Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6202 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. I, 05/03/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 05/03/2020), n.6202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11336/2017 proposto da:

A.M.S., e G.D., quali eredi di

G.F., rappresentati e difesi dall’Avv. Clementina Settevendemie,

come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrenti –

contro

Unicredit S.p.a., nella persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Pierluigi Maria Tenaglia,

giusta procura speciale in calce al controricorso,entrambi

elettivamente domiciliati in Roma nello studio dell’Avv. Enrico

Zaccaretti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 121/2017 della CORTE D’APPELLO di L’Aquila,

pubblicata in data 01/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.A.F., al quale sono succeduti quali eredi A.M.S. e G.D., ha convenuto in giudizio la Unicredit Banca S.p.a. chiedendo la dichiarazione di inesistenza, invalidità, inefficacia dell’operazione finanziaria costituita dall’acquisto di prodotti finanziari, costituiti da quote del Fondo Comune di Investimento denominato “(OMISSIS)”, attraverso la concessione di un fido in conto corrente da costituirsi al fine di operare tale acquisto, nonchè la medesima dichiarazione con riguardo al negozio giuridico attraverso il quale l’operazione era stata formalizzata e all’acquisto dei citati prodotti finanziari e delle poste passive e delle voci di debito; con la conseguente dichiarazione che nulla era dovuto alla Banca convenuta e la restituzione di quanto pagato e l’ordine di ritirare, revocare o annullare la segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, con il risarcimento di tutti i danni patiti, patrimoniali e non patrimoniali.

2. Il Tribunale di Pescara, con la sentenza n. 272 del 25 febbraio 2009, ha rigettato tutte le domande, con condanna al pagamento delle spese processuali.

3. La Corte di appello di L’Aquila, adita dagli eredi A.M.S. e G.D., ha rigettato l’appello, confermando la sentenza di primo grado e condannando la parte soccombente al pagamento delle spese processuali.

4. A.M.S. e G.D. ricorrono in cassazione con cinque motivi.

5. La Unicredit Banca S.p.a. ha presentato controricorso.

6. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione, a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3, dell’art. 1418 c.c. in relazione agli artt. 1322, 1325 e 1343.

2. Con il secondo motivo lamentano la violazione e falsa applicazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1362 e 1363 c.c.

I ricorrenti deducono, in particolare, la nullità del contratto di intermediazione finanziaria concluso da G.A.F. per difetto di meritevolezza ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2, in quanto strutturalmente inficiato da un’alterazione dell’equilibrio contrattuale del complessivo assetto negoziale e fondano la domanda di nullità sulla unicità causale dei diversi moduli contrattuali in cui era stata articolata l’operazione negoziale, lamentando quindi, con il primo motivo, che la Corte di appello di L’Aquila abbia erroneamente negato il carattere unitario del contratto stesso; lamentano, altresì, con il secondo motivo, la violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti e specificamente che la unitarietà del contratto sia stata esclusa sulla base della errata interpretazione degli atti negoziali in violazione delle norme ermeneutiche.

2.1 I motivi, che vanno trattati congiuntamente, in quanto entrambi riguardano la questione della “non meritevolezza” del contratto, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2, sono inammissibili per difetto di censura della ratio decidendi della sentenza impugnata. Difatti, la Corte di appello è vero che ha escluso il carattere unitario del contratto, ma ha assunto tale statuizione al solo fine di negare la necessità che l’indicazione della facoltà di recesso dell’investitore figurasse in tutti gli atti negoziali (come meglio si vedrà esaminando il terzo motivo).

Specificamente i giudici di secondo grado, a pagina 10 della sentenza impugnata, hanno evidenziato che la mancanza di un mutuo con un piano rateale per la restituzione delle somme erogate e la specifica stipulazione del contratto di conto corrente bancario, quale contratto tipico destinato a produrre i suoi effetti anche indipendentemente dallo svolgimento della negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari, inducevano ad escludere la sussistenza dell’unica causa finanziaria, con la conseguenza che l’indicazione della facoltà di recesso dall’operazione finanziaria non doveva ricorrere in tutti gli atti negoziali.

Diversamente, la Corte di appello motiva la confutazione della tesi dell’invalidità del contratto sotto il profilo della non meritevolezza degli interessi perseguiti, a pagina 14 e 15, sostenendo la differente configurazione del contratto in esame rispetto ad altri contratti per i quali la giurisprudenza ha ritenuto di applicare l’art. 1322 c.c., comma 2, e in cui era stata rilevata l’aleatorietà per il solo investitore, sul rilievo che nel caso in esame “il cliente non è tenuto al rimborso della somma finanziata dalla Banca mediante il pagamento di una rata costante, comprensiva degli interessi” e che “nel caso dedotto in giudizio, infatti, il recupero della somma finanziata è stato garantito soltanto attraverso il pegno dei titoli, per cui la Banca è stata assoggettata al rischio di perdere la somma erogata in relazione all’andamento dei titoli medesimi”.

Si tratta di ragioni della decisione che i ricorrenti non hanno fatto oggetto di specifica censura.

Sussiste, poi, un ulteriore profilo di inamissibilità del secondo motivo di ricorso per la novità delle censure sollevate, che dalla sentenza impugnata e dal ricorso per cassazione non risultano essere state articolate nei precedenti gradi di giudizio e che rimandano ad accertamenti di fatto non eseguibili in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30 e specificamente che la sentenza impugnata è errata laddove ha accertato la nullità dei contratti prodotti dalla Banca, in ragione della mancata indicazione della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 30, comma 6 TUF con riferimento all’intera operazione e che la Banca era venuta meno all’obbligo di indicare la facoltà di recesso anche con riferimento all’apertura di credito e alla concessione del pegno.

3.1 il motivo è infondato.

E’ vero che Cass. n. 7776/2014, richiamata dai ricorrenti, ha ritenuto, in fattispecie in cui il finanziamento era stato concesso mediante mutuo, il carattere unitario della complessiva operazione; ma tanto essa ha ritenuto sul presupposto, tra l’altro, che il finanziamento concesso dalla banca al risparmiatore non poteva essere utilizzato per altro scopo che l’acquisto dei titoli, e solo di quei titoli. Tale presupposto, invece, non risulta, dagli accertamenti compiuti dai giudici di merito, che ricorresse nel caso in esame; anzi la Corte di appello sottolinea proprio l’autonomia degli investimenti rispetto al contratto di conto corrente affidato, mentre i ricorrenti hanno dedotto soltanto nel ricorso per cassazione che la somma di denaro anticipata sotto forma di apertura di credito era stata esclusivamente utilizzata per l’acquisto di strumenti finanziari sui quali si era costituito un pegno a garanzia del rimborso del finanziamento e, nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., l’assenza di movimentazioni sul conto corrente diverse dal summenzionato addebito.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 21TUF e degli artt. 28 e 29 Reg. Consob n. 11522/98.

Il profilo specifico censurato è il mancato accertamento della violazione, da parte della banca, dei doveri di informazione e diligenza per non aver avvertito l’investitore della inadeguatezza dell’investimento al suo profilo di rischio.

4.1 n motivo è inammissibile.

Ancora una volta si tratta di una censura nuova, che dalla sentenza impugnata e dal ricorso per cassazione non risulta essere stata sottoposta ai giudici del gravame e che presuppone accertamenti di fatto inerenti l’inadeguatezza dell’investimento al profilo di rischio dell’investitore e dei connessi obblighi dell’intermediaria, non eseguibili in sede di legittimità.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 21TUF e degli artt. 28 e 29 Reg. Consob n. 11522/98.

I ricorrenti censurano la declaratoria di inammissibilità, per difetto di specificità, del motivo di appello riguardante il conflitto di interessi dell’intermediaria.

5.1 Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha motivato affermando che il Tribunale di Pescara aveva escluso il conflitto di interessi per la mancanza di incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante e che, comunque, l’attore non aveva fornito alcuna prova in ordine alla tipologia del conflitto denunciato, demandando tale prova alla consulenza tecnica d’ufficio, che era inammissibile per la mancanza dei presupposti sui quali l’indagine doveva compiersi.

I giudici di secondo grado hanno, altresì, evidenziato che l’appellante non aveva indicato le specifiche ragioni per cui il Giudice avrebbe dovuto pervenire ad una diversa conclusione, limitandosi ad affermare il carattere contrattuale della responsabilità derivante dal conflitto di interessi e insistendo nella richiesta della c.t.u. e nella richiesta di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c..

Il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21T.U.F., nel testo vigente ratione temporis, essendo stato sottoscritto il piano finanziario nel 2000, prescriveva che “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono:… c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”.

Il regolamento Consob n. 11522/1998, art. 27, in tema di conflitto di interessi, stabiliva che gli intermediari autorizzati non potessero effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se avessero direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi, o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non avessero preventivamente informato per iscritto (o, in caso di operazione conclusa telefonicamente, con comunicazione registrata su nastro magnetico o su altro supporto equivalente) l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non avesse poi acconsentito espressamente, e con le medesime modalità, all’effettuazione dell’operazione.

L’art. 27, comma 3, del regolamento prevedeva, altresì, che, ove gli intermediari autorizzati, al fine dell’assolvimento degli obblighi di cui al precedente comma 2, utilizzino moduli o formulari prestampati, “questi devono recare l’indicazione, graficamente evidenziata, che l’operazione è in conflitto di interessi”.

Tanto premesso, i ricorrenti nell’atto di appello – direttamente esaminabile da questa Corte attesa la natura processuale della questione (inammissibilità di motivo di appello) dedotta – avevano sia individuato la statuizione del tribunale impugnata, sia indicato la ragione della critica rivolta al primo giudice e specificamente l’appartenenza della società titolare del Fondo (OMISSIS) al gruppo bancario, ossia che la società che gestiva il fondo oggetto dell’investimento apparteneva, come era rimasto incontestato da controparte, allo stesso gruppo societario della Banca intermediaria.

6. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale esaminerà la questione relativa al conflitto di interessi della Banca intermediaria, come sollevata nell’atto di appello, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo, il secondo e il quarto motivo e infondato il terzo motivo; accoglie il quinto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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