Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6215 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3180-2015 proposto da:

D.M.M., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato CARLO FABBOZZO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO PROVINCIALE DI NAPOLI TERRITORIO in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5354/2014 della COMM.TRIB.REG.

di NAPOLI, depositata il 03/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. D.M.M. propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 5354/3/14 del 3 giugno 2014, con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento con il quale l’agenzia del territorio di Napoli rettificava da “C2 (magazzini e locali di deposito) cl.9” a “C.1 (negozi e botteghe) cl.5”, la categoria e classe catastale di un immobile in sua proprietà sito in Napoli, e già fatto oggetto di frazionamento e cambio di destinazione d’uso regolarmente approvato dal Comune con DIA.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – la rettifica in questione era stata disposta in esito a procedura Docfa; – il contribuente poteva contestare il classamento indicato dall’agenzia indicando unità immobiliari similari collocate in classi e categorie diverse, ma il D. non aveva soddisfatto questo onere probatorio; – corretta doveva ritenersi la classificazione Cl operata dall’agenzia, anche in considerazione del fatto che si trattava di cespite sito al piano terra.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il D. lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 58. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento (allegato al ricorso ed in questo trascritto per stralcio) perchè privo della indicazione dei presupposti sostanziali della rettifica; e ciò con riguardo ai caratteri tipologici e costruttivi specifici dell’immobile, alle caratteristiche edilizie sue proprie e del fabbricato che lo ricomprende, agli immobili in comparazione.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 74 e 75. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che quella comparativa non era l’unica tecnica estimativa consentita dalla legge e che, di conseguenza, ben poteva il contribuente fornire la prova della congruità della rendita proposta con altri mezzi e, segnatamente, (come nella specie) attraverso la produzione in giudizio di una perizia tecnico-estimativa mirata sulle caratteristiche del bene.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5- “omesso esame” circa un fatto decisivo per il giudizio, costituito appunto dalla perizia estimativa, la quale dava conto delle caratteristiche dell’immobile a seguito di cambiamento di destinazione d’uso su DIA regolarmente assentita (perizia attestante elementi non contestati dall’amministrazione finanziaria, quali l’assenza di servizi igienici, dell’impianto di acqua corrente, di rifiniture compatibili con la categoria C1 assegnata).

p. 2.2 E’ fondato, con assorbimento delle altre due censure, il primo motivo di ricorso.

Il ricorrente – in adempimento dell’onere di specificità e determinatezza del ricorso per cassazione – ha allegato al medesimo l’avviso di accertamento in questione, riportandone anche un ampio stralcio testuale nello sviluppo della doglianza.

Ebbene, ciò consente di direttamente ed immediatamente verificare come la motivazione del medesimo si risolva nella mera attribuzione del nuovo classamento, previa la sola citazione delle fonti normative legittimanti l’esercizio del relativo potere.

E’ ben vero che l’accertamento in questione è stato posto in essere non per impulso ufficioso o per porre rimedio ad una sopravvenuta inadeguatezza del classamento già assegnato (L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 335-336; L. n. 662 del 1996, art. 3 comma 58), bensì al termine di una procedura che, come quella Docfa, è promossa dalla parte privata ed è in effetti connotata da forti elementi partecipativi.

Tuttavia, proprio con riguardo a questo tipo di procedura di classamento, è costante l’indirizzo di legittimità secondo cui: “In tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni, mentre nel caso in cui vi sia una divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso.”(Cass. ord. n. 12777 del 23/05/2018; così Cass. n. 31809/18; n. 12497/16 ed innumerevoli altre).

Ora, nel caso di specie non può dirsi che l’avviso di accertamento fosse adeguatamente motivato in virtù della mera indicazione dei dati identificativi dell’immobile e della classe attribuita (oltre che della normativa di riferimento); ciò proprio in ragione del fatto che il nuovo classamento attribuito dall’ufficio non si limitava ad una diversa valutazione economico-estimativa degli stessi elementi fattuali dedotti dal dichiarante, ma assumeva a presupposto della rettifica una diversa tipologia di immobile, a sua volta riconducibile ad una destinazione d’uso (commerciale, negozio) diversa da quella dichiarata – all’esito di frazionamento e cambiamento di destinazione d’uso regolarmente assentito – con la procedura Docfa (deposito, magazzino).

In tale contesto, era dunque fatto onere all’agenzia del territorio di motivare l’avviso di riclassamento non già con la semplice indicazione della categoria assegnata e della normativa astrattamente legittimante l’azione accertativa, bensì con una più approfondita e mirata specificazione delle differenze riscontrate e delle ragioni della divergente valutazione, in concreto, degli elementi fattuali e tipologici asseritamente significativi di una diversa destinazione d’uso.

Ciò al fine, come indicato dal su riportato indirizzo interpretativo, sia di consentire al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa, sia di delimitare l’oggetto del contenzioso stesso.

La Commissione Tributaria Regionale, per contro, si è limitata a considerazioni, peraltro apodittiche, concernenti la “prova” dei presupposti del classamento, senza farsi carico della sostanziale inesistenza di “motivazione” dell’avviso, salvo sul punto laconicamente osservare che: “l’agenzia, da parte sua, nei termini di legge ha proceduto alla determinazione della rendita catastale definitiva”.

Ne segue la cassazione della sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese del merito vengono compensate in ragione del successivo consolidarsi del più volte richiamato assetto interpretativo di legittimità; le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono invece la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e decide nel merito mediante accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente;

pone le spese del giudizio di legittimità a carico dell’agenzia delle entrate, liquidate in Euro 1500,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge; compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 5 marzo 2020

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