Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6228 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. I, 05/03/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 05/03/2021), n.6228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28922/2018 proposto da:

P.J., elettivamente domiciliata in Roma, piazza San

Salvatore in Campo n. 33, presso lo studio dell’avvocato Muccio

Nicolina Giuseppina, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Nappi Noemi;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il

riconoscimento Protezione Internazionale di Firenze;

– intimato –

avverso la sentenza n. 418/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 19/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2019 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con ordinanza datata 22 febbraio 2017, il Tribunale di Firenze ha respinto il ricorso presentato da P.J., di provenienza nigeriana (regione dell’Ondo State), avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego di riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure di quello di riconoscimento della protezione umanitaria.

2.- Proposta impugnazione nei confronti di tale ordinanza, la Corte di Appello di Firenze la ha respinta, con sentenza depositata in data 19 febbraio 2018.

3.- Con riferimento al diritto di rifugio, la Corte territoriale ha rilevato che l'”appellante non è stata perseguitata in Patria per ragioni attinenti alla razza, alla religione, alla nazionalità, al gruppo sociale di appartenenza o alle opinioni politiche, anzi situazioni del genere non sono state nemmeno delineate dalla P.”.

“Nella prospettiva della protezione sussidiaria” – ha proseguito il giudice – i “requisiti previsti sub A e B del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sono stati lasciati nel generico, “mentre la situazione ipotizzata sub C viene riconnessa a vicende private, rappresentate da comportamento dello zio che “quando ho partorito a 16 anni, mi ha detto di sposarmi altrimenti non mi avrebbe aiutato. Mi ha presentato un anziano e poi un’altra persona”. Ora, la “minaccia” dello zio non giustifica la protezione sussidiaria, anche perchè l’appellante ha ormai 23 anni e lo zio chissà quanti, comunque l’ordinamento nigeriano è in grado di offrire protezione da una situazione del genere, in ogni caso il supposto pericolo non deriva da condizioni di violenza indiscriminata in atto nel Paese”.

Riguardo alla protezione umanitaria, il giudice ha affermato che “nel caso dell’appellante non emerge alcuna particolare condizione di debolezza (ad esempio nella salute o nella capacità lavorativa)”, “sicchè non si ravvisano valide ragioni per autorizzare la permanenza nel territorio dello Stato italiano”.

4.- Avverso la pronuncia della Corte fiorentina ricorre P.J., affidandosi a tre motivi di cassazione.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensive nel presente grado del giudizio.

5.- La controversia è stata chiamata alla camera di consiglio della Prima Sezione civile del 28 giugno 2019. In esito alla quale, il Collegio ha stabilito di rinviare la causa a nuovo ruolo, con ordinanza del 29 ottobre 2019, n. 27686.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.- La ricorrente censura la decisione della Corte di Appello: (i) col primo motivo, per violazione di legge, essendosi la sentenza impugnata “sottratta totalmente al dovere di cooperazione istruttoria”, in quanto ha ritenuto, con riferimento al diritto di rifugio, di “non vedere quale sforzo istruttorio avrebbe dovuto compiere il giudice per ravvisare presupposti di tutt’altro genere nemmeno allegati dall’interessato”; (ii) col secondo motivo, per violazione di legge, avendo la sentenza errato nel negare il riconoscimento della protezione sussidiaria, nonostante la fattispecie concreta integri una ipotesi di “matrimonio forzato”, quale rientrante nell’ambito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. b); (iii) col terzo motivo, per violazione di legge, per non avere la sentenza preso in considerazione le più situazioni di vulnerabilità proposte dalla fattispecie concreta e non avere svolto alcuna valutazione comparativa tra la situazione di vita della richiedente nel Paese di origine e nel Paese di accoglienza.

7.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto affatto generico.

Lo stesso si limita a predicare – con riferimento al tema del diritto di rifugio – la necessità di un dovere dii cooperazione istruttoria del giudice, senza nemmeno indicare gli aspetti sui quali questo dovrebbe trovare esplicazione.

8.- Il secondo motivo di ricorso (intestato alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b) e il terzo motivo (in relazione al profilo della protezione umanitaria) vengono in modo particolare a proporre, pur se da angolature diverse, la tematica del c.d. “matrimonio forzato”.

9.- Di questo tema, di delicatezza evidente, la Corte si è in più occasioni già occupata.

Così, posta di fonte a una fattispecie in cui il “diritto consuetudinario locale… imponeva” a una donna, rimasta vedova, di unirsi in matrimonio col fratello del defunto marito – pena altrimenti la perdita della potestà genitoriale sui figli, dei propri beni personali e l’allontanamento dal villaggio -, la pronuncia di Cass. 24 novembre 2017, n. 28152 ha riconosciuto lo status di rifugiato alla persona che si era rifiutata di dare seguito una simile pratica.

In relazione a un caso in cui una donna era stata costretta ad abbandonare il proprio Paese “per essersi rifiutata di subire un matrimonio impostole da padre e per sfuggire alle conseguenti violenze fisiche e morali subite da lei e da sua madre”, Cass., 12 dicembre 2016, n. 25463 ha inquadrato la fattispecie nell’ambito della protezione sussidiaria. Per rilevare in specie che, là dove la pratica del matrimonio forzato risponde a una “realtà sociale accettata”, la “costrizione a un matrimonio non voluto” rappresenta una “grave violazione della dignità e dunque trattamento degradante che integra un danno grave”.

Allo stesso inquadramento di base è pervenuta, più di recente, la decisione di Cass., 9 marzo 2020, n. 6573, che ha ritenuto “trattamento inumano e degradante” quello rappresentato da un uomo, di religione e cultura poligamiche, che aveva riferito di temere “di essere ucciso dai familiari anziani ove, facendo ritorno al proprio villaggio, non avesse contratto matrimonio anche con la vedova del proprio fratello”.

10.- Come emerge in modo immediato dalla sola lettura della casistica appena richiamata, e com’è del resto cosa naturale, la fattispecie sintetizzata nell’espressione “matrimonio forzato” si compone, in realtà, di più figure.

Figure, queste, comunque unificate, per la verità, dal profilo di costrizione, o anche induzione, al compimento dell’atto matrimoniale – e allo svolgimento del conseguente rapporto – da parte di un terzo (per “autorità” di fatto derivata da ragioni diverse, e anche molto lontane tra loro, ma in ogni caso di impatto forte sulla personalità del soggetto costretto o indotto; sul punto non appare fuor di luogo evocare pure la norma dell’art. 558 bis c.p., comma 2). E per ciò stesso intese a violare, ovvero a penalizzare, il godimento di un diritto umano fondamentale.

All’interno di questo comune contesto di riferimento, tuttavia, le ipotesi riconducibili all’idea di “matrimonio forzato” risultano pure diversificate, e tra loro distinguibili, sotto i profili della intensità e pure della tipologia. Si da manifestarsi, in quanto tali, anche idonee a rifluire – a seconda della specifica loro consistenza – nell’ambito di una o di un’altra delle ipotesi normative che l’ordinamento vigente ha predisposto per la protezione dello straniero.

11.- Nel caso qui concretamente in esame, secondo l’insindacabile accertamento effettuato dalla Corte del merito, la ricorrente si è trovata di fronte a pressioni che – seppur reiterate e di taglio “insinuativo” – non hanno raggiunto il livello della vera e propria imposizione, sì da esporla a trattamenti in sè stessi lesivi della dignità personale.

Non può, di conseguenza, essere accolto il secondo motivo di ricorso, che per l’appunto è stato inscritto nella forma della protezione sussidiaria.

12.- Ciò non toglie, naturalmente, che le pressioni e induzioni in fatto subite siano venute a comportare forti disagi e sofferenze nella persona della ricorrente; che abbiano, così, inciso sulla sua facoltà di autodeterminazione e di positiva esplicazione della libertà personale, ponendola anzi a una situazione di peculiare vulnerabilità. Tale, in particolare, da integrare gli estremi dei “seri motivi di carattere umanitario” di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

13.- In conclusione, dev’essere accolto il terzo motivo di ricorso, respinti i primi due.

Di conseguenza, va cassato per quanto di ragione il provvedimento impugnato e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Firenze che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti il primo e il secondo motivo. Cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Firenze che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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