Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6232 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. I, 05/03/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 05/03/2021), n.6232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12828/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Jesi (AN), C.so Matteotti

n. 69/b, presso lo studio dell’Avv. Paolo Cognini, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2503/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il cittadino (OMISSIS) S.A. ha impugnato, dinnanzi la Corte di Appello di Ancona, l’ordinanza con la quale il Tribunale di Ancona ha rigettato l’opposizione al provvedimento di diniego della protezione internazionale ed umanitaria emesso dalla competente C.T.

L’appellante ha chiesto in via principale il riconoscimento della protezione sussidiaria ed, in via gradata, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La Corte ha rigettato integralmente l’appello, ritenendo la domanda infondata con riferimento a tutte le forme di protezione invocate. Le motivazioni poste a base della decisione sono state le seguenti.

Il ricorrente ha dichiarato di essere fuggito dal (OMISSIS) nel 2015, a causa della forte instabilità politica del Pese. In particolare, ha riferito che suo fratello aveva partecipato al colpo di Stato contro il Presidente del Paese e, per questo, il Presidente aveva ordinato la carcerazione dei parenti dei partecipanti alla sommossa, ritenuti complici. La Corte di Appello ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria poichè ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente, in quanto lacunoso e generico, carente di riscontri in ordine alla veridicità dei fatti narrati, nonchè privo di riferimenti concreti ad atti persecutori.

Inoltre, alla luce delle informazioni precise ed aggiornate acquisite con riferimento al Paese di origine del richiedente, il giudice di appello ha escluso che in (OMISSIS) vi fosse una situazione di violenza indiscriminata e diffusa tale da legittimare la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Da ultimo, la Corte di Appello ha negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, posto che nei confronti del richiedente non si ravvisano lesioni di diritti umani di particolare entità e non sono state allegate particolari problematiche di salute e, tantomeno, è stata data prova di una concreta integrazione in Italia dal punto di vista sociale e familiare, a nulla rilevando la documentazione relativa ad un probabile lavoro, poichè dimostrativa di una mera volontà di assumere lavoro, senza che vi sia alcun contratto. Quanto poi alla volontà di convivenza civile con una cittadina italiana, la sola dichiarazione non è elemento di per sè sufficiente per la concessione della protezione richiesta.

Avverso il provvedimento della Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione il cittadino straniero.

Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Con il primo ed il secondo motivo di ricorso, che vengono trattati congiuntamente per economia espositiva, si censura la omessa motivazione in ordine alla valutazione negativa di credibilità del racconto del ricorrente e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 13, comma 1 bis, e art. 27, comma 1 bis, per carenza di istruttoria e violazione dei criteri di scrutinio della richiesta di protezione e di esame del richiedente. Precisamente, la Corte di Appello ha disatteso gli indici normativi dell’art. 3 cit. posto che ha ritenuto apoditticamente generico e carente di credibilità intrinseca il racconto del richiedente, senza aver preventivamente rivolto alcuna domanda alla parte, ed ha posto a fondamento delle sue conclusioni la mancanza di prova in ordine al legame di parentela con il fratello e la circostanza che la polizia non ha proceduto immediatamente ad arrestare i familiari dei partecipanti al colpo di Stato, lasciando passare più di una settimana di tempo.

I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità per le ragioni che seguono. Il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato, alla luce dei criteri di cui all’art. 3, il difetto di credibilità del racconto del ricorrente sulla scorta della sua genericità e lacunosità, nonchè sulla base delle riscontrate contraddizioni circa il comportamento della polizia locale e della mancanza di documentazione comprovante il legame di parentela con il fratello. Per contro, la difesa non ha fornito elementi in forza dei quali superare le conclusioni negative della Corte di Appello, posto che le censure sollevate si presentano generiche e non colpiscono specificamente la ratio posta alla base della decisione impugnata, limitandosi a prospettare una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rese in sede di audizione, ed a lamentare la mancanza di un atteggiamento cooperativo da parte dell’autorità giudiziaria, stante l’omesso esame diretto del ricorrente, senza specificare le questioni in ordine alle quali la Corte di Appello avrebbe dovuto chiedere ulteriori chiarimenti. Una censura siffatta, contestando genericamente gli apprezzamenti di fatto in ordine alla credibilità del ricorrente, rientranti nella sfera discrezionale del giudice del merito, attiene al merito e non può essere sollevata in sede di legittimità (Cass., Sez. I, n. 3340/2019).

Nel terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione delle norme che soprintendono il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 8, art. 9, comma 2, 13 e 27 per avere il giudice di appello ritenuto mancante l’a prova di un effettivo percorso di integrazione del richiedente in Italia, in considerazione della sola mancanza di un attuale rapporto di lavoro, senza attribuire alcuna rilevanza alla relazione stabile instaurata con una cittadina italiana. Un’omissione tanto più rilevante se si considera la formale dichiarazione di convivenza, effettuata secondo le modalità previste dalla L. n. 76 del 2016.

La censura è inammissibile per difetto di specificità dal momento che la difesa lamenta genericamente che la Corte di Appello non ha debitamente tenuto conto della volontà di procedere alla convivenza con cittadina italiana, consacrata formalmente secondo le modalità previste dalla L. n. 76 del 2016. Tuttavia, il giudice di appello, nel verificare la effettiva integrazione in Italia da parte del ricorrente, ha esaminato tale profilo, ritenendo e motivando che la mera dichiarazione di volontà di convivenza non è sufficiente a legittimare la concessione della protezione umanitaria, in considerazione anche del fatto che non sono riscontrabili ulteriori indici di effettiva integrazione in Italia, quali la presenza di un rapporto di lavoro attuale e stabile, e che, alla luce delle informazioni acquisite riguardo alla situazione socio-politica del (OMISSIS), deve escludersi che il ricorrente possa essere compromesso nell’esercizio dei diritti fondamentali in caso di un eventuale rimpatrio. Dunque, la censura già presenta del tutto generica, limitandosi a prospettare una diversa interpretazione circa l’importanza del profilo della convivenza, ritenuto dalla difesa dirimente ai fini della protezione umanitaria, senza tuttavia allegare o produrre elementi che, provando un concreto ed attuale inserimento in Italia da parte del ricorrente, smentiscano la ratio del provvedimento impugnato (Cass., Sez. III, n. 21240/2020).

Ciò determina l’inammissibilità del ricorso. Nulla sulle spese poichè il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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