Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6234 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 05/03/2020), n.6234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7094/2012 R.G. proposto da:

B.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Pierluigi

Corradini, con domicilio eletto presso l’Avv. Enrico Polverini, in

Roma via Roberto Scott n. 62, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 220/2/11, depositata il 20 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio

2020 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Lette le conclusioni depositate dal Sostituto Procuratore generale

Giovanni Giacalone che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

B.G., esercente l’attività di produzione di raccolta di rottami ferrosi, impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno d’imposta 2003, per Iva, Irpeg ed Irap, con cui, rideterminato il reddito d’impresa, recuperava i maggiori ricavi non dichiarati.

L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Civitavecchia. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

Il contribuente propone ricorso per cassazione con quattro motivi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso è inammissibile.

Occorre rilevare, infatti, che il ricorso consta di 80 pagine, compresa l’intestazione, le prime 74 integralmente dedicate alla integrale riproduzione degli atti processuali, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti, mentre per l’intero sviluppo dei quattro motivi sono dedicate esclusivamente 4 pagine.

Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso.

La Corte di cassazione, infatti, come più volte precisato dalle stesse Sezioni Unite, non ha l’onere di provvedere all’indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso (v. Sez. U, n. 4324 del 24/02/2014; Cass. n. 13312 del 28/05/2018).

E’ ben vero che, alla stregua dei principi affermati da Sez. U, n. 5698 del 11/04/2012, “il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso”.

Tuttavia, nella specie, non ricorrono neppure le condizioni per cui, espunto il coacervo di documenti integralmente riprodotti (neppure sempre facilmente individuabili ed isolabili esordendo il ricorso per cassazione direttamente con la riproduzione del ricorso in primo grado), il contenuto del testo così ricavato è autosufficiente e conforme agli ordinari criteri di sinteticità e completezza avuto riguardo ai singoli motivi (v. Cass. n. 18363 del 18/09/2015).

Ed invero, oltre ad esser assente ogni autonoma esposizione del fatto attesa la presenza di un mero collegamento, privo di contenuti effettivi, tra i singoli atti riprodotti, i singoli motivi (il primo motivo denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, con riguardo all’avviso di accertamento; il secondo denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 2729 c.c. con riguardo alla natura delle presunzioni; il terzo violazione dell’art. 2697 c.c. in riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 59 e al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 61, per l’asserita rilevanza probatoria delle scritture contabili; il quarto denuncia, in termini del tutto generici, vizio di motivazione) sono tutti caratterizzati da genericità e carenza di specificità, con un mero rinvio ai contenuti degli atti di merito, neppure essendo precisati i tributi per i quali è contestata l’evasione, nè l’anno di riferimento, nè gli elementi rilevanti e pertinenti della specifica vicenda in giudizio, dalla quale, dunque, le censure restano avulse ed astratte.

2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e le spese, liquidate come in dispositivo, regolate per soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna B.G. al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive Euro 5.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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