Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6232 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.10/03/2017),  n. 6232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19533/2014 proposto da:

ALITALIA COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A. (C.F. e P.I. (OMISSIS)) in

persona del legale rappresentante pro tempore, AIR ONE S.P.A. (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO PESSI, che le rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MAURIZIO SANTORI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

O.M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 56, presso lo studio dell’avvocato MARIO CERVONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO BAZZONI, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

SO.GE.A.AL. S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 22/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 15/1/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/2/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– la Corte di appello di Sassari confermava la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda di O.M.N. e, accertata la illegittimità del termine apposto al primo di plurimi contratti dallo stesso stipulati, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, dapprima con la E.A.S. (poi fusa con AIR ONE S.p.A.) e successivamente con la CAI – Alitalia S.p.A., e così in particolare del contratto stipulato in data (OMISSIS), dichiarava la sussistenza da tale data di un rapporto a tempo indeterminato con ordine alla SO.GE.A. AL. S.p.A. (conferitaria da parte di Alitalia S.p.A. del ramo di azienda avente ad oggetto l’attività di full handling presso l’aeroporto di (OMISSIS)) di riassumere il lavoratore e condanna al pagamento, della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Riteneva la Corte territoriale che le società convenute non avessero fornito la prova della effettiva sussistenza delle ragioni indicate in contratto (incremento straordinario dei voli) presso lo scalo di (OMISSIS) cui il lavoratore era stato addetta;

– per la cassazione di tale decisione propongono ricorso Alitalia Compagnia Aerea Italiana S.p.A., AIR ONE S.p.A. affidato a tre motivi;

– O.M.N. resiste con controricorso;

– la SO.GE.A. AL. S.p.A. è rimasta solo intimata;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata;

– le società ricorrenti hanno depositato memoria;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo le società denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 2697 c.p.c., art. 421 c.p.c. e degli artt. 115 e 116c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamentano che la Corte territoriale abbia ritenuto che le argomentazioni difensive e le richieste istruttorie delle società fossero inidonee a dare conto dell’effettività della ragione indicata in contratto laddove al contrario la prova articolata da esse società era destinata a dimostrare che lo straordinario incremento dei voli da parte di Air One S.p.A. (cagionato dall’attività di continuità territoriale sulla Sardegna e su Trapani) riverberava i propri effetti sull’attività di handling (e cioè sul complesso di operazioni relative al carico, allo scarico, al controllo tecnico, alla pulizia ed al rifornimento dei velivoli oltre che all’assistenza a terra dei passeggeri) svolta da EAS S.p.A. presso l’aeroporto di (OMISSIS). Rilevano, altresì, un’erronea applicazione dei principi processuali in materia di onere della prova;

– il motivo è manifestamente infondato;

– va innanzitutto chiarito che una violazione o falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, non può dipendere o essere in qualche modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; – abbia invertito gli oneri probatori;

– nella specie, del tutto erronea è la tesi delle società ricorrenti secondo cui sarebbe stato piuttosto onere di controparte provare l’estraneità della sua assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno al contratto – si veda in tal senso, ex multis, Cass. 24 novembre 2014, n. 24954;

– per il resto, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

– peraltro va osservato che, a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile, in base al comma 3 della medesima norma, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, e dunque dall’11/9/2012, è deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti; il controllo della motivazione è, così, ora confinato sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/14);

– nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale che ha escluso che potesse desumersi dall’incremento dei voli determinato dalla continuità territoriale sulla Sardegna e su Trapani la prova della necessità dell’assunzione temporanea presso lo scalo di (OMISSIS); sicchè neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalle ricorrenti;

– si aggiunga, poi, che nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (v. Cass. 12 marzo 2009, n. 6023). In ogni caso, gli indicati poteri d’ufficio non possono essere dilatati fino a richiedere che il giudice supplisca in ogni caso alle carenze allegatorie e probatorie delle parti, in assenza di una pista probatoria rilevabile dal materiale processuale acquisito agli atti di causa. Al riguardo deve richiamarsi l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti, nel rito del lavoro, dall’art. 421 c.p.c.), anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza; in ogni caso il ricorrente che muova alla sentenza impugnata siffatta censura deve riportare testualmente, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti quegli elementi (emergenti dagli atti ed erroneamente non presi in considerazione dal giudice di merito) dai quali era desumibile la sussistenza delle condizioni necessarie per l’esercizio degli invocati poteri. In particolare, il ricorrente deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerga l’esistenza di una “pista probatoria”, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività (cfr. Cass. 16 maggio 2002, n. 7119; Cass. 20 marzo 2004, n. 5662, Cass. 18 giugno 2008, n. 16507);

– nella specie, la doglianza non soddisfa l’indicato onere;

– con il secondo motivo le società denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c., dolendosi del fatto che, a fronte di una impugnativa limitata alla contestazione della specificità della causale, tanto il giudice di primo grado quanto il giudice di appello, pronunciandosi ultra petita, avrebbero dato ingresso a questioni involgenti la prova dell’effettività delle ragioni dell’assunzione a termine;

– il motivo è inammissibile;

– le ricorrenti, infatti, non riproducono il contenuto del ricorso di primo grado per consentire a questa Corte l’esame della doglianza. Si ricorda, infatti, che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale – cfr., ex plurimis, Cass. 10 novembre 2011, n. 23420; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738;

– i rilievi, inoltre, neppure scalfiscono il decismn della Corte territoriale che, esaminando analogo rilievo, ha ritenuto che, contrariamente all’assunto delle appellanti, il ricorrente avesse dedotto l’illegittimità del termine proprio alla luce della insussistenza dei presupposti legittimanti stabiliti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1;

– con il terzo motivo le società denunciano la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 e dell’art. 429 c.p.c.. Si critica la decisione per aver confermato la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sull’indennità risarcitoria e fatto decorrere gli stessi dalla data di cessazione del rapporto;

– il motivo è manifestamente fondato nei termini di seguito illustrati;

– si osserva che l’indennità della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, deve essere annoverata tra i “crediti di lavoro” ex art. 429 c.p.c., comma 3, giacchè, come più volte è stato affermato da questa Corte, tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (ad esempio, fra le altre, per i crediti liquidati L. n. 300 del 1970, ex art. 18, v. Cass. 23 gennaio 2003, n. 1000, Cass. 6 settembre 2006, n. 19159; per l’indennità della L. n. 604 del 1966, ex art. 8, v. già Cass. 21 febbraio 1985, n. 1579; per le somme a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., v. Cass. 8 aprile 2002, n. 5024). D’altra parte l’indennità in esame rappresenta comunque il ristoro (seppure “forfetizzato” e “onnicomprensivo”) dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto (si veda in particolare Cass. 11 febbraio 2014, n. 3029);

– l’impugnata sentenza, confermando, sul punto, la sentenza di primo grado ha correttamente riconosciuto gli accessori sull’indennità in questione, tuttavia ha errato, disattendendo lo specifico motivo di appello delle società (si veda, sul punto, quanto indicato dalle ricorrenti a pag. 25 del ricorso e quanto risultante dalla stessa sentenza di secondo grado), nel far decorrere gli stessi non dal momento della disposta conversione bensì dalla diversa data della messa in mora;

– per tutto quanto sopra considerato, condivisa la proposta, va accolto il terzo motivo di ricorso e vanno rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata limitatamente al motivo accolto, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., con condanna della società Poste Italiane alla corresponsione in favore di O.M.N. dell’indennità della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, come già determinata e maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali a decorrere dalla decisione di conversione del rapporto;

– quanto alla regolamentazione delle spese, l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso e la solo parziale fondatezza del terzo, consentono di compensare tra le parti le spese processuali del presente giudizio nella misura di 1/5 e di porre la restante parte a carico di Poste Italiane S.p.A..

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e condanna le società ricorrenti al pagamento dell’indennità della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, come già determinata, maggiorata di rivalutazione ed interessi a decorrere dalla decisione di conversione del rapporto; condanna le società ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente di 4/5 delle spese del presente giudizio di legittimità e compensa tra le parti la residua quota; liquida per intero tali spese in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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