Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6227 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 05/03/2020), n.6227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10127-2013 proposto da:

ARREDAMENTO ENRICO ESENTE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FILIPPO CORRIDONI 14, presso lo studio degli avvocati MARCO E VIERI

PAOLETTI, rappresentato e difeso dagli avvocati ROBERTO PELLEGRINO,

STEFANO PELLEGRINO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE II DI NAPOLI, AGENZIA

DELLE ENTRATE;

– intimati –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

ARREDAMENTO ENRICO ESENTE SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 227/2012 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 12/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. STANISLAO DE MATTEIS che ha

chiesto: si rigetti il ricorso principale e quello incidentale con

le conseguenze di legge, in subordine si chiede la rimessione della

questione alle Sezioni Unite o alla Pubblica Udienza.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 227/51/2012 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello principale proposto da Arredamento Enrico Esente s.r.l. e quello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che, decidendo sul ricorso avverso l’avviso di accertamento di un maggior reddito di impresa ai fini IVA, IRES ed IRAP relativamente all’anno di imposta 2005, emesso a seguito dell’applicazione degli studi di settore, aveva rideterminato i maggiori ricavi in misura pari al 60%, elevando la percentuale del 47% applicata dalla contribuente e riducendo quella dell’80% rideterminata dall’Ufficio.

I giudici di appello rilevavano che l’Ufficio aveva correttamente operato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ma non aveva, tuttavia, tenuto nella giusta considerazione la circostanza che la ricorrente operava in un’area nella quale incontrava notevoli elementi di concorrenza legati sia alle sue dimensioni, sia alla possibilità di competere con altre grosse società e che andava condivisa la riduzione che dei maggiori ricavi accertati aveva operato il giudice di primo grado.

Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso, nel quale viene svolto ricorso incidentale affidato a un motivo.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disattesa la richiesta di trattazione congiunta, previa riunione al presente, del procedimento n. 10133/2013 avente ad oggetto un ricorso su un avviso di accertamento notificato al socio E.P.P. sulla base dello stesso accertamento svolto nei confronti della società.

In caso di pendenza separata di procedimenti relativi all’accertamento del maggior reddito contestato ad una società di capitali e di quello di partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio è l’accertamento tributario nei confronti della società a costituire un indispensabile antecedente logico-giuridico di quello nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano non ricorrendo, com’è per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 23323 del 31/10/2014). Non è, pertanto necessario provvedere alla trattazione congiunta dei procedimenti.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, anche sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Lamenta che la CTR aveva confermato erroneamente la sentenza di primo grado che aveva deciso secondo equità nella rideterminazione dei ricavi.

La censura non è fondata.

La CTR ha affermato di condividere l’assunto dei giudizi di primo grado affermando che l’ufficio, pur avendo provveduto all’emissione dell’opposto avviso di accertamento, dopo aver riscontrato, a seguito del controllo dei dati esposti nel modello Unico, l’elevato rapporto tra costo del venduto e ricavi dichiarati e la remunerazione dell”attività svolta nei cinque anni dal 2002 al 2006, risultante pari allo 0,1% e quindi avesse correttamente operato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, non aveva tenuto nella giusta considerazione la circostanza che la ricorrente operava in un’area nella quale incontrava notevoli elementi di concorrenza legati sia alle dimensioni, sia alla possibilità di competere con altre grosse società, circostanze queste che l’avevano costretta ad investire in promozioni che le avevano consentito di aumentare il fatturato negli anni dal 2006 al 2008, pur lasciando invariato il numero dei dipendenti e dei mezzi utilizzati.

Orbene, la valutazione del giudice tributario di primo grado, condivisa da quello di secondo grado, è frutto di un giudizio non riconducibile ad una decisione della causa secondo la cosiddetta equità sostitutiva, che è consentita nei soli casi previsti dalla legge ed attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia, attribuendo al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo, in quanto dal contesto della motivazione emerge che l’equa determinazione del reddito di impresa risultante dall’applicazione degli studi di settore – che, come è noto, vanno adeguate alla specifica realtà aziendale, nel rispetto dei principi di ragionevolezza ed equità contributiva – è quella restituita dalla valutazione da parte dei giudici di appello degli elementi probatori acquisiti al processo incidenti sull’accertamento fiscale. Non è, pertanto, ipotizzabile la violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2, rientrando il suddetto apprezzamento – che non ha riguardato le norme fiscali dettate in materia di studi di settore – nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la cui pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della carenza od inadeguatezza della corrispondente motivazione (nella specie pure dedotta), sicchè il vizio denunciato non si riscontra nella fattispecie in esame (arg. da Cass. n. 24520 del 2005, n. 4442 del 2010; Cass. 17475/2017).

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamentando che la CTR non poteva procedere autonomamente alla determinazione induttiva della percentuale di ricarico.

La censura non è fondata.

Osserva il Collegio che al processo tributario non è estraneo il rapporto d’imposta, che è conosciuto dal giudice come oggetto dell’atto impugnato. Il giudice conosce del rapporto d’imposta come definito dall’atto impugnato, e nel caso in cui accoglie in parte il ricorso può ridurre la base imponibile determinata dall’avviso di accertamento.

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione anche sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia e in particolare circa la sussistenza degli indizi che costituirebbero delle presunzioni con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Lamenta che la CTR in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti aveva accolto solo parzialmente il ricorso e non per intero.

5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. nonchè degli artt. 112 e 113,115 e 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Lamenta in particolare che il giudice di appello aveva omesso di esaminare ed esplicitare gli elementi di fatto e di diritto utilizzati per rideterminare in diminuzione i ricavi accertati nella misura indicata e non aveva dato conto di aver esaminato gli elementi di prova forniti dalla contribuente.

6. Con il motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate deduce omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Lamenta in particolare che la CTR non aveva esaminato le circostanze poste a fondamento dell’operato dell’ufficio e motivato sulla base di quali elementi era arrivata alla determinazione della percentuale di ricarico nella misura del 60%.

7. Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse non sono fondate.

Questa Corte ha chiarito che con l’accertamento analitico-induttivo l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) (come in materia di IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata; sicchè essa possa essere considerata, nel suo complesso, inattendibile (Cass. n. 28728 del 2017; Cass. n. 10581 del 2015; Cass. n. 20060 del 2014; Cass. n. 5731 del 2012; Cass. n 26341 del 2009), con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. n. 28713 del 2017; Cass. n. 16119 del 2017; Cass. n. 26036 del 2015; n. 7871 del 2012).

8. Quanto al dedotto vizio motivazionale, si osserva che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. 30822 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017; n. 15489 del 2007); in particolare, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciati con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sussiste quando nella motivazione, sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa, senza però che il giudice abbia l’obbligo di esaminare tutti gli argomenti logici e giuridici prospettati dalle parti per sostenere le loro domande ed eccezioni (Cass. n. 11193 del 2007; Cass. n. 5169 del 1997).

Nella specie, la CTR, ha fatto buon governo dei suddetti principi, in quanto, con una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici giuridici – da leggere congiuntamente alla sentenza di primo grado, richiamata per relationem, ha affermato che l’ufficio aveva provveduto all’emissione dell’opposto avviso di accertamento, dopo aver riscontrato, a seguito dei controlli dei dati esposti nel Modello Unico, l’elevato rapporto tra costo del venduto e ricavi dichiarati e la remunerazione dell’attività svolta nei cinque anni, dal 2002 al 2006, risultante pari allo 0,1% ritenendo, conseguentemente, che gli elementi offerti dall’Ufficio, complessivamente valutati erano idonei ad integrare presunzioni gravi, precise e concordanti. La CTR ha rideterminato il reddito di impresa, nel rispetto dei principi di ragionevolezza ed equità contributiva, in considerazione della circostanza che la ricorrente operava in un’area nella quale incontrava notevoli elementi di concorrenza legati sia alle dimensioni, sia alla possibilità di competere con altre grosse società, effettuando una valutazione degli elementi probatori acquisiti al processo incidenti sull’accertamento fiscale.

9. Quanto alla dedotta mancata considerazione da parte della CTR di altri elementi indicati dal contribuente, già in sede di contraddittorio, affinchè sia rilevabile, in sede di legittimità, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non è sufficiente che sussista un elemento trascurato dal giudice di merito e potenzialmente idoneo a condurre a diversa decisione, ma è necessario che tale elemento sia integralmente ed adeguatamente descritto, nel suo contenuto e nella sua decisività, dallo stesso ricorso, dovendo quest’ultimo essere, a tal fine, autosufficiente (Cass. n. 3183 del 2.4.99; da ultimo, Cass. n. 25257 del 2017); il che, nella specie, non risulta, non avendo il ricorrente indicato in che termini la valutazione da parte del giudice di appello di tali dati avrebbe potuto incidere sull’esito della decisione.

In ogni caso, va osservato che il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass. n. 4610 del 2014; Cass. n. 12623 del 2012 che richiama Cass. n. 10156 del 2004; Cass. n. 9368 del 2006; Cass. n. 14752 del 2007).

Nella specie parte ricorrente e parte resistente, con l’appello incidentale, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, si sono limitate – in buona sostanza – a sollecitare una diversa lettura, delle risultanze di causa preclusa in questa sede di legittimità.

Il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere, pertanto, rigettati.

In considerazione della reciproca soccombenza le spese di lite devono essere compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.

Compensa le spese processuali del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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