Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6204 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2022, (ud. 18/11/2021, dep. 24/02/2022), n.6204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3566-2019 proposto da:

R.C.M.G., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato STEFANO ANTONACCI;

– ricorrente –

contro

PENELOPE SPV SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 15, presso lo

studio dell’avvocato ENRICO GABRIELLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ROBERTO NICOLINI;

– controricorrente –

contro

CASSA DI RISPARMIO DEL VENETO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3052/2018 della CORTE D’APELLO di VENEZIA,

depositata l’08/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – R.C.M.G. ricorre per 10 mezzi, nei confronti della Cassa di Risparmio del Veneto S.p.A., nonché di Penelope Spv S.r.l., contro la sentenza dell’8 novembre 2018 con cui la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato inammissibili ex art. 342 c.p.c. taluni motivi e rigettato nel resto l’appello da essa R. spiegato avverso sentenza del Tribunale di Verona di accoglimento di una sua opposizione a decreto ingiuntivo, conseguentemente revocato, e condannato la medesima al pagamento, in favore della Cassa di Risparmio del Veneto S.p.A., della somma di Euro 1.017.952,32, con accessori e spese.

2. – Penelope Spv S.r.l., cessionaria del credito inizialmente fatto valere dalla Cassa di Risparmio del Veneto S.p.A., ha resistito con controricorso, mentre non ha spiegato difese la banca.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

3. – Il primo mezzo è rubricato “sulla qualificazione giuridica del rapporto tra la R. della Banca, errata applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, contraddittorietà della motivazione”, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che il rapporto intercorso tra le parti non fosse un mutuo ma un’apertura di credito.

Il secondo mezzo è rubricato “secondo motivo di appello, errata determinazione ed applicazione dei Tassi, violazione di legge ex art. 360 c.p.c.”.

Il terzo mezzo è rubricato “in ordine alla CTU e al quesito assegnato con riferimento a Circolare di data successiva (2010) a quella di stipulazione del contratto (2006), errata applicazione di legge, violazione del principio costituzionale della irretroattività delle norme e comunque della applicazione della norma più favorevole”.

Il quarto mezzo è rubricato “errata applicazione dell’art. 1815 c.c. e della L. n. 108 del 1996”.

Il quinto mezzo è rubricato “circa il denunciato anatocismo e sull’indeterminatezza/indeterminabilità/ius variandi e violazione dei doveri di buona fede nella conclusione e esecuzione del contratto”. Il sesto mezzo è rubricato “eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), ripetizione, eccezione di compensazione (art. 1241 e ss. c.c.)”, e sostiene che “le argomentazioni che precedono legittimano l’eccezione di inadempimento che sin d’ora si formula”.

Il settimo mezzo è rubricato “violazione dei doveri di correttezza e buona fede”.

L’ottavo mezzo è rubricato “sulla segnalazione in centrale rischi e obblighi di comportamento della banca”.

Il nono mezzo è rubricato “risarcimento dei danni e altre azioni di tutela”.

Il decimo mezzo è rubricato “quanto alle istanze istruttorie disattese ed in specie la chiamata a chiarimenti del c. t. u. e l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.”.

Ritenuto che:

4. – Il ricorso, totalmente difforme, sotto una pluralità di aspetti, dal modello delineato dal combinato disposto degli artt. 360 e 366 c.p.c., è palesemente inammissibile.

Difatti:

-) difetta nel ricorso il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, dal momento che manca una comprensibile esposizione sommaria dei fatti di causa, in difetto di una sia pur sommaria indicazione delle ragioni che hanno indotto il Tribunale a revocare decreto ingiuntivo e a condannare la R. al pagamento della somma di Euro 1.017.952,32, a fronte di quella di Euro 1.059.263,99 portata dal decreto ingiuntivo; di una sia pur sommaria esposizione dei motivi fatti valere contro la sentenza di primo grado; di una sia pur sommaria esposizione delle ragioni che hanno indotto la Corte d’appello a disattendere l’impugnazione, giudicando inammissibili perché generici alcuni motivi ed infondati gli altri; ciò in violazione del principio secondo cui nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072), con la precisazione che tale mancanza “non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione” (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308); nello stesso senso si veda da ult. Cass. 12 marzo 2020, n. 7025, ove si osserva: “Come ha precisato Cass. 10072/2018, l’art. 366, nel dettare i requisiti di forma-contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio modello dell’atto, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso. Con particolare riferimento al requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa”, che deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali che i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi, il requisito è posto, nell’ambito del modello legale del ricorso, non tanto nell’interesse della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di cassazione e chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte. Esiste pertanto un rapporto di complementarità tra il requisito e quello – che lo segue nella descrizione del modello – della “esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione” (art. 366, n. 4), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso di seguito formulati. La Corte di cassazione, prima di esaminare i motivi, dev’essere infatti posta in grado, attraverso una riassuntiva e sintetica esposizione dei dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti (domande, eccezioni, statuizioni delle sentenze di merito, motivi di gravame, questioni riproposte in appello, etc.), di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti. L’esposizione dei fatti della causa deve quindi “precedere i motivi di ricorso ed essere autonoma rispetto ad essi; ciò si ricava dal significato della diversa e susseguente numerazione che (..) è attribuita a “l’esposizione sommaria dei fatti della causa” ed a “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme su cui si fondano”, rispettivamente indicati all’art. 366 c.p.c., nn. 3) e 4); e si ricava prima ancora dalla sopra sottolineata funzione complementare e strumentale della esposizione sommaria dei fatti rispetto alla comprensione dei motivi. Pertanto, la mancanza o la carenza dell’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato determina ex se l’inammissibilità del ricorso e non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, né attraverso l’esame di altri atti processuali” (ancora Cass. 10072/2018)”;

-) difetta nel ricorso il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, giacché il ricorso si fonda su una pluralità di documenti che non sono localizzati, a partire dal contratto di apertura di credito (che è così definito a pagina 11 del ricorso, salvo a sostenersi in seguito che non un’apertura di credito sarebbe ma un mutuo), che è indicato come “doc. 1”, ma non si sa di che cosa (lo stesso vale poi in particolare per una consulenza tecnica che si richiama nel corpo del ricorso; ciò sebbene questa Corte abbia in più occasioni avuto modo di chiarire che detta disposizione, oltre a richiedere l’indicazione degli atti e dei documenti, nonché dei contratti o accordi collettivi, posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale tali fatti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Il precetto di cui al combinato disposto delle richiamate norme deve allora ritenersi soddisfatto: a) qualora l’atto o il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non partecipi al giudizio di legittimità o non depositi il fascicolo o lo depositi senza quell’atto o documento (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475);

-) difetta nel ricorso il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745); difatti, oltre ad identificare solo alcune delle norme interessate, il ricorso non si cimenta affatto con il contenuto della sentenza impugnata, che, rimasto ignoto a questa Corte attraverso l’esposizione sommaria dei fatti di causa, neppure emerge, se non altro in modo comprensibile, dalle censure; -) il primo motivo si disinteressa della principale ratio decidendi posta dal giudice d’appello a sostegno della propria decisione, giacché la Corte territoriale, secondo quanto la stessa ricorrente ha trascritto, senza avvedersi del significato della citazione, ha affermato, soffermandosi sulla natura del rapporto intercorso tra le parti, che “l’appellante non specifica per quali ragioni la motivazione del primo giudice al riguardo possa ritenersi errata o viziata”, con conseguente applicazione del principio secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840);

-) il secondo motivo è qualificato, ed è effettivamente, un “motivo di appello”, che ripropone, peraltro incomprensibilmente, una tesi già contraddetta dalla Corte territoriale, secondo cui la banca avrebbe azionato un credito per un importo superiore al dovuto di Euro 425.388,67, il tutto sulla base di un “perizia giurata (non contestata – doc. 04)” menzionata a pagina 18 del ricorso, nuovamente in violazione del principio di autosufficienza, anche dal versante contenutistico, dal momento che rimangono ignote i contenuti svolti in detta perizia, né è dato intendere in qual modo essa sarebbe mai non contestata;

-) il terzo motivo ha ad oggetto il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio ed è un motivo di pieno merito;

-) il quarto motivo è incomprensibile, giacché muove dall’assunto che la banca avrebbe preteso interessi usurari, senza che ciò prenda in considerazione la sentenza impugnata, la quale si sofferma espressamente sul punto, osservando che “circa la pretesa pattuizione di un interesse di mora superiore al tasso soglia: la pretesa è infondata atteso che parte appellante richiama, al fine di dimostrare l’usura originaria in relazione ai tassi di mora concordati nella percentuale del 13,75%, la propria perizia di parte”, quella cioè che a dire della ricorrente sarebbe stata non contestata, “in cui è evidente che il perito ha erroneamente preso a riferimento il tasso soglia del 6,24%, calcolato sul tasso medio per i contratti di mutuo aumentati della metà; in realtà, il tasso soglia applicabile è quello previsto per le operazioni a cui appartiene quella in esame, ossia all’apertura di credito in conto corrente… 14,24%”;

-) gli altri motivi ripropongono argomenti che già la Corte d’appello aveva preso in considerazione, osservando che “si tratta di motivi di appello rispetto ai quali deve essere dichiarata l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c. in quanto, in relazione ad essi, manca una pur sintetica disamina e confutazione delle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata”.

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 10.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che, ove dovuto, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

 

 

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