerare non soltanto l’elemento cronologico ma anche l’adeguatezza e proporzionalità dei comportamenti in relazione alla funzione economico-sociale del contratto (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 20614 del 2009).

Non sussiste pertanto la prospettata violazione di legge.

2. – Con il secondo motivo è denunciata nullità della sentenza e violazione degli artt. 354 e 101 c.p.c., artt. 80, 83 e 84 disp. att. c.p.c., artt. 3 e 24 Cost., e si contesta la mancata rimessione della causa al primo giudice.

2.1. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha rilevato la nullità della sentenza di primo grado per ragioni (mancata trascrizione nella sentenza delle conclusioni della parte convenuta e omissione di pronuncia sulle domande ed eccezioni della stessa parte) che non rientrano nell’elencazione tassativa contenuta nell’art. 354 c.p.c., e quindi correttamente ha proceduto a decidere nel merito.

Dalla sentenza d’appello non risulta, infatti, che vi fosse stata estromissione del convenuto dal giudizio di primo grado ovvero dichiarazione di contumacia dello stesso, vale a dire violazioni del contraddittorio che avrebbero imposto la regressione del giudizio ai sensi dell’art. 354 c.p.c., essendo accaduto, invece, che la difesa del convenuto non fosse stata presente all’udienza di precisazione delle conclusioni, e che il giudice di primo grado avesse erroneamente ritenuto rinunciate le domande ed eccezioni proposte dal medesimo convenuto (pag. 9 sentenza d’appello).

Ininfluente, infine, si rivela la questione della ricusazione del giudice di primo grado a fronte della dichiarata nullità della sentenza dallo stesso resa.

3. – Con il terzo motivo è denunciata falsa applicazione dell’art. 1175 c.c., art. 1176 c.c., comma 1, art. 1460 c.c., comma 1, art. 1498 c.c., comma 2, nonchè vizio di motivazione e si contesta la valutazione dei comportamenti dei contraenti. Era chiara, infatti, la mala fede della società promittente venditrice, che non aveva intenzione di onorare l’impegno di trasferimento delle sovrastanze, mentre pretendeva il pagamento integrale, là dove il promissario acquirente aveva dichiarato la sua disponibilità al pagamento integrale del corrispettivo e al tal fine aveva invitato la controparte alla stipula.

3.1. – La doglianza è infondata.

Come già evidenziato nell’esame del primo motivo di ricorso, la valutazione svolta dalla Corte d’appello sul punto è corretta in diritto, dovendosi aggiungere che la relativa motivazione risulta immune da censure in quanto esaustiva e logicamente congruente.

4. – Con il quarto motivo è denunciata violazione degli artt. 1490, 1494, 1453, e 2932 c.c., e si contesta che al momento della stipula del preliminare non fosse intervenuta la sanatoria della costruzione edificata su suolo demaniale, tanto che l’intero fabbricato era stato accatastato con cointestazione al demanio statale, mentre l’acquisto del suolo demaniale da parte della Complex non era a tutt’oggi definito, come emergeva dalla CTU. Da ciò discendeva la fondatezza delle domande riconvenzionali formulate dal convenuto D..

5. – Con il quinto motivo è denunciata violazione degli artt. 1490, 1494, 1337, 1338 e 1440 c.c., nonchè vizio di motivazione e si contesta che le sovrastanze, in quanto abusive e non conformi al progetto, non potevano costituire oggetto della promessa di vendita. Il ricorrente evidenzia che la sanatoria era intervenuta a distanza di quindici anni, con la concessione datata 12 gennaio 2006, come risultava dalla CTU, e che pertanto al clausola n. 4 del contratto preliminare era nulla e finalizzata all’indebito arricchimento della promittente venditrice, come era emerso in sede penale, in cui erano stati dichiarati prescritti i reati contestati all’amministratore di Complex R.A.. Tali risultanze non erano state tenute nella dovuta considerazione dalla Corte d’appello, ai fini della comparazione tra i dedotti reciproci inadempimenti.

Il ricorrente propone domanda ex art. 96 c.p.c., per il risarcimento degli ulteriori danni.

5.1. – Le doglianze riguardanti i presunti vizi degli immobili promessi in vendita, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono inammissibili per difetto di autosufficienza.

Posto infatti che la Corte d’appello, richiamando gli esiti della CTU disposta al fine di verificare la commerciabilità degli immobili, ha accertato che era intervenuta sanatoria mediante condono edilizio, il ricorrente avrebbe dovuto riportare il contenuto della CTU, che invoca in senso contrario, onde consentire a questa Corte di valutare la correttezza e congruità dell’accertamento oggetto di doglianza (ex plurimis, Cass., sez. L, sent. n. 3224 del 2014).

5.2. – Rimane assorbita nel rigetto la domanda di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c..

6. – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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