Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6213 del 15/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 15/03/2010), n.6213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23759-2006 proposto da:

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI CATANZARO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BOER PAOLO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PALLONE FEDERICA,

TRANQUILLO LUIGI, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati COSSU BENEDETTA,

CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1076/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 29/09/2005 r.g.n. 1733/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato CARLO DE ANGELIS per delega PAOLO BOER;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 11/27-3-2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Catanzaro, in accoglimento della opposizione proposta dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro nei confronti dell’INPS, revocava il decreto ingiuntivo n. 3580 emesso dal Pretore della detta città in data 29-11-1996 a favore dell’istituto e nei confronti della citata Amministrazione.

Con ricorso in data 27-11-2002 l’INPS proponeva appello avverso la detta sentenza deducendo che alla fattispecie non si applicava la prescrizione quinquennale introdotta dalla L. n. 335 del 1995 ma il termine decennale previsto dalla preesistente normativa, ai sensi dell’art. 3, comma 10, detta legge, in quanto, in particolare, non era necessario che vi fossero stati degli atti interruttivi della prescrizione ma era sufficiente che fossero già iniziate procedure nel rispetto della normativa precedente, e nella specie l’accertamento ispettivo era iniziato in data 6-7-1995.

Inoltre, nel merito, l’appellante rilevava che dalla Amministrazione appellata erano venute solo contestazioni generiche circa i conteggi effettuati e, quindi, andava riconosciuto pieno valore probatorio al verbale di accertamento redatto dai funzionari dell’Istituto.

Peraltro, l’Amministrazione aveva presentato domanda di condono per la parte di contributi che aveva ritenuto non prescritti, per cui, atteso il carattere unitario dell’accertamento, con tale comportamento – secondo l’istituto – essa aveva prestato acquiescenza all’accertamento stesso.

In prosieguo l’appellante argomentava sulla corretta applicazione della nuova legge, specificando che il semplice inizio della procedura, di certo ricorrente nel caso di specie, era sufficiente a ritenere l’applicazione della precedente normativa, anche alla luce dei principi sulla prescrizione.

L’istituto appellante concludeva quindi per l’annullamento della sentenza impugnata.

L’Amministrazione Provinciale di Catanzaro si costituiva resistendo all’appello di controparte e concludendo per la conferma della pronuncia di primo grado.

La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 29-9- 2005, in accoglimento dell’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto, compensando tra le parti le spese del giudizio.

In sostanza la Corte territoriale riteneva che, dovendo applicarsi nella fattispecie il termine di prescrizione decennale, L. n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 10, in considerazione dell’inizio della procedura in data 6-7-1995 (come emerso documentalmente e dalla testimonianza dell’ispettore P.), i crediti in questione non erano estinti per prescrizione.

Nel merito, poi, la Corte d’Appello rilevava che le contestazioni effettuate dall’Amministrazione apparivano generiche e non specificamente articolate in ordine ai singoli, precisi punti dell’accertamento effettuato dall’ispettore, ed aggiungeva che, “in ogni caso”, avendo l’Amministrazione presentato domanda di condono in relazione a quella parte dei contributi che, a suo parere, non sarebbero stati prescritti, non poteva più contestare l’accertamento, avendo prestato acquiescenza allo stesso.

Per la cassazione di tale sentenza la Amministrazione Provinciale di Catanzaro ha proposto ricorso con cinque motivi.

L’INPS ha resistito con controricorso.

La Amministrazione Provinciale di Catanzaro ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente osserva il Collegio che nella fattispecie (ricorso avverso sentenza pubblicata anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006) non trova applicazione ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c., per cui non assumono rilevanza i quesiti formulati dalla ricorrente.

Con il primo motivo la ricorrente in sostanza censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha considerato prova idonea ad individuare la data di inizio dell’accertamento ispettivo la data indicata nel modello riassuntivo dell’INPS, priva di qualsiasi supporto documentale, nonchè per aver ravvisato nell’accesso dell’ispettore presso gli uffici dell’Amministrazione Provinciale una “procedura iniziata” idonea a far salvo il precedente termine di prescrizione, in assenza di qualsiasi prova documentale al riguardo.

Con il secondo motivo la ricorrente, sullo stesso punto, lamenta vizio di motivazione laddove la Corte d’Appello ha ritenuto di far coincidere l’inizio della procedura con la data di formazione del documento prodotto dall’INPS recante la data del 7-7-1995, attestante soltanto la messa in programma da parte dell’istituto di un accertamento ispettivo (coincidenza, peraltro, smentita dalla stessa deposizione testimoniale dell’ispettore dell’INPS).

Con il terzo motivo la ricorrente deduce che, atteso che l’omissione contributiva addebitata decorreva dal 1-1-1980 e che la notifica del verbale era avvenuta il 27-11-1995 (primo atto interruttivo), considerata la sospensione dei termini tra il 10-1-1983 e il 12-9- 1986, la prescrizione dei contributi azionati non poteva comunque spingersi oltre 13 anni, 8 mesi e 2 giorni, per cui la sentenza impugnata risultava in ogni caso errata per aver confermato il decreto ingiuntivo nella parte in cui recava condanna al pagamento dei contributi e delle relative sanzioni civili anteriori al marzo 1982. Inoltre la ricorrente lamenta carenza di motivazione, sul punto, in relazione all’effetto interruttivo implicitamente ritenuto anche per il periodo anteriore alla detta data, pur in mancanza di alcun atto di messa di mora.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la mancata applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 219 e della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18 e deduce che per effetto di tali disposizioni si sono estinti ex lege, a carico dell’ente locale, i precedenti addebiti per sanzioni ed interessi, limitandosi la originaria obbligazione alla sola contribuzione omessa.

Con il quinto motivo la ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla computabilità nella retribuzione imponibile, ai fini della contribuzione minore, quanto meno delle voci specificamente contestate con la opposizione (“aggiunte di famiglia, trattamento di missione”).

Orbene osserva il Collegio che la sentenza impugnata dopo aver affrontato le questioni toccate dai cinque motivi di ricorso espressamente afferma che: “In ogni caso appare fondato il rilievo dell’istituto secondo il quale, avendo controparte, in data 29-6- 1996, presentato domanda di condono in relazione a quella parte dei contributi che, a suo parere, non sarebbero stati prescritti, non può più contestare l’accertamento. Di certo l’accertamento stesso ha carattere unitario, per cui non se ne può contestare la fondatezza a seconda che il credito venga ritenuto prescritto o meno.

La domanda predetta, quindi, va ritenuta come atto di acquiescenza all’accertamento”.

Tale capo della sentenza impugnata, che costituisce chiaramente una autonoma ratio decidendi, idonea a sostenere da sola la decisione della Corte territoriale, non è stato in alcun modo censurato con il ricorso nè è stato toccato dai motivi di impugnazione sopra richiamati.

All’uopo, infatti, non può risultare sufficiente il semplice accenno contenuto, nella esposizione del quinto motivo, nell’inciso (“genericità delle contestazioni-acquiescenza implicita, per effetto della parziale domanda di condono”) relativo alla premessa circa la motivazione adottata dalla Corte di merito per respingere le contestazioni riguardanti la base imponibile, giacchè il motivo stesso riguarda chiaramente soltanto la specificità di tali contestazioni, quanto meno relativamente alle voci richiamate, e il merito della computabilità o meno (almeno in parte) delle dette voci, senza minimamente censurare la autonoma e distinta affermazione della avvenuta acquiescenza all’intero accertamento, a seguito della domanda di condono.

Tanto rilevato, va qui riaffermato il principio consolidato secondo cui “posto che il ricorso per cassazione non introduce una terza istanza di giudizio con la quale si può far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi invece come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o vizi dedotti” (v. Cass. 5-6-2007 n. 13070), “qualora la sentenza di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione secondo l’iter logico- giuridico seguito sul punto in questione nella sentenza impugnata, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe pur sempre fondata su di essa” (Cass. 27-1-2005 n. 1658, Cass. 4-5-2005 n. 9279, Cass. 23-2-2006 n. 3989, Cass. 18-9-2006 n. 20118, Cass. 11-1-2007 n. 389, Cass. 5-3-2007 n. 5051).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Infine, in considerazione dell’esito nettamente alterno dei giudizi di merito, della complessità delle questioni e del particolare esito del presente giudizio di legittimità, ricorrono giusti motivi per compensare le spese di tale ultimo giudizio tra le parti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2010

 

 

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