Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6238 del 15/03/2010

Cassazione civile sez. II, 15/03/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 15/03/2010), n.6238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.C., C.V., G.O. e

Be.Cl. – rappresentati e difesi in virtù di procura

speciale a margine del ricorso dall’avv. Santilli Luigi del Foro di

Arezzo ed elettivamente domiciliati i Roma, alla via Vittoria

Colonna, n. 40, presso l’avv. Gabriele Corona;

– ricorrenti –

contro

C.M. – rappresentata e difesa dall’avv. Niccolai

Giancarlo del Foro di Arezzo e dall’avv. Filippo Massimo Marzi,

presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla via G.

Ferrari, n. 35;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 389 dell’11

marzo 2004 – notificata il 1 dicembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24

febbraio 2010 dal Consigliere dott. Massimo Oddo;

udito per la controricorrente l’avv. Filippo Massimo Marzi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 6 maggio 1998, C.M., premesso di essere proprietaria nell’edificio sito (OMISSIS), di un appartamento con un annesso resede, individuato al fl. n. (OMISSIS), convenne i condomini B.C., C.V., G.O., Be.Cl., N.R., P. D. e F. ed Go.An. davanti al Tribunale di Arezzo – sezione distaccata di Sansepolcro – e domandò l’accertamento della inesistenza sul resede di diritti personali o di servitù di passo od altro in favore di particelle condominiali o di terzi.

Il B., C.V., il G., la Be., la R. ed i P. resisterono alla domanda, chiedendo, in via riconvenzionale, la declaratoria del loro acquisto per usucapione della p.lla n. (OMISSIS), ed il Tribunale, nella contumacia della Go., con sentenza del 25 marzo 2002 rigettò sia la domanda dell’attrice che quella riconvenzionale dei convenuti. La decisione gravata da C.M. e, in via incidentale, dal B., da C.V., dal G., dalla Be., dalla R. e dai P., venne riformata il 11 marzo 2004 dalla Corte di appello di Firenze, che rigettò l’impugnazione incidentale e, in accoglimento di quella principale, dichiarò che le p.lle n. (OMISSIS) erano di proprietà esclusiva dell’attrice e non erano gravate da diritti personali o da servitù di passo, od altro, in favore delle proprietà dei convenuti, giacchè la prova espletata non aveva “consentito di accertare la sussistenza dei presupposti necessari all’acquisto per usucapione da parte dei convenuti … della proprietà del resede o del diritto reale di servitù di passaggio su detto resede”. Il B., C.V., il G. e la Be. sono ricorsi con sei motivi per la cassazione della sentenza e l’intimata C.M. ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso, denunciando con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1061, 1062 e 1064, c.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamenta che la sentenza impugnata:

abbia escluso l’esistenza di opere visibili e permanenti di una attività corrispondente all’esercizio di una servitù di passaggio, nonostante sin dalla costruzione dell’edificio fossero state realizzate delle “scalette”, che consentivano di superare il dislivello tra il marciapiede di proprietà condominiale e la p.lla n. (OMISSIS) e la cui funzione non poteva che essere, come confermato anche dai testi, quella di collegare le aree comuni al resede di proprietà dell’attrice;

non si sia pronunciata sulla domanda di accertamento della costituzione di una servitù di passaggio sul resede per destinazione del padre di famiglia;

abbia ritenuto che la p.lla n. (OMISSIS) era libera da diritti reali o servitù nonostante la presenza in essa della cisterna condominiale.

Il motivo è inammissibile sotto ciascuno dei profili prospettati.

Sotto quello in cui, a fronte del rilievo della sentenza della “completa assenza di opere visibili e permanenti idonee ai fini della configurazione di una servitù di passaggio”, evidenzia la presenza di “scalette”, che consentivano di superare il dislivello esistente tra la p.lla n. (OMISSIS) ed il marciapiede di proprietà condominiale e la funzione di esse di creare un collegamento funzionale tra i beni comuni ed il resede, giacchè il motivo, anche senza considerare che la permanenza delle “scalette” sul marciapiede condominiale, essendo l’attrice priva del potere di rimuoverle, non era di per sè indice di un’inerzia della proprietaria idonea a rendere inequivoco e pacifico il possesso di una servitù sul resede, non soddisfa il requisito della autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto non specifica se ed in quali termini la questione dell’esistenza e funzione delle “scalette” e della idoneità della loro presenza sul fondo dominante a qualificare apparente ed usucapibile la servitù fosse stata sollevata nel giudizio di merito. Sotto quello in cui lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della costituzione di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, perchè detta domanda, al pari di quella di accertamento della costituzione della servitù per usucapione, era stata proposta, in via subordinata a quella di accertamento dell’usucapione della proprietà della p.lla n. (OMISSIS), per la prima volta in secondo grado e, imponendone l’art. 345 c.p.c., comma 1, la declaratoria d’inammissibilità, non è configurabile rispetto ad essa la violazione dell’obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (cfr. da ultimo: Cass. civ., sez. 1, sent. 25 maggio 2006, n. 12412).

Perchè, infine, non pertinente sotto quello in cui censura l’affermazione della libertà della p.lla n. (OMISSIS) da diritti reali o servitù nonostante l’esistenza in essa della cisterna condominiale, in quanto la sentenza, pur escludendo che la presenza della cisterna fosse significativa dell’acquisto per usucapione da parte dei condomini della proprietà o di una servitù di passaggio, ha esplicitamente riconosciuto l’obbligo dell’attrice di consentire l’accesso al resede per le operazioni di rifornimento e per quelle di eventuali riparazione.

Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli art. 2909 c.c., e art. 324 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si duole dell’omessa valutazione della sentenza irrevocabile resa il 22 luglio 1996 dal Pretore di (OMISSIS), che nel procedimento possessorio svoltosi tra due dei convenuti e il conduttore dell’appartamento dell’attrice aveva accertato che “il piazzale ed il marciapiede erano sempre stati resedi di tutto il condominio … e comunque utilizzabili ed utilizzati e quindi posseduti da tutti” e che “il cancello sul marciapiede e la chiusura a chiave del cancello del piazzale risalgono … all’inizio dell’autunno (OMISSIS)”.

Il motivo è infondato.

Un giudicato può spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale solo quando contenga l’affermazione di una verità che non ammetta la possibilità di un diverso accertamento ed il terzo non vanti un proprio diritto autonomo rispetto al rapporto in ordine al quale il giudicato è intervenuto, non essendo ammissibile che in relazione ad esso egli possa ricevere dal giudicato un immediato e diretto pregiudizio (cfr.: Cass. civ., sez. 2, sent. 1 marzo 2007, n. 4864).

Nessuna di tali condizioni soccorre quando, come in specie, al giudicato possessorio nei confronti del conduttore segua un giudizio petitorio di cui sia parte il proprietario dell’immobile e, in via generale, una efficacia riflessa nella fattispecie deve comunque essere esclusa, perchè il giudizio nel quale viene fatto valere l’acquisto del diritto di proprietà di un bene per usucapione comporta l’accertamento di requisiti del possesso, quali ad es.

l’assenza di vizi, che non vengono in rilievo nel giudizio possessorio (cfr.: Cass. civ., sez. 2, sent. 5 ottobre 2009, n. 21233).

Con il terzo motivo, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1144 e 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per mancata indicazione dei criteri logici-deduttivi utilizzati nella valutazione della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, deduce l’erroneità del richiamo della sentenza all’utilizzazione del resede da parte dei condomini per mera tolleranza e senza animus possidendi, giacchè il loro utilizzo della p.lla n. (OMISSIS) si era protratto in modo reiterato, costante e corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di una servitù di passaggio per oltre trenta anni senza alcuna collaborazione della proprietaria e costituiva onere dell’attrice provare che l’utilizzo od il passaggio erano stati dovuti a mera tolleranza. Il motivo è in parte inammissibile ed in altra infondato. E’ inammissibile laddove fa riferimento alla prescrizione acquisiti va di una servitù di passaggio, perchè l’inammissibilità del primo motivo, attinente alla (in)esistenza di opere apparenti, ne esclude l’interesse per il difetto nel possesso di uno dei requisiti essenziali all’usucapione (cfr.: art. 1061, c.c.).

E’ infondato nella parte in cui attiene l’usucapione del diritto di proprietà, che la sentenza, oltre a ricondurre l’utilizzo del resede da parte dei condomini a mera tolleranza, ha negato per difetto in essi dell’animus possidendi in base alla duplice considerazione che i testi indotti dai convenuti si erano limitati a riferire un uso sporadico del bene da parte di ragazzini e di adulti e quelli indotti dall’attrice avevano ricordato la presenza di un cancello chiuso, che impediva l’accesso al resede e la cui chiave era custodita dalla proprietaria. Da un lato, infatti, il principio che l’animus possidendi è normalmente insito nell’esercizio del potere di fatto attraverso il quale il possesso si manifesta e che, pertanto, la prova che l’esercizio avvenga per mera tolleranza spetta a colui che l’eccepisce, se può trovare applicazione quando si discuta della esistenza o meno del possesso, non può essere invocato quando si controverta in tema di acquisto di servitù per usucapione, giacchè nell’ambito dei normali poteri di apprezzamento delle prove spettanti al giudice rientra anche la valutazione dell’oggettiva idoneità degli atti che vengono invocati come esercizio di fatto della proprietà o di una servitù ad integrare un possesso ad usucapionem (cfr.: Cass. civ., sez. 2, sent. 1 agosto 2008, n. 21016).

Dall’altro, l’accertamento relativo ad un possesso ad usucapionem, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità (cfr.: Cass. civ., sez. 2, sent. 21 febbraio 2007, n. 4035) e la motivazione in concreto adottata, sia pure nella sua sinteticità, appare congrua ed immune da vizi logici, posto che il protrarsi nel tempo del passaggio dei condomini sul resede non contrasta con l’assunto che da esso non poteva trarsi per la sua sporadicità, al pari che da altri similari usi, la prova di una loro attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà.

Con il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 116 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamenta il contrasto tra l’affermazione della sentenza che l’accesso dei condomini al resede era stato impedito da un cancello chiuso e quella del giudice possessorio che la chiusura del cancello risaliva all’autunno (OMISSIS) ed in precedenza il passaggio era stato sempre libero, confermata dai testi in entrambi i giudizi, e la illogicità di quella che i condomini potevano transitare, sia pure saltuariamente, da un cancello chiuso a chiave.

Il motivo è infondato.

Quanto al primo rilievo, perchè soccorrono in contrario gli argomenti esposti per il rigetto del secondo motivo di ricorso, quanto al secondo, in quanto investono una valutazione delle prove e, in particolare, quella sulla tolleranza dell’attrice, che è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito e la cui adeguatezza e logicità non può essere censurata con la mera prospettazione della possibilità di un loro diverso e più favorevole apprezzamento dei ricorrenti.

Con il quinto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1159 c.c. e l’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si duole che la sentenza abbia omesso di pronunciarsi sulla prescrizione acquisitiva decennale della proprietà, pur essendo i titoli dei condomini astrattamente idonei a trasferire la proprietà della p.lla. n. (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile.

Non risulta dalla sentenza e non è dedotto nel ricorso che l’acquisto della proprietà del resede per usucapione decennale sia stata allegata nel giudizio di merito e la novità della questione ne preclude l’esame in sede di legittimità, in quanto detta usucapione, per i suoi peculiari requisiti rispetto a quella ordinaria, deve essere specificamente invocata ed il suo riconoscimento non può considerarsi compreso nella domanda concernente l’usucapione ordinaria (cfr.: cass. civ., sez. 2, sent. 3 dicembre 2004, n. 22776). E’ appena il caso di aggiungere che l’esclusione da parte della sentenza di un possesso utile all’usucapione, precludeva il riconoscimento anche della possibilità di un acquisto della proprietà per usucapione decennale.

Con il sesto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta che la sentenza abbia omesso l’esame delle prove espletate su richiesta dei convenuti nel giudizio possessorio e della loro conformità alle deposizioni rese in quello petitorio. Il motivo è infondato.

Pur potendo il giudice di merito utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto ed in virtù del principio dell’unità della giurisdizione, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche altre parti, occorre, tuttavia, che, ove ne venga lamentato in sede di legittimità l’omesso esame, le stesse abbiano il carattere di decisività. Nella specie, il richiamo alla conformità delle deposizioni testimoniali rese nel giudizio possessorio a quelle assunte nel giudizio petitorio per desumerne un “valore doppio”, oltre ad apparire metodologicamente scorretto, non inficia la valutazione delle risultanze dei mezzi di prova operata dal giudice di merito e l’insindacabilità del suo apprezzamento, correttamente motivato, sulla non desumibilità dagli elementi acquisiti al processo di un possesso dei convenuti utile alla prescrizione acquisitiva di un diritto di proprietà o di servitù sul resede dell’attrice. All’inammissibilità od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali, iva, cpa ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2010

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