Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6238 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 05/03/2020), n.6238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1644/2016 R.G. proposto da:

A.S., T.G. e Studio Legale Associato

Arcadipane & Torretta, rappresentati e difesi dall’Avv. Nicolina

De Cicco, presso la quale è domiciliata in Milano via Pietro Calvi

n. 9/11, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 2073/11/15, depositata il 18 maggio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio

2020 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Fatto

RILEVATO

che:

A.S., T.G. e lo Studio Legale Associato Arcadipane & Torretta impugnavano gli avvisi di accertamento emessi per Iva, Irap ed Irpef per l’anno 2006 dall’Agenzia delle entrate in relazione all’indebita deduzione di costi per servizi fatturati dalla Immobiliare Althea, di cui i contribuenti persone fisiche erano gli unici soci, risolvendosi l’accordo tra le parti in una violazione del divieto di cui all’art. 54, comma 2, tuir, sì da recuperare, indirettamente, il costo d’acquisto dell’immobile adibito a sede dello studio legale.

L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Milano. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

I contribuenti ricorrono per cassazione con quattro motivi. L’Agenzia delle entrate deposita atto di mera costituzione ai fini della partecipazione alla discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e carenza di motivazione per aver la CTR escluso la nullità della notifica dell’avviso.

1.1. Il motivo è inammissibile e per più ragioni.

La doglianza, in primo luogo, non coglie la ratio della decisione, avendo la CTR non solo escluso la nullità della notifica ma, in ogni caso, reputato l’avvenuta sanatoria di ogni vizio per aver i ricorrenti “regolarmente impugnato gli atti di contestazione”, fondamento quest’ultimo in alcun modo censurato.

Il motivo, inoltre, è carente per autosufficienza atteso che, come ripetutamente affermato da questa Corte, “in tema di ricorso per cassazione, ove sia denunciato il vizio di una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale di quest’ultima, che, se omessa, determina l’inammissibilità del motivo” (Cass. n. 5185 del 28/02/2017; Cass. n. 31038 del 30/11/2018).

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per aver notificato gli avvisi di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio previsto dalla norma.

2.1. Il motivo è infondato, ancorchè la motivazione debba essere integrata con riguardo all’Iva.

2.2. Va infatti rilevato, in via generale, che, nella vicenda in esame, l’accertamento non è stato operato a seguito di accesso, ispezione o verifica presso i contribuenti ma è riconducibile alle ipotesi dell’accertamento cd. a tavolino, effettuato dall’Ufficio in base alle risultanze in atti (nella specie, dal controllo delle dichiarazioni dei contribuenti e dalle informazioni acquisite da verifiche e ispezioni nei confronti di terzi) e ai documenti trasmessi dai contribuenti stessi.

Tale condizione esclude, tout court, l’applicabilità della norma per ogni categoria di tributi cui essa può riferirsi (v. Sez. U, n. 18184 del 29/07/2013, poi integrata e precisata da Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015).

Ne deriva che, con riguardo ad Irpef e Irap, non sussiste la lamentata violazione.

2.3. Con riguardo ai cd. tributi armonizzati e, nella specie, all’Iva, peraltro, l’obbligo del rispetto del principio del contraddittorio, ferma l’inapplicabilità per le ragioni sopra evidenziate dell’art. 12, comma 7, discende direttamente dalla disciplina unionale.

Va tuttavia osservato che, in tale evenienza, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione finanziaria comporta la nullità dell’atto purchè il contribuente, in giudizio, “assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (Sez. U n. 24823 del 09/12/2015), onere che, nella specie, non è stato assolto, nulla avendo indicato i contribuenti.

Ne deriva che la sentenza, pur avendo omesso di considerare l’obbligatorietà del contraddittorio ai fini Iva, è ugualmente corretta in diritto.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.

I contribuenti lamentano, in particolare, il difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, fondato, asseritamente, sull’esistenza di un accordo diretto a costituire l’Immobiliare Althea al solo fine di acquistare un immobile e metterlo a disposizione dello Studio Legale, circostanze il cui esame sarebbe stato omesso dalla CTR.

3.1. Il motivo è inammissibile e per più ragioni.

3.2. Quanto al dedotto omesso esame di fatto decisivo, la doglianza è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che non consente più la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel caso vi sia stato un doppio accertamento conforme da parte dei giudici di merito sulle medesime questioni di fatto, circostanza che risulta dalla stessa motivazione della decisione impugnata che fa esplicito riferimento all’accertamento operato dal giudice di primo grado.

3.3. Le censure, inoltre, difettano per autosufficienza attesa la mancata riproduzione, nel ricorso, degli avvisi di cui si contesta la motivazione.

4. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatto decisivo in relazione alla dedotta violazione del principio del divieto di doppia imposizione.

4.1. Pure tale doglianza è inammissibile.

Il motivo, al di là della già evidenziata improponibilità ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., è peraltro carente in punto di specificità, risolvendosi, nella sua concreta articolazione, in una censura tesa a denunciare, al contempo, una omessa pronuncia, una motivazione erronea, una motivazione apparente, senza, tuttavia, in alcun modo individuare vuoi le norme asseritamente violate, vuoi gli elementi di fatto su cui si fonderebbe la prospettazione stessa.

5. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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