Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6208 del 15/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 15/03/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 15/03/2010), n.6208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20992/2007 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’ avvocato CHIARA TURCO, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L.;

– intimato –

sul ricorso 22546/2007 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ANTONIO

MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO GIOVANNANTONIO,

che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TURCO, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5404/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/07/2006 r.g.n. 10730/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. MONACI STEFANO;

udito l’Avvocato TURCO CHIARA;

udito l’Avvocato FASANO RAFFAELA per delega FASANO GIOVANNANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per improcedibilità in subordine

rigetto dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha per oggetto la richiesta di un dipendente dell’Istituto poligrafico Zecca dello Stato, il sig. C. L., il quale, dopo avere premesso di avere effettuato ore di lavoro straordinario ed obbligatorio, richiedeva la declaratoria del diritto al computo dei compensi relativi nelle indennità di anzianità e nel trattamento di fine rapporto, nonchè il ricalcolo, in relazione ad esse, della retribuzione corrisposta per le mensilità aggiuntive e le ferie fino all’entrata in vigore del contratto di categoria del 1992.

La richiesta veniva accolta dal giudice primo grado, e parzialmente da quello di appello che condannava l’Istituto al pagamento di una somma affermando che il compenso per lavoro straordinario doveva essere il compenso per lavoro straordinario continuativo doveva essere computato nel TFR e nelle mensilità aggiuntive fino al 1992.

L’Istituto ha proposto, in termine, ricorso per cassazione con tre motivi.

L’intimato signor C. ha resistito con controricorso ed ha presentato ricorso incidentale, con due motivi di impugnazione.

Il ricorrente ha resistito a sua volta con proprio controricorso al ricorso incidentale ed, infine, ha depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, i due ricorsi, quello principale e quello incidentale, proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti obbligatoriamente ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Entrambi sono infondati.

2. Nel primo motivo il ricorrente principale il ricorrente principale lamenta la violazione dell’art. 1322 c.c., in relazione alla normativa collettiva alla normativa da applicare alla fattispecie.

Il motivo è inammissibile, perchè i contratti collettivi cui si richiama il ricorrente (ad eccezione, per la verità, di una prima “ipotesi di accordo” del 1974) sono stati riportati nel ricorso solamente per stralci più o meno ampi e non nel loro testo integrale.

Nè sono stati allegati nel testo integrale, e neppure viene specificato che fossero già (stati depositati nei fascicoli del giudizio di merito, appositamente ridepositati nel giudizio di cassazione per consentire al Collegio ogni opportuno riscontro. Si deve ritenere, invece,, che, quando, in applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (nella sua nuova formulazione a seguito della modifica introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2) un ricorso per cassazione venga proposto per violazione falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionale di lavoro del settore privato (che, a differenza delle disposizioni normative in senso proprio e degli stessi contratti ed accordi collettivi del settore pubblico, non sono soggetti a forme ufficiali di pubblicità che ne garantiscano la conoscenza), il ricorrente non possa limitarsi a riportare semplici stralci dei testi con le norme che si assumono violate.

Come ritiene la giurisprudenza ormai maggioritaria e più convincente, occorre, invece, che il ricorrente depositi, o ridepositi, i contratti e/o gli accordi collettivi asseritamene violati nel loro testo integrale (in questo senso, per tutte, recentemente 5 febbraio 2009, n. 2855, e 2 luglio 2009, n. 15495).

3. Valgono in questo senso innanzi tutto due considerazioni di carattere decisivo.

Sul piano formale l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (anch’esso nella nuova formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7), prevede espressamente l’obbligo di depositare, a pena di inammissibilità del ricorso, anche “i documenti, o contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, senza prevedere la possibilità che il teso depositato possa essere parziale.

Dal punto di vista sostanziale il giudice deve essere posto in condizione di verificare non solo le singole norme collettive, ma interpretarle all’interno del testo complessivo dei contratti o accordi collettivi in cui sono inserite.

Nel contesto complessivo, infatti, quelle norme possono acquisire un valore diverso.

4. Nel caso di specie listiamo, come si è detto, si limitato a riportare semplici stralci, e questo è insufficiente, e non può valere ad escludere l’inammissibilità del ricorso, o, più esattamente, dei motivi di ricorso, che, come questo, richiedono un controllo delle fonti contrattuali collettive. Vale la pena di sottolineare, per opportuna chiarezza, che questa interpretazione rigida dell’obbligo di deposito dei contratti collettivi non si traduce in un formalismo fine a se stesso.

Anche astraendo dalla formulazione letterale del nuovo testo, già richiamato, dell’art. 369 c.p.c., se è vero che non si può escludere che in un caso specifico gli stralci riportati contengano tutte le norme contrattuali effettivamente rilevanti per la risoluzione del caso, è anche vero che. non si può escludere neppure il contrario: il dubbio può essere risolto soltanto con la lettura, del testo completo del contratto richiamato (oppure, dei contratti richiamati), e perciò, a maggior ragione, questo ultimi debbono necessariamente essere acquisiti nella loro interezza.

5. Nel secondo motivo di impugnazione il ricorrente principale ripropone l’eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario sugli istituti di fine rapporto, e denunzia l’insufficiente motivazione, la violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, dell’art. 120 c.c. e degli artt. 2934 e 2935 c.c..

Anche questo motivo è infondato.

Sul piano strettamente formale, non è esatto che vi sia stata, omissione, perchè l’eccezione di prescrizione è stata implicitamente rigettata dal giudice di merito. Sul piano sostanziale, in ogni caso l’eccezione è infondata. Il diritto all’erogazione del trattamento di fine rapporto nasce soltanto con la cessazione del rapporto (prima si possono; ottenere soltanto, ed a determinate condizioni, degli anticipi parziali).

Perciò la prescrizione del diritto al trattamento, e di quello al suo esatto computo, decorre soltanto dalla cessazione del rapporto.

6. Nel terzo motivo il ricorrente principale deduce, infine, l’omessa e comunque insufficiente e contraddetto ria motivazione nella reiezione della domanda riconvenzionale eccezione di compensazione proposta dall’istituto e la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c., come modificato dalla L. n. 297 del 1982.

Il ricorrente critica l’interpretazione data dal giudice di merito all’accordo del 1974, per avere ritenuto che la clausola di riassorbibilità (di un maggior compenso consistente nell’erogazione di un compenso aggiuntivo consistente in un’ora di retribuzione) riguardasse soltanto i compensi di produttività, e non fosse ricollegabile alla effettuazione di lavoro straordinario ed alla erogazione di compensi correnti a fronte del suo svolgimento.

Anche questo motivo è infondato.

L’accordo del 1974 configura semplicemente un compenso aggiuntivo riassorbibile, ma non espressamente collegato alla effettuazione di lavoro straordinario.

Non sussiste perciò nessuna ragione perchè questa previsione contrattuale incida sul calcolo del trattamento di fine rapporto e dei vari istituti di retribuzione indiretta.

L’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito appare convincente, mentre non lo è quella opposta del ricorrente che presuppone, senza riscontri letterali, nè consequenzialità logica, che quel compensò aggiuntivo non fosse diretto a conseguire una maggiore produttività, e a prevenire il sorgere di controversie relative al compenso stesso, ma fosse riassorbibile anche in caso di vertenze di altro genere, e specificamente di quelle relative alla inclusione nel calcolo dell’indennità di anzianità (e successivamente del TFR), dei compensi per lavoro straordinario.

Anche questa censura non può trovare accoglimento.

7. Nel suo primo motivo il ricorrente incidentale denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c., come modificato dalla L. n. 297 del 1982 e l’errata interpretazione dell’art. 21 CCNL grafici decorrente dal 1992.

Le argomentazioni svolte in questo motivo presuppongono l’esame diretto del contratto collettivo del 1992, che – come si è già sottolineato – non è stato depositato nel suo testo integrale, ma soltanto per estratti.

Di conseguenza, anche questo motivo di impugnazione è inammissibile per le medesime ragioni per cui lo è il primo motivo del ricorso incidentale.

8. Nel suo secondo motivo il ricorrente incidentale denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. relativamente alla pronunzia di condanna alla restituzione di quanto percepito per il periodo successivo al 31 ottobre 1992 a titolo di TFR, la violazione e falsa applicazione dell’artt. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, e dell’art. 156 c.p.c. in correlazione alla domanda di restituzione formulata dall’Istituto.

Secondo il ricorrente l’Istituto poligrafico non avrebbe effettuato la richiesta di restituzione e perciò il giudice d’appello non avrebbe potuto disporla, ma, eventualmente, limitarsi ad una pronuncia meramente dichiarativa che accertasse l’esistenza del diritto al ricalcolo del TFR solo fino al 31 ottobre 1992.

La censura è infondata perchè, in realtà, si basa su di un presupposto di fatto (quello dell’avvenuta presentazione da parte dell’appellante Istituto poligrafico di una condanna del C. alla restituzione delle somme risultate non dovute che l’Istituto aveva dovuto corrispondere al lavoratore in adempimento della pronunzia di primo grado provvisoriamente esecutiva che non trova riscontro nella sentenza di appello impugnata.

9. Questa ultima – per la verità – non riporta le conclusioni delle parti, ma va tenuto presente che la determinazione dell’effettivo contenuto delle domande ricomprese in un atto giudiziario non si risolve in una semplice verifica (della presentazione, oppure della mancata presentazione, di una certa richiesta), ma comporta inevitabilmente l’interpretazione e la valutazione dell’effettivo significato delle conclusioni proposte. Questo si verifica anche, e a maggior ragione, quando, come nel caso di specie, una certa richiesta discenda logicamente dalle argomentazioni difensive della parte, e si inserisca tra le conseguenze delle altre domande che, pacificamente, sono state proposte dalla parte stessa.

La censura proposta si risolve perciò in una questione di valutazione di fatto.

L’interpretazione dell’effettivo contenuto delle domande dell’appellante (in questo caso specifico per chiarire si vi era ricompresa, o meno, anche una domanda di restituzione), rientra tra i compiti dei giudici di merito, e, come tale, non può essere oggetto di impugnazione per cassazione nel merito, ma soltanto, eventualmente, per difetto di motivazione (qui non proposta) se non adeguatamente motivata.

Nel caso di specie, però, la sentenza presuppone implicitamente che, in realtà, la richiesta della restituzione delle somme corrisposte in sovrappiù fosse ricompresa nel complesso delle domande dell’appellante, ed il punto specifico non è stato impugnato.

10. In conclusione, dunque, entrambi i ricorsi, quello principale e quello incidentale, sono infondati e non possono trovare accoglimento.

Il loro reciproco rigetto comporta l’esistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2010

 

 

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