Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6228 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 05/03/2020), n.6228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10599-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIBULLO 16,

presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA VELLETRI, rappresentata e

difesa dagli avvocati LUIGI FORTUNATO, FRANCO BRACCIALE;

controricorrente –

avverso la sentenza n. 279/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 07/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

M.S., esercente attività di parrucchiera, adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Latina, impugnando un avviso di accertamento relativo all’anno 2002, con il quale l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Formia, accertava un maggior reddito d’impresa pari ad Euro 10784,00, cui conseguivano maggiori tributi a titolo di Irpef, Iva ed Irap, in proporzione, oltre accessori, in conseguenza dello scostamento tra ricavi e reddito rispetto a quelli risultanti dallo studio di settore.

Il Giudice di primo grado respingeva il ricorso.

La contribuente proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. La CTR accoglieva il ricorso sul presupposto che gli indicatori da studi di settore possono costituire indizio di evasione ma che, in mancanza di riscontro oggettivo, non potevano da soli costituire elemento probatorio che legittima l’accertamento.

Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi d’impugnazione.

La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa della controricorrente in ragione della mancanza, nel ricorso introduttivo, di qualunque espressione idonea a dare conto di una richiesta di patrocinio rivolta dall’Agenzia delle entrate all’Avvocatura dello Stato per il presente procedimento, avendo questa Corte reiteratamente affermato (sez. U, n. 23020 del 2005; Cass. n. 1227 del 2007; Cass. n. 14785 del 2011 e altre) che ove l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione di cui al R.D. n. 1611 del 1933, art. 1, comma 2, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato.

2. Con il primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’impugnante censura l’erronea o falsa applicazione e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D), in relazione al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies. Deduce che poichè la contribuente era rimasta silente al contraddittorio preventivo su invito, l’accertamento poteva basarsi esclusivamente sugli studi di settore.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, per aver la CTR omesso di motivare le ragioni per le quali la incongruenza evidenziata in relazione agli studi di settore non fosse rilevante.

4. Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse sono fondate.

Invero, come chiarito dalle Sezioni Unite (Sentenza n. 26635 del 18/12/2009 e successive), “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.

La legittimità dell’accertamento tributario fondato sugli studi di settore, ed il ricordato orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, è stato confermato anche in sede sovranazionale (cfr. CGUE, 21.11.2018, in causa C-648-16).

Se ne deduce che l’onere della prova fra le parti risulta così ripartito: all’ente impositore spetterà la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, mentre al contribuente farà carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce (Cass. 3252/2019; Cass. 27617/2018, (conf., Cass. sez. V, 20.9.2017, n. 21754).

Nel caso di specie, invero, neanche la contribuente contesta che lo studio di settore utilizzato dall’Amministrazione finanziaria sia proprio quello (SG34U) che risulta applicabile alla concreta attività d’impresa svolta.

Risulta pertanto legittimo, nel caso di specie, l’agire dell’Amministrazione finanziaria che, istaurato il contraddittorio con l’odierna resistente le ha poi inviato l’avviso di accertamento fondandolo sugli studi di settore, in assenza di un’attività di allegazione e prova da parte del contribuente.

L’omessa partecipazione attiva al contraddittorio predibattimentale del soggetto destinatario dell’accertamento tributario, invero, non gli impedisce di far valere le proprie ragioni in fase contenziosa, ma in tale sede deve allegare e provare elementi che siano sufficienti a vincere le presunzioni legali che, nelle circostanze descritte, assistono l’operato dell’Ente impositore, e sono comunque idonee a fondare, anche da sole, la validità dell’accertamento.

Nella specie, invece, la CTR ha ritenuto che incombesse sull’Ufficio indicare elementi aggiuntivi o indici particolari a sostegno della maggiore capacità contributiva.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità alla CTR del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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