Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6241 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 05/03/2020), n.6241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19713/2012 R.G. proposto da:

A.T.A. – Società Cooperativa (già Associazione Tabacchi Abruzzesi

A.T.A.), rappresentata e difes dall’avv. Augusto Fantozzi e

dall’Avv. Edoardo Belli Contarini, elettivamente domiciliata presso

il suo studio, in Roma, via Sicilia, n. 66.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione n. 10, n.

877/10/11, pronunciata il 29/09/2011, depositata il 03/10/2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 gennaio 2020

dal Consigliere Dott. Guida Riccardo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale De Augustinis Umberto che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito l’avv. Leonardo Laviola per delega dell’avv. Edoardo Contarini

Belli;

udito l’avv. Alfonso Peluso per l’Avvocatura generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La controversia ha per oggetto l’impugnazione, da parte di A.T.A., dell’avviso di accertamento, emesso al termine di una verifica della Guardia di Finanza, con il quale l’ufficio recuperava a tassazione IRPEG, IRAP, per il periodo d’imposta 01/07/2000 – 30/06/2001 -, costi indeducibili e ricavi non contabilizzati.

La Commissione tributaria provinciale di Chieti accolse in parte il ricorso con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che rigettò sia l’appello principale proposto da A.T.A. che l’appello incidentale dell’ufficio; questa Corte di legittimità, con ordinanza n. 20964/2010, in accoglimento del ricorso principale dell’Agenzia e disatteso il ricorso incidentale della contribuente, annullò con rinvio la sentenza della C.T.R. perchè viziata da insufficiente motivazione.

La contribuente ha riassunto la causa innanzi alla Commissione abruzzese ed ha chiesto il rigetto dell’appello dell’ufficio e la conferma della sentenza di primo grado, mentre l’Agenzia ha insistito nell’appello incidentale a suo tempo proposto contro la decisione della Commissione provinciale; la C.T.R., con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto in parte il gravame dell’Agenzia, rilevando, per quanto ancora interessa, che: (a) in punto di omessa contabilizzazione di ricavi e conseguente loro ripresa a tassazione, per lire 1.394.498.400, secondo la prospettazione dell’ufficio, A.T.A. non si era limitata a svolgere il ruolo di intermediario in alcuni contratti di cessione delle “quote di produzione del tabacco” e che, invece, la stessa Associazione aveva acquistato, in prima persona, dette “quote”, al fine di rivenderle, donde la ripresa fiscale del corrispettivo, non dichiarato, delle medesime cessioni; (b) la Commissione provinciale aveva annullato la ripresa perchè l’ufficio non aveva fornito una prova idonea a vincere l’argomento difensivo della contribuente di avere svolto soltanto attività d’intermediazione, in coerenza con i propri compiti istituzionali; (c) l’effettività dell’acquisto delle “quote di produzione del tabacco” era attestata dai numerosi assegni emessi da A.T.A. nei confronti dei produttori cedenti, ed in assenza di indicazione, da parte della contribuente, delle ragioni per le quali i titoli erano stati emessi; (d) era altresì legittimo il recupero di spese per canoni di locazione e per consumi Enel (Lire 2.767.580), quale costo asseritamente sostenuto per la locazione di immobili mai dichiarati, in difetto di prova, da parte di A.T.A., dell’effettiva disponibilità dei locali, a causa dell’omessa produzione in giudizio del relativo contratto di locazione; (e) doveva essere confermata anche la ripresa attinente alle spese per servizi di assistenza software (Lire 16.000.000 più IVA), in quanto integralmente dedotte in violazione dell’art. 67 T.U.I.R., comma 7, trattandosi di un rilievo soltanto genericamente contestato dall’Associazione; (f) del pari, era giustificato il recupero dei rimborsi di spese per viaggi e trasferte (lire 94.505.207), quali spese a piè di lista, ritenute prive del requisito dell’inerenza, trattandosi di trasferte non autorizzate, in merito alle quali l’Associazione non aveva indicato nè il motivo nè la destinazione; (g) quanto alle spese per oneri diversi di gestione (Lire 167.026.576), si trattava di 17 fatture d’acquisto di beni e servizi estranei all’attività d’impresa, non avendo A.T.A. dato prova della loro inerenza.

L’Associazione propone ricorso per la cassazione di questa sentenza, declinando quattordici motivi; l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso (1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 del regolamento della Commissione CEE del 22 dicembre 1998, n. 2848/1998 e degli artt. 1731, 1754 e 2967 cc. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)), la ricorrente assume che, quale ente deputato alla salvaguardia della produzione del tabacco in Abruzzo, svolgeva attività istituzionale di intermediazione, ai sensi dell’art. 1754, c.c., mettendo in contatto gli associati interessati alla vendita o all’acquisto delle “quote di produzione del tabacco”, sulla base di un certo prezzo; l’art. 33 del Regolamento (CE) n. 2848/1998 della Commissione del 22 dicembre 1998 (modalità d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2075/92), nel riconoscere la possibilità di cedere le “quote di produzione” richiede il rispetto di alcune condizioni, ossia che l’accordo risulti per iscritto e che sia presentato per la registrazione all’A.I.M.A.

A tale fine, come attestato dalla G.d.F., è utilizzato un apposito modello, denominato “TC1” (un modulo con il quale si comunicano i dati del cedente e del cessionario delle “quote”, e altri dati rilevanti della cessione), mentre sono invalide o inefficaci le eventuali cessioni di “quote di produzione del tabacco” concluse con mero accordo scritto o avvenute con modalità diverse da quelle previste dall’art. 33, citato.

Soggiunge che l’organo di controllo, dopo avere rilevato che la stessa A.T.A. non compariva nei modelli “TC1”, aveva comunque affermato che l’Associazione era intervenuta nei contratti di cessione come commissionaria (art. 1731, c.c.), senza però rilevare che, anche in tale ipotesi, A.T.A. avrebbe dovuto figurare nei predetti moduli come acquirente in quanto il commissionario è colui che acquista o vende un bene, per conto del committente, ma in nome proprio, e non in nome e per conto del committente, come invece era erroneamente affermato nel pvc della G.d.F.

La ricorrente, quindi, censura la sentenza impugnata per avere desunto che l’Associazione avrebbe acquistato e poi rivenduto le “quote di produzione del tabacco” dall’emissione degli assegni in favore dei produttori-cedenti – laddove, in realtà, quei titoli erano connessi all’attività istituzionale d’intermediazione, e riguardavano soltanto caparre-acconto, versate da A.T.A. per sè o per persona da nominare -, ed avendo omesso di accertare la sussistenza delle condizioni espressamente richieste dall’art. 33, cit., per la validità-efficacia dell’atto di cessione, non potendosi legittimamente ricondurre la fattispecie negoziale, per le ragioni appena precisate, nell’alveo del contratto di commissione.

2. Con il secondo motivo (1.1. Insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5): l’irrilevanza della mera presenza di taluni assegni emessi dall’ATA a favore dei produttori-cedenti le “quote di produzione”.), la ricorrente censura il percorso argomentativo della sentenza impugnata perchè sorretto da una circostanza di fatto (l’emissione di assegni a favore dei produttori-cedenti) di per sè irrilevante e non decisiva e, ancora, per avere trascurato che, a tutto concedere, detti assegni erano idonei a dimostrare l’acquisto delle “quote”, da parte dell’Associazione, ma non anche e necessariamente la loro successiva rivendita.

3. Con il terzo motivo (2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3,53 e 97 Cost., della L. n. 212 del 2000, art. 10, degli artt. 75 e 127 T.U.I.R., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 61 e 67 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere illegittimamente determinato il maggiore reddito non dichiarato in misura pari ai ricavi asseritamente non contabilizzati, senza considerare i costi (indicati nel pvc in relazione alle diverse varietà di tabacco, nonchè, secondo l’erronea prospettazione erariale, documentati dall’emissione, da parte di A.T.A., di diversi assegni a favore dei produttori-cedenti) sostenuti per i “propedeutici e necessari acquisti delle quote medesime presso i produttori-cedenti” (quali “quote” poi rivendute), in palese violazione di alcuni capisaldi della normativa fiscale (principio di tassazione del reddito netto) e di alcuni principi costituzionali (principio di capacità contributiva; principio di ragionevolezza, principio di correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa).

4. Con il quarto motivo (3. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo: omessa considerazione dei costi di acquisto delle “quote di produzione”, poi cedute (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,).), la ricorrente censura lo sviluppo motivazionale della sentenza impugnata, la quale, nel confermare il recupero a tassazione di ricavi non dichiarati derivanti dalla vendita delle “quote”, non ha preso in considerazione i correlati oneri di acquisto, pur richiamando gli assegni emessi dall’Associazione a favore dei produttori-cedenti.

5. Con il quinto motivo (4. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo: la ritenuta sussistenza di un rapporto di commissione non comporta l’imputazione in capo al commissionario dell’intero prezzo della vendita commissionata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)), la ricorrente censura il vizio argomentativo della sentenza impugnata che, per un verso, ha avallato la prospettazione erariale, per la quale A.T.A. avrebbe acquistato le quote di produzione del tabacco, agendo come commissionaria (art. 1731 c.c.), salvo poi riconoscere la legittimità della ripresa a tassazione di Lire 1.394.498.400, pari alla somma dei prezzi pagati dai produttori-cessionari per l’acquisto delle medesime “quote”, trascurando che, in realtà, al commissionario spetta soltanto una provvigione (art. 1733 c.c.), e non l’intero prezzo della cessione, da tassare come ricavo della vendita (per altro al lordo dei relativi costi).

6. Con il sesto motivo (4.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1731 e 1733 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5): la ritenuta sussistenza di un rapporto di commissione non comporta l’imputazione in capo al commissionario dell’intero prezzo della vendita commissionata.), la ricorrente, in via subordinata rispetto al precedente motivo (sub 5), fa valere la stessa doglianza ricondotta al parametro della violazione e falsa applicazione dei citati artt. 1731,1733, c.c..

7. Con il settimo motivo (5. Nullità della sentenza per omessa (rectius: apparente) pronuncia, per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), con riferimento ai recuperi relativi alle spese per servizi di assistenza software e alle spese per oneri diversi di gestione.), la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente e, inoltre, ribadisce l’inerenza delle spese di manutenzione dei software e degli opifici di cura del tabacco.

8. Con l’ottavo motivo (5.1. Omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in relazione ai recuperi relativi alle spese per servizi di assistenza software e alle spese per oneri diversi di gestione.), la ricorrente, con riferimento alla medesima ripresa di cui al motivo precedente, fa valere il vizio dell’apparato motivazionale della sentenza impugnata, che si è limitata a negare la deducibilità dei suindicati costi, senza fare alcun riferimento ai mezzi istruttori.

9. Con il nono motivo (5.2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 67 T.U.I.R. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione ai recuperi relativi alle spese per servizi di assistenza software e alle spese per oneri diversi di gestione.), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere negato l’inerenza dei detti costi, quale correlazione esistente tra una certa spesa e l’attività dell’impresa; sotto altro profilo, l’Associazione si duole che sia stata disconosciuta la deducibilità delle spese di manutenzione ordinaria, in violazione del criterio dell’art. 67 T.U.I.R., comma 7, (attuale art. 102, comma 6), posto che l’Amministrazione finanziaria non aveva contestato il superamento del plafond del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili.

10. Con il decimo motivo (6. Nullità della sentenza per omessa (rectius: apparente) pronuncia, per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione alle spese per trasporti e viaggi.), la ricorrente deduce la nullità della sentenza a causa della sua motivazione “del tutto laconica e apodittica” e, quindi, puramente apparente, nella parte in cui sono state confermate le menzionate riprese a tassazione.

11. Con l’undicesimo motivo (6.1. Omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in relazione alle spese per trasporti e viaggi.), la ricorrente fa valere il vizio dello sviluppo argomentativo della decisione della C.T.R., che ha negato il requisito dell’inerenza delle spese per trasporti e viaggi, senza indicare le ragioni per le quali si è ritenuto corretta la contestazione erariale.

12. Con il dodicesimo motivo (6.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 75 T.U.I.R. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione alle spese per trasporti e viaggi.), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere confermato la ripresa dei costi per trasporti e viaggi sulla base di un’erronea nozione dell’inerenza, intesa come correlazione tra costi e ricavi, mentre l’inerenza del costo si sostanzia nel collegamento tra la spesa e l’attività dell’impresa.

13. Con tredicesimo motivo (7. Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, sub specie di omesso esame di prove obiettive e decisive (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione ai canoni e consumi Enel.), la ricorrente addebita alla C.T.R. di non avere esaminato un documento obiettivo e decisivo come il pvc della G.d.F. dal quale risultava che i militari avevano appurato che la ricorrente aveva la disponibilità dei detti locali e nel quale, ciononostante, veniva contestata l’indeducibilità dei costi in ragione del fatto che l’Associazione aveva omesso di comunicarlo all’Amministrazione finanziaria.

Al riguardo, la ricorrente rileva che tale irregolarità formale non incide sull’inerenza del costo in quanto, ai sensi dell’art. 75 T.U.I.R., (attuale art. 109), quest’ultimo requisito dipende dalla relazione tra il costo e l’attività d’impresa e non dal prospettato adempimento formale (comunicazione della disponibilità dei locali all’A.F.).

14. Con il quattordicesimo motivo (7.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 75 T.U.I.R. e art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione ai canoni e consumi Enel.), la ricorrente censura il capo della sentenza di cui al motivo precedente anche dal punto di vista della violazione del principio di non contestazione e del principio dell’inerenza del costo, sul rilievo che la C.T.R. avrebbe dovuto tenere conto della circostanza, appurata dalla G.d.F. e risultante dal pvc, che “la società verificata ha utilizzato gli stessi locali (…) per l’esercizio dell’attività di impresa”, sicchè le relative spese dovevano considerarsi senz’altro inerenti all’attività svolta dalla medesima Associazione.

15. I primi sei motivi, da esaminare congiuntamente per la comune matrice giuridica, sono fondati.

15.1. Preliminarmente è utile comporre il quadro giurisprudenziale e normativo di riferimento, nei seguenti termini, già delineati da alcune precedenti pronunce di legittimità (Cass. 02/04/2014, n. 7606; conf.: Cass. n. 1019/2016):

(a) in base all’art. 6, paragrafo 1, della VI direttiva CEE, la cessione di beni immateriali, rappresentati o meno da un titolo, deve essere considerata come una prestazione di servizi. L’attività connessa al trasferimento delle quote di produzione quindi vi rientra sicuramente;

(b) ai sensi dell’art. 2135, c.c., “E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali ed attività connesse”; per tali attività si intendono quelle “dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso (…)”;

(c) anche l’acquisizione della “quota” – e cioè del diritto a coltivare quel determinato prodotto – è parte delle attività dirette alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico dello stesso, nel caso di specie il tabacco soggetto anche al rispetto del regime giuridico comunitario delle “quote di produzione”. In questi termini si è espressa la Circolare n. 51/E del 04/04/2006 dell’Agenzia delle Entrate – in tema di disciplina fiscale applicabile ai fini IRPEF ed IVA alla cessione di quote latte e diritti di reimpianto vigneti poste in essere da produttori agricoli (che richiama la Circ. n. 141 del 1998 e la Ris. n. 27 del 2003) -, la quale ha riconosciuto, in sostanza, il carattere strumentale che i diritti in questione rivestono rispetto alla attività agricola, e, per quanto concerne l’IVA, ha affermato che le cessione dei diritti in esame devono essere assoggettate al tributo con aliquota ordinaria;

(d) il Regolamento (CE) n. 2848/1998, cit., nel definire i compiti e le funzioni delle associazioni di produttori, non prevede tra i compiti istituzionali un’attività diretta per il trasferimento delle “quote”. All’art. 33 del Regolamento è detto che la cessione delle “quote” può avvenire tra un singolo produttore ed un altro, a titolo temporaneo o definitivo: ai sensi del comma 1, lett. f), se chi cede l’attestato di quota è membro di un’Associazione di produttori, la cessione deve essere autorizzata da tale Associazione qualora il beneficiario della cessione non sia membro della stessa Associazione; l’Associazione di produttori concede l’autorizzazione se nessuno dei suol membri ha manifestato interesse a utilizzare i quantitativi oggetto della cessione alle condizioni offerte; se la cessione ha luogo tra produttori membri della stessa Associazione di produttori, l’Associazione deve esserne informata;

(e) qualora le prestazioni di servizi in esame non siano riconducibile ai produttori agricoli, ma all’Associazione di categoria A.T.A., giova ricordare che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese “Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole” (n. 2), e che “Si considerano effettuate in ogni caso nell’esercizio di impresa a norma del comma 2, anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società e dagli enti ivi indicati ai propri soci, associati o partecipanti” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 3), con le eccezioni previste dal successivo comma 5, da applicare ove ne ricorrano i presupposti;

(f) pertanto, con riferimento alle Associazioni, vige il principio di assoggettamento all’IVA delle operazioni relative a prestazioni di servizi, tra cui rientrano i trasferimenti di beni immateriali e tale disciplina è applicabile anche quando non via sia un utile;

(g) in altri termini, la cessione di “quote di produzione” di prodotti agricoli effettuata da un’Associazione di produttori per conto dei propri associati ha ad oggetto il diritto di coltivazione di un determinato prodotto (nella specie, il tabacco) e, pertanto, si configura come una prestazione di servizi strumentali alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico della coltura.

15.2. Venendo adesso all’esame dei motivi d’impugnazione, nella specie non si può escludere che vi sia stata un’effettiva attività di cessione delle “quote di produzione del tabacco” riferibile direttamente ad A.T.A.

Tale essenziale profilo oggettivo, però, non è stato esaminato a sufficienza dalla C.T.R., la quale, oltre a non tenere conto dei principi giuridici dianzi enunciati (e ciò integra un errore di diritto), non ha esposto con chiarezza le ragioni del proprio convincimento (in tal modo incorrendo, altresì, nel vizio di motivazione).

La Commissione regionale, infatti, per un verso, si è limitata a desumere l’effettività dell’acquisto delle “quote di produzione del tabacco”, da parte della contribuente, dalla mera emissione dei detti assegni, senza porsi la questione del rispetto del complesso procedimento di cessione fissato dalla descritta normativa sovranazionale, e senza considerare, in fatto, la giustificazione addotta dall’interessata a sostegno dell’emissione dei titoli (il che integra il rilievo di insufficiente motivazione).

Per altro verso, incorrendo, sotto un diverso profilo, in un vizio logico-argomentavo, ha ravvisato la legittimità dell’imputazione a ricavi dell’Associazione di un importo pari all’asserito prezzo di acquisto delle “quote”, senza affrontare la questione dei correlativi costi sostenuti dall’Associazione per acquisire le medesime “quote”, dai produttori-cedenti, sebbene, secondo la chiave di lettura della vicenda fatta propria dal giudice regionale, gli stessi costi fossero documentati proprio dagli assegni in contestazione.

16. Il settimo e il decimo motivo, da esaminare congiuntamente perchè denunciano, entrambi, la nullità della sentenza per motivazione apparente (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), sono infondati.

E’ da escludere, infatti, la dedotta assoluta carenza motivazionale circa l’inerenza dei menzionati costi poichè, diversamente da quanto prospetta l’Associazione, il giudice d’appello ha espresso una ratio decidendi, pur succinta, riconducibile al difetto di prova dell’inerenza delle spese per servizi di assistenza software, per oneri diversi di gestione e delle spese per trasporti e viaggi, sicchè non si riscontra quell’impercettibilità della ratio decidendi che riduce la motivazione a pura apparenza e vizia di nullità la sentenza (Cass. 06/03/2018, n. 5197, che richiama il principio di diritto enunciato da Cass. sez. un. 3/11/2016, n. 22232).

17. L’ottavo e l’undicesimo motivo, da esaminare congiuntamente perchè denunciano, entrambi, il vizio di motivazione (omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sono infondati.

17.1. Costituisce ius receptum che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vigente ratione temporis, di: “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione” attiene necessariamente a un: “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia a un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativa che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione), o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto tra asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (cfr., ex multis, Cass. 29/07/2015, n. 15997; Cass. 29/07/2011, n. 16655).

Ciò premesso, è dato rilevare l’assenza di circostanza di fatto (la cui allegazione incombeva sulla ricorrente) idonee ad elidere la coerenza argomentativa della sentenza impugnata che – giova rimarcarlo – poggia sulla mancanza d’inerenza delle voci di spesa dianzi citate, affermata dalla C.T.R. con un giudizio di merito, estraneo al controllo di legittimità demandato a questa Corte.

18. Il nono e il dodicesimo motivo, da esaminare congiuntamente perchè denunciano, entrambi, un errore di diritto (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sono inammissibili.

18.1. Sotto l’egida dell’error in iudicando le censure in essi contenute rivolgono alla Corte la richiesta di un nuovo esame degli aspetti fattuali della controversia – in punto d’inerenza di alcuni costi – già apprezzati dal giudice d’appello, e sindacabili, in sede di legittimità, esclusivamente in base al diverso parametro normativo del vizio di motivazione (cfr. p. 17).

19. Il tredicesimo e il quattordicesimo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati.

19.1. La sentenza impugnata in parte qua è errata perchè nega la deducibilità delle spese per canoni di locazione e per consumi Enel a causa della circostanza che la contribuente non avrebbe dato prova di avere la disponibilità degli immobili in questione, senza considerare che, in effetti, la ragione giustificatrice della ripresa fiscale era un’altra, e cioè l’inadempimento formale ascrivibile alla conduttrice A.T.A., la quale, a giudizio dell’organo di controllo, pure avendo incontestabilmente utilizzato gli stessi immobili, aveva però omesso di comunicare all’A.F. di avere la disponibilità degli stessi locali.

20. Alla stregua delle precedenti considerazioni, accolti il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il tredicesimo e il quattordicesimo motivo, rigettati il settimo, l’ottavo, il decimo e l’undicesimo motivo, dichiarati inammissibili il nono e il dodicesimo motivo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il tredicesimo e il quattordicesimo motivo del ricorso, rigetta il settimo, l’ottavo, il decimo e l’undicesimo motivo, dichiara inammissibili il nono e il dodicesimo motivo, cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 5 marzo 2020

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