Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6224 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 10/03/2017, (ud. 31/01/2017, dep.10/03/2017),  n. 6224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi iscritti ai numeri 23470 e 23471 del ruolo generale

dell’anno 2012, entrambi proposti da:

s.r.l. Motortrade, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dagli avvocati Giovanni Pattay ed Elisabetta Nardone,

elettivamente domiciliatosi presso lo studio della seconda in Roma,

alla piazza Cola di Rienzo, n. 92;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione delle sentenze della Commissione tributaria

regionale della Liguria, sezione 4, entrambe depositate in data 5

marzo 2012, nn. 65 e 66;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

31 gennaio 2017 dal Consigliere Perrino Angelina – Maria;

udito per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Rocchitta

Giammarco;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

L’Agenzia delle entrate ha contestato alla società la partecipazione ad una frode iva concernente l’importazione di autoveicoli. Ne sono derivati due avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia ha, per l’anno 2004, recuperato i costi e le spese sostenuti in relazione all’attività svolta ai fini delle imposte dirette nonchè l’iva, ritenuta indebitamente detratta, irrogando le sanzioni conseguenti ed ha, per l’anno 2002, accertato maggiore materia imponibile ai fini irpeg, iva ed irap, anche in tal caso irrogando la sanzione conseguente. La contribuente ha impugnato entrambi gli avvisi, senza successo nè in primo, nè in secondo grado quanto a quello relativo all’anno 2002 ed ottenendo, invece, in appello il parziale annullamento di quello riguardante l’anno 2004, nella parte in cui non erano stati considerati deducibili i costi sostenuti e detraibile l’iva assolta. Essa ha quindi impugnato le sentenze nn. 173/4/2009 e 82/06/09 del giudice d’appello sia per cassazione, sia dinanzi alla medesima Commissione tributaria regionale per ottenerne la revocazione. Questa Corte ha respinto i ricorsi dinanzi ad essa proposti, rispettivamente con sentenza n. 10231/16 (con la quale ha altresì dichiarato inammissibile il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia) e con ord. n. 3908/12 e la Commissione tributaria regionale con le sentenze impugnate negli odierni giudizi di legittimità ha rigettato i ricorsi per revocazione. In entrambi i casi il giudice d’appello ha escluso l’operatività del giudicato invocato dalla contribuente, rappresentato dalla sentenza, divenuta definitiva, con la quale il Gip presso il Tribunale di Chiavari ha assolto il legale rappresentante della società dal reato previsto e punito dalla L. n. 74 del 2000, art. 5, per omessa dichiarazione dell’ iva, considerando che tra il giudizio penale ed i giudizi tributari non v’è identità di soggetti e di oggetto. Le due sentenze sono state impugnate dalla contribuente con distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato ad un motivo. In entrambi i casi l’Agenzia delle entrate reagisce con controricorso.

Diritto

1. – Va disposta la riunione di entrambi i ricorsi, per connessione oggettiva ed identità soggettiva.

2. – Il collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

3. – Entrambi i ricorsi, che propongono il medesimo motivo, col quale la società si duole della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 5, là dove il giudice d’appello non ha inteso tener conto della sentenza definitiva con la quale il Gip di Chiavari ha escluso qualsiasi partecipazione del legale rappresentante della Motortrade alla frode carosello, sono infondati.

3.1. – Nessuna norma del nostro ordinamento disciplina i rapporti ed i reciproci effetti tra un giudicato civile ed uno penale nè detta criteri per dirimere un eventuale conflitto tra essi. Il criterio generale che si desume dalla normativa vigente in virtù del fatto che il nuovo codice di procedura penale non ha riprodotto la regola, dettata dall’art. 3 del codice di rito previgente, della necessaria pregiudizialità del processo penale rispetto a quello civile, è quello della tendenziale autonomia dei due giudizi, fatte naturalmente salve le diverse ipotesi di sospensione necessaria del giudizio civile in pendenza di quello penale, previste comunque dall’ordinamento (Cass. n. 17342/02). Ciò sta a significare che l’ordinamento riconosce il diverso ambito di efficacia delle pronunce civili rispetto a quelle penali ed in ragione di ciò non ritiene di prevenire in modo rigoroso la possibilità di un contrasto di giudicati (v., tra varie, Cass. n. 5409/97), salvo il disposto degli artt. da 651 a 654 c.p.p.).

3.2. – D’altronde, in generale si è chiarito (Cass., ord. n. 14719/13) che, nel contenzioso tributario, ai fini dell’applicazione dell’art. 395, comma 1, n. 5, (richiamato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 64), perchè una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l’oggetto del secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo, ovvero che in quest’ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo. Il che con evidenza va escluso nel caso in esame. come correttamente rilevato dal giudice d’appello.

4. – I ricorsi vanno per conseguenza respinti e le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

dispone la riunione dei ricorsi, li rigetta e condanna la società alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 13.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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