Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6249 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/03/2017, (ud. 09/02/2017, dep.10/03/2017),  n. 6249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16539-2015 proposto da:

EUROTRADE ITALIA SRL, (C.F. (OMISSIS)), in persona

dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SS. APOSTOLI, 66, presso

lo studio dell’avvocato MAURIZIO LEO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

per la revocazione della sentenza n. 13799/2014 della CORTE SUPREMA

DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 18/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– La Eurotrade Italia srl propone ricorso per revocazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza n. 13799 della Corte Suprema di Cassazione, depositata il 18/06/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per IVA indebitamente detratta e dovuta, su fatture passive emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, in relazione all’anno d’imposta 2003, – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.

– In particolare, i giudici di questa Corte di Cassazione, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, quanto ai motivi secondo, quinto e settimo, hanno affermato, nell’accogliere il quinto motivo, basato sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in violazione dell’art. 112 c.p.c., che risultava “coperto dai giudicato interno – per omessa impugnazione della decisione di prime cure – totalmente favorevole alla contribuente, stante l’annullamento in toto dell’atto impositivo – con specifico motivo di gravame – l’accertamento in fatto di consapevolezza da parte della società Eurotrade che le operazioni da essa svolte si inserivano nella realizzazione di un fenomeno illecito volto all’evasione dell’IVA”. I giudici di questa Corte hanno quindi cassato la decisione impugnata e, decidendo ne merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, hanno respinto il ricorso introduttivo della società contribuente.

– a seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti, la ricorrente ha depositato memoria ed il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. La ricorrente, chiedendo la revocazione parziale della sentenza impugnata, lamenta, con unico motivo, l’errore percettivo in cui sarebbe incorsa questa Corte nel ritenere che, stante la mancata impugnazione della relativa statuizione da parte della contribuente della sentenza di primo grado, si fosse formato giudicato interno sulla circostanza della consapevolezza dell’amministratore della società circa l’inesistenza soggettiva degli acquisti effettuati dalla stessa nei 2003, laddove i giudici della C.T.P. di Forlì, nel respingere in toto il castello accusatorio alla base dell’avviso del 2003, avevano anche escluso, evidentemente, qualsivoglia ipotesi di consapevolezza e/o compartecipazione della contribuente nella “frode carosello”.

2. La censura è inammissibile.

Questa Corte, anche di recente (Cass. 15286/2015), ha chiarito che, secondo consolidata giurisprudenza, l’errore di fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, consiste nell’erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato: tal genere di errore presuppone, quindi, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio, e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti.

– Il suddetto errore inoltre non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza errore la pronunzia sarebbe stata diversa.

– Ora, con riguardo al profilo dell’erronea interpretazione del contenuto della pronuncia n. 170/01/2007 della C.T.P. di Forlì, anche in rapporto alla mancata impugnazione autonoma di determinate statuizioni, l’eventuale errore non può essere qualificato come errore revocatorio.

– Invero, come affermato dalle S.U. (sentenza n. 23242/2005), “il giudicato, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche; pertanto l’erronea presupposizione dell’esistenza del giudicato, equivalendo ad ignoranza della “regula juris” rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, risultando sostanzialmente assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca invece la sua diretta disciplina, inidoneo, come tale, a integrare gli estremi dell’errore revocatorio contemplato dall’art. 395 c.p.c., n. 4″ (cfr. anche Cass.17443/2008; Cass. 321/2015).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso; Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese dei giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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