Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 620 del 14/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/01/2019, (ud. 17/10/2018, dep. 14/01/2019), n.620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21365-2017 proposto da:

B.L., N.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SAVOIA 78, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO AVELLA, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

L.R.R., P.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, V. FEDELE LAMPERTICO 12, presso lo studio dell’avvocato

NICOLETTA D’AGOSTINO, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE

ASELLI;

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA

DIONIGI, 57, presso lo studio dell’avvocato ANNA BEVILACQUA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PATRIZIO PARZIALE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 654/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/10/2018 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

B.L. e N.M. propongono ricorso per cassazione articolato in cinque motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 654/2017 del 13 febbraio 2017. Resistono con distinti controricorsi L.R.R. e P.P., nonchè A.A..

La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado resa dal Tribunale di Nola n. 635/2011, la quale aveva rigettato la domanda proposta da B.L. e N.M. nei confronti dei convenuti L.R.R., P.P. e A.A., diretta al pagamento della somma di Euro 250.000,00 “a titolo di risarcimento danni patrimoniali subiti a seguito del mancato pagamento di quota dovuta sulla somma a pagarsi anticipata dagli istanti”. Gli attori avevano dedotto di aver eseguito a proprie spese lavori di manutenzione e riparazione di un cortile e di un viale d’accesso comuni all’appartamento di proprietà esclusiva B. e N. ed all’appartamento sovrastante di proprietà esclusiva L.R. e P., cortile e viale gravati altresì da servitù di passaggio in favore della proprietà A..

La Corte d’Appello di Napoli, nella sentenza impugnata: 1) ha condiviso la qualificazione della domanda come riconducibile all’art. 1134 c.c., avendo gli attori dedotto a sostegno della loro pretesa la comproprietà dei beni oggetto delle opere e l’urgenza di queste ultime; 2) ha quindi escluso la legittimazione attiva di N.M. e la legittimazione passiva di A.A., non essendo gli stessi comproprietari del cortile e del viale oggetto dell’intervento; 3) ha dichiarato inammissibile, perchè proposta soltanto in appello, la domanda ex art. 1069 c.c., comma 3, rivolta nei confronti di A.A.; 4) ha ritenuto non provato il presupposto dell’urgenza delle opere ex art. 1134 c.c. per la domanda proposta da B.L., proprietaria dell’appartamento; 5) ha escluso che fosse stata data prova dell’impedimento ai fini della rimessione in termini rispetto al deposito della memoria istruttoria e evidenziato come la prova per testi dedotta dagli attori in citazione mancasse di formulazione in articoli separati e specifici.

Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1110 e 1134 c.c., invocando l’operatività della prima norma e comunque ravvisandosi l’urgenza ex art. 1134 c.c., visto l’oggetto dei lavori e la loro esatta ubicazione.

Il secondo motivo denuncia la “omessa applicazione della sentenza n. 22602/09, legittimazione attiva di N.M.”, non avendo il “Giudice Istruttore” tenuto conto che i lavori e le fatturazioni sono stati commissionati e liquidati “spesso” dal N..

Il terzo motivo è rubricato “legittimazione passiva di A.A.”, imputando ancora una volta al “G.I.” di aver ridotto la causa ad una mera lite avente ad oggetto una cosa in comunione, senza considerare che l’ A. gode di diritto di passaggio.

Il quarto motivo è rubricato “autorizzazione tacita intervenuta per i lavori effettuati”.

Il quinto motivo insiste per la “richiesta di rimessione in termini di mezzi istruttori sopravvenuti e non ammessi dal giudice di prime cure e dai giudici di secondo grado”.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il Collegio ritiene che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo il ricorso manifestamente infondato.

Tutti i motivi di ricorso risultano privi dei caratteri della tassatività e della specificità, nonchè della riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, caratteri imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, tant’è che i vizi denunciati nel secondo, nel terzo, nel quarto e nel quinto motivo non vengono nemmeno ricondotti dai ricorrenti ad alcuna delle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., e si risolvono in una critica generica della pronuncia dalla Corte d’Appello (o addirittura della pronuncia del “G.I.”), formulata sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito.

Le questioni in punto di legittimazione attiva e passiva sono state decise dalla Corte d’Appello di Napoli coerentemente all’assunta qualificazione dell’azione, che i giudici di merito hanno ricondotto all’art. 1134 c.c., sulla base di giudizio di fatto in ordine all’interpretazione della domanda che non è oggetto di specifica censura da parte dei ricorrenti. Stante la qualificazione della domanda di rimborso avanzata da B.L. e N.M. come spese fatte dal condomino ex art. 1134 c.c., non può che riconoscersi la legittimazione attiva al singolo partecipante al condominio che abbia sostenuto le spese per la gestione della cosa comune nell’interesse degli altri proprietari (e non quindi al terzo che si sia altrimenti ingerito nella gestione delle parti comuni), e la legittimazione passiva ai restanti condomini che sarebbero altrimenti stati tenuti alla spesa ai sensi dell’art. 1123 c.c. L’obbligo del singolo condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell’edificio trova, infatti, la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio.

Il presente giudizio, sulla base della definizione del tema di lite contenuto nella sentenza impugnata, non ha avuto ad oggetto l’individuazione dei danni che L.R.R., P.P. e A.A. dovevano risarcire agli attori, nè un’azione di arricchimento in favore di chi, senza aver alcun titolo, abbia comunque anticipato spese per la manutenzione di parti comuni.

La diversa domanda verso A.A. fondata sul rimborso di spese inerenti ad opere necessarie alla conservazione della servitù, eseguite dal proprietario del fondo servente, ex art. 1069 c.c., comma 3, è stata ritenuta tardivamente proposta solo in appello dalla sentenza impugnata, e nemmeno su questa statuizione è stato proposto specifico motivo di ricorso per cassazione.

Anche il quinto motivo, sulla mancata rimessione in termini da parte del giudice appello per l’esercizio delle attività istruttorie che non si erano potute svolgere in primo grado, manca di qualsiasi specifico riferimento al contenuto delle deduzioni di prova disattese, nonchè alla causa non imputabile che avrebbe indotto i ricorrenti ad incorrere nella decadenza, e oltretutto confonde i profili della rimessione in termini rispetto a prove da cui la parte sia stata dichiarata decaduta in primo grado e della ammissibilità di prove nuove nel giudizio di appello.

Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte d’Appello di Napoli ha deciso la questione di diritto, inerente all’applicabilità dell’art. 1134 c.c. con riferimento ad un condominio cd. minimo, in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte. Anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile soltanto nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c.(testo previgente alla modifica operata con la L. n. 220 del 2012). Ai fini dell’applicabilità dell’art. 1134 c.c., va dunque considerata “urgente” non solo la spesa che sia giustificata dall’esigenza di manutenzione, quanto la spesa la cui erogazione non possa essere differita, senza danno o pericolo, fino a quando l’amministratore o l’assemblea dei condomini possano utilmente provvedere. Spetta al singolo condomino, che agisca per il rimborso, dare dimostrazione che le spese anticipate fossero indispensabili per evitare un possibile nocumento a sè, a terzi od alla cosa comune, e dovessero essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini, sulla base di accertamento di fatto spettante al giudice del merito (Cass. Sez. 6 -2, 08/06/2017, n. 14326). Nulla è invece dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (art. 1110 c.c.). Ciò vale anche per i condomini composti da due soli partecipanti, la cui assemblea si costituisce validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimità decide validamente. Se non si raggiunge l’unanimità e non si decide, poichè la maggioranza non può formarsi in concreto, diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, come previsto dagli artt. 1139 e 1105 c.c. (Cass. Sez. 2, 16/04/2018, n. 9280; Cass. Sez. 2, 12/10/2011, n. 21015; Cass. Sez. U, 31/01/2006, n. 2046).

Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione negli importi liquidati in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare a L.R.R. e P.P., le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, nonchè a rimborsare ad A.A. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2019

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