Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 625 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 12/01/2017, (ud. 12/10/2016, dep.12/01/2017),  n. 625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22562-2013 proposto da:

R.D. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO DOMENICO

MASTRANGELI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CREDIUMBRIA – BANCA DI CREDITO COOPERATIVO SOCIETA’ COOP. C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SIRO

CENTOFANTI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 134/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 03/09/2013 R.G.N. 186/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato MASTRANGELI FABRIZIO DOMENICO;

udito l’Avvocato CENTOFANTI SIRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 3 settembre 2013, la Corte d’Appello di Perugia confermava la decisione resa dal Tribunale di Terni e rigettava la domanda proposta da R.D. nei confronti di Crediumbria Banca di credito cooperativo Soc. Coop., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole e di una precedente sanzione conservativa.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto idoneo a pregiudicare il vincolo fiduciario il comportamento ingiurioso tenuto dall’odierna ricorrente nei confronti del proprio superiore gerarchico. ed irrilevante in relazione alla natura del medesimo. la mancata affissione del codice disciplinare.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la R. affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Banca.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè degli artt. 2119, 2110 e 2697 c.c., lamenta la non conformità a diritto della pronunzia resa dalla Corte territoriale in relazione, in primo luogo, alla ritenuta ammissibilità della mancata audizione a difesa richiesta dalla ricorrente per difetto di prova della incompatibilità con l’espletamento di tale procedura dell’impedimento fisico lamentato e certificato.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 428 c.c. nonchè dell’art. 132 c.p.c. in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la ricorrente imputa alla Corte l’erroneità del convincimento in ordine alla piena compatibilità del suo stato di salute con la partecipazione all’audizione, per aver fatto a questi fini riferimento alla diversa e più ampia nozione di capacità di intendere e di volere, così che la motivazione resa sul punto viene a prospettarsi come meramente apparente inducendo nullità della sentenza ed in ogni caso per aver omesso di considerare ai medesimi fini la certificazione medica prodotta e l’incidenza della denunciata patologia sull’utile partecipazione all’audizione da parte della ricorrente.

Il terzo motivo, con il quale la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106 e 2119 c.c. e dell’art. 132 c.p.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, è inteso a censurare la conformità a diritto e la congruità logica della pronunzia resa dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza dell’invocata giusta causa di recesso, essendo risultate a suo dire disapplicate quelle specificazioni del parametro normativo con riferimento alla quale questa Corte ha ritenuto ammissibile l’impugnazione in sede di legittimità e ciò con specifico riguardo al principio di proporzionalità, tenuto conto dell’affermata inidoneità a determinare la risoluzione del rapporto di episodi concretatisi, come nel caso di specie, in diverbi litigiosi nei luoghi di lavoro o nel rivolgere frasi sopra le righe all’indirizzo di colleghi di lavoro anche in posizione di supremazia gerarchica nonchè essendo stati valutati ai predetti fini episodi risalenti neppure fatti oggetto di reazione disciplinare da parte della Banca datrice e comunque insuscettibili di essere presi in considerazione come illeciti rilevanti sul piano disciplinare.

Il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, degli artt. 2106 e 2109 c.c. e dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 7 del CCA nonchè al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, è inteso a denunciare la non conformità a diritto e la carenza di motivazione in relazione alla statuizione resa dalla Corte territoriale in ordine alla legittimità della sanzione disciplinare del biasimo scritto irrogata alla ricorrente per non aver tempestivamente comunicato la propria preferenza in ordine al godimento delle ferie, imputando alla Corte di aver del tutto omesso la valutazione dell’inconfigurabilità di tale fatto come illecito disciplinare, trattandosi di una mera prerogativa del lavoratore insuscettibile di integrare una qualsiasi violazione degli obblighi contrattuali e ledere l’esercizio del potere organizzativo del datore, sicchè il diverso avviso espresso dalla Corte territoriale doveva ritenersi frutto di una erronea interpretazione della norma contrattuale che la contemplava.

I primi due motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati.

Deve in proposito richiamarsi l’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 16374/2012 richiamata in sentenza cui seguono in senso conforme Cass. n. 3058/2013, Cass. 13659/2015 e, da ultimo, Cass. 17166/2016) per il quale. nell’ipotesi in cui il lavoratore che, a fronte della contestazione disciplinare ricevuta, abbia richiesto, ai fini dell’esercizio del proprio diritto di difesa, di valersi dell’audizione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2 una volta convocato, versi nell’impossibilità di esercitare il proprio diritto a causa di condizioni di salute ostative – impossibilità che non necessariamente deve correlarsi ad uno stato di incapacità naturale, cosicchè ne risultino compromesse la seria capacità di valutazione e la consapevolezza cosciente dell’espletanda attività, ma ben può raccordarsi a condizioni oggettive di salute, medicalmente accertate – ha l’onere di dimostrare di essersi trovato nelle predette condizioni di incompatibilità con l’espletamento dell’audizione orale, non essendo a tal fine sufficiente l’attestazione della situazione ostativa.

Il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine al mancato assolvimento da parte della ricorrente di un tale onere probatorio non risulta qui fatto oggetto di specifica censura, come pure il rilievo formulato dalla Corte medesima, a motivare il convincimento maturato in senso opposto in ordine alla ritenuta insussistenza di una condizione di effettiva incompatibilità, rilievo per il quale la malattia denunciata (stato depressivo) non appariva in concreto idonea ad impedire fisicamente alla ricorrente di effettuare il colloquio, mentre l’ulteriore rilievo in tal senso svolto dalla Corte territoriale, relativo alla capacità della ricorrente di difendersi in sede di audizione con consapevolezza e raziocinio, risulta supportato, al di là del riferimento, certamente ultroneo, alla conservata capacità di intendere e di volere da parte della ricorrente, dalla considerazione della lucidità e chiarezza che connotavano le giustificazioni scritte comunque dalla stessa fatte pervenire alla Banca datrice in quel torno di tempo, risultando così congruamente motivato, con conseguente insindacabilità in questa sede del giudizio di fatto riservato al giudice del merito.

Parimenti infondato si rivela il terzo motivo, atteso che il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza nella specie della giusta causa di recesso, mentre non eccede il limite segnato dal fatto contestato – inserendosi la considerazione da parte della Corte medesima di episodi estranei all’addebito cui è rivolta l’iniziativa disciplinare della Banca datrice nella valutazione della proporzionalità della sanzione irrogata, che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ammette ed anzi impone il riferimento ad elementi ulteriori rispetto alle caratteristiche oggettive della condotta, anche attinenti alla condizione lavorativa del soggetto interessato ivi compresa la sua compatibilità con l’ambiente di lavoro – si rivela corretto sul piano logico e giuridico, giustificandosi, appunto con riferimento a tale contesto più comprensivo, la scelta operata dalla Corte territoriale in favore del superamento della dimensione più circoscritta attribuita in sede di contrattazione collettiva all’episodio in sè e la conclusione cui approda la Corte medesima circa l’incidenza della mancanza sul definitivo venir meno tra le parti del vincolo fiduciario.

Non diversamente è a dirsi per il quarto motivo, dal momento che la conferma da parte della Corte territoriale della legittimità della sanzione irrogata, peraltro di particolare tenuità, sembra fondata, ancora una volta, sulla considerazione, al di là del fatto in sè, del contegno di sostanziale insofferenza rispetto all’esigenza di conformazione alla disciplina aziendale e di adeguamento all’ordine gerarchico, sottraendosi così alle censure mosse.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte deeicorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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