Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6199 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. II, 05/03/2021, (ud. 11/01/2021, dep. 05/03/2021), n.6199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27614/2018 proposto da:

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SICILIA 66,

presso lo studio dell’avvocato PIETRO PICCONE FERRAROTTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMILIANO BELLI;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE 91,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIOVANNI NAPOLETANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUGGERO IPPOLITO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

18/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

lette le conclusioni scritte del P.G. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARMELO SGROI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Delib. 5 agosto 2014, n. 420, la Banca d’Italia applicava a E.G., in qualità di componente del consiglio di amministrazione della Banca Marche S.p.a. dal 2009 al 2012, le seguenti sanzioni amministrative: una prima sanzione di Euro 70.000 per violazione delle disposizioni sulla governance; una seconda di Euro 93.000 per carenze nell’organizzazione nei controlli interni; una terza di Euro 93.000 per carenze nella gestione nel controllo del credito.

2. E.G. proponeva opposizione ex art. 145 T.U.B., chiedendo in via principale l’annullamento della Delib. sanzionatoria ed in subordine la riduzione della sanzione pecuniaria al minimo edittale, nonchè in via istruttoria l’ordine di esibizione da impartirsi alla Banca d’Italia di tutto il materiale istruttorio acquisito posto a fondamento della proposta di irrogazione della sanzione, nonchè copia integrale del verbale dei rapporti ispettivi inerenti il procedimento amministrativo.

3. La Corte d’Appello di Roma rigettava l’opposizione.

Quanto al primo motivo di opposizione relativo alla nullità del provvedimento per violazione dei principi della trasparenza e del contraddittorio in riferimento alla richiesta di accesso a tutti gli atti rispetto alla quale la Banca d’Italia si sarebbe limitata ad esibire unicamente stralci dei rapporti ispettivi, la Corte d’Appello evidenziava che, dalla documentazione prodotta dall’opposta Banca d’Italia, emergeva che era stata data piena attuazione alla richiesta di accesso agli atti avanzata dall’ E. e che questi aveva preso visione e ottenuto copia dei documenti richiesti in data 27 dicembre 2013. Con successiva nota la Banca d’Italia aveva ribadito all’opponente l’insussistenza, agli atti del procedimento sanzionatorio, di ulteriori documenti descrittivi delle risultanze degli accertamenti posti a base della decisione, nonchè la circostanza che la documentazione aziendale di Banca Marche non era detenuta dall’autorità di vigilanza e che aveva beh dovuto essere richiesta dall’interessato direttamente all’ente suddetto.

Non vi era stata quindi alcuna violazione dei principi di trasparenza e del contraddittorio procedimentale avendo l’ E. esplicato il proprio diritto di difesa, tanto mediante presa visione della documentazione, quanto mediante lo svolgimento di puntuali controdeduzioni previa concessione di proroga del termine.

La Corte d’Appello rigettava anche il secondo motivo di opposizione relativo al difetto di equo processo per violazione dell’art. 6, paragrafo primo, della CEDU.

In particolare, la Corte d’Appello rilevava che le sanzioni ex art. 144 TUB non avevano natura penale, non essendo assimilabili quanto a severità, tipologia e capacità di incidere nella sfera personale e patrimoniale del soggetto previsto come quelle ex art. 187 TUF. Dovevano, dunque, rigettarsi tutte le doglianze relative alla violazione dell’art. 6 CEDU.

La Corte d’Appello riteneva infondato anche il terzo motivo di opposizione con il quale l’ E. aveva dedotto l’illegittimità e l’infondatezza del provvedimento opposto per la genericità delle contestazioni, in mancanza di specifici e puntuali addebiti e in violazione del principio di legalità sancito dalla L. n. 689 del 1981, art. 1. La Corte d’Appello evidenziava che l’opponente era stato sanzionato sulla base di condotte specificamente indicate sia con riferimento al profilo fattuale, sia con riguardo a quello giuridico, avuto riguardo alle quattordici (14) puntuali contestazioni formulate, alcune articolate a loro volta in una molteplicità di rilievi specifici. La proposta sanzionatoria, pertanto, non era indeterminata, essendo state le contestazioni ispettive raggruppate sulla base delle norme violate ed in relazione alla tipologia di carenze imputate agli esponenti di Banca Marche. Nessuna genericità e indeterminatezza poteva ritenersi in concreto ravvisabile stante l’esaustività delle lettere di contestazione della proposta sanzionatorio atti entrambi richiamati per relazione dalla Delib. impugnata nell’individuazione delle condotte addebitate per loro natura rappresentate non da singoli specifici atti, ma da un complesso di omissioni ed inadeguatezze strutturali di carattere continuativo rilevante rispetto alla normativa di settore. La Corte d’Appello evidenziava anche che l’ E. aveva dedotto in sede di controdeduzioni puntualmente rispetto alle contestazioni mosse dimostrando di conoscere accuratamente ed in dettaglio le accuse avendo pertanto pienamente esercitato il proprio diritto di difesa. Peraltro, nella materia in esame l’incolpazione ben poteva avere ad oggetto la violazione di canoni comportamentali ispirati a prudenza, buona gestione, nonchè all’utilizzazione delle migliori prassi professionali con specifico riferimento alla normativa violata. Agli amministratori peraltro nel caso concreto erano state contestate carenze ed irregolarità precise e riferite a situazioni di fatto verificabili, la cui criticità era stata rapportata alla violazione degli specifici canoni gestionali indicati.

Quanto alla responsabilità personale dell’ E., la Corte d’Appello richiamava la giurisprudenza di legittimità sulla responsabilità dei consiglieri di amministrazione non esecutivi e, in particolare, di quelli degli istituti di credito, evidenziando che nella specie vi era stato un inadeguato monitoraggio da parte del consiglio di amministrazione sull’operato dell’ex direttore generale Bi. avendo lasciato un’eccessiva autonomia a quest’ultimo senza adottare adeguati contrappesi. Allo stesso modo la Corte d’Appello evidenziava le responsabilità accertate con riferimento: al mancato esercizio di poteri di direttiva e di avocazione da parte degli amministratori, allo spossessamento dei poteri del consiglio di amministrazione, ai criteri poco prudenti cui era stata ispirata l’azione di quest’ultimo e al fatto che il ricorrente non aveva dimostrato di aver tenuto condotte positive al fine di evidenziare di aver virato a scongiurare il danno. Infine, anche la valutazione di carenza dell’organo di supervisione strategica nella definizione di un assetto organizzativo adeguato e coerente con gli indirizzi espansivi conseguiti era giustificata sulla base del rapporto ispettivo.

Infine, la Corte d’Appello di Roma rigettava il motivo di opposizione concernente l’asserita illegittimità della massima misura della sanzione.

Il motivo era generico non risultando dedotte le ragioni che avrebbero dovuto determinare una riduzione della sanzione e in ogni caso infondato avuto riguardo al contenuto della proposta sanzionatorio dove erano stati indicati i criteri di commisurazione utilizzati. Peraltro, l’assenza di motivazione delle sanzioni non era un vizio idoneo ad inficiare il provvedimento impugnato in quanto il giudice dell’opposizione investito della questione relativa alla congruità della sanzione deve comunque determinarla mediante diretta applicazione dei criteri stabiliti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11. In ogni caso la quantificazione operata dalla Banca d’Italia era congrua, fondata su parametri di valutazione del tutto condivisibili sufficientemente specifici, in linea con le previsioni della L. n. 689 del 1981 e delle disposizioni regolamentari. In particolare l’obiettiva gravità della crisi di Banca Marche e del gruppo ad essa facente capo essenzialmente determinata dalle condotte non diligenti ascrivibili agli organi aziendali era tale da aver imposto dapprima l’adozione di provvedimenti straordinari d’urgenza e per l’avvio dell’amministrazione straordinaria della capogruppo nonchè l’assunzione di analogo provvedimento della principale controllata medio leasing S.p.A., elementi che convergevano nel dimostrare l’obiettiva gravità dei fatti contestati. La differenziazione tra le sanzioni irrogate ai diversi esponenti aziendali appariva frutto di una valutazione equilibrata scevra da intenti punitivi.

4. E.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.

5. La Banca d’Italia ha resistito con controricorso.

6. Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

7. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del primo motivo e per l’inammissibilità e il rigetto delle plurime doglianze proposte con il secondo motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: la violazione ed erronea applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 22, 23 e 24, artt. 24,97 e 111 Cost. e dei principi di piena conoscenza degli atti istruttori, di trasparenza procedimentale e del contraddittorio con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura si fonda sulla violazione del principio del contraddittorio, della piena conoscenza degli atti e della corretta esplicazione del diritto di difesa, in quanto sarebbe stata negata al ricorrente la possibilità di accedere al complesso degli atti istruttori, come risulterebbe dalle controdeduzioni del 23 gennaio 2014 comunicate dal ricorrente alla Banca d’Italia.

A parere del ricorrente risulterebbe pacifica e non contestata la mancata consultazione da parte dell’interessato degli atti istruttori nonostante la tempestiva richiesta all’autorità di vigilanza. Risulterebbe, dunque, violato la L. n. 241 del 1990, art. 22, comma 1. Peraltro, anche ove si volesse astrattamente considerare giustificata l’impossibilità da parte dell’autorità di vigilanza di garantire al ricorrente il proprio diritto di accedere agli atti istruttori. in quanto la documentazione non era più in possesso dell’ente accertatore al momento della richiesta. In ogni caso quest’ultimo avrebbe dovuto quantomeno comunicare al richiedente quali erano nel dettaglio gli atti istruttori e fornire una ricostruzione del contenuto degli stessi senza limitarsi a respingere la richiesta assumendo che la documentazione aziendale di Banca Marche non era detenuta dall’autorità di vigilanza. Peraltro, risulterebbe erronea anche l’affermazione della sentenza fondata sul presupposto che l’accesso agli atti amministrativi potesse essere comunque garantito attraverso una richiesta formulata dall’interessato direttamente alla banca delle Marche. Infatti, la natura privatistica della banca comportava l’impossibilità di invocare il diritto di accesso agli atti amministrativi e, dunque, sarebbe evidente l’erronea interpretazione delle norme spettando all’autorità di vigilanza garantire il rispetto dell’accesso agli atti all’interessato.

1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.

In primo luogo, deve osservarsi che è del tutto infondata l’affermazione del ricorrente secondo la quale gli sarebbe stata negata la possibilità di accedere al complesso degli atti istruttori e che sarebbe pacifica e incontestata la mancata consultazione da parte sua degli atti istruttori.

Al contrario, la Corte d’Appello ha ampiamente motivato sul relativo motivo di opposizione, evidenziando che dalla documentazione prodotta dalla Banca d’Italia (documenti n. 10 e 11 come si legge a pagina 3 del decreto impugnato) emergeva che la Banca d’Italia aveva dato ingresso alla richiesta di accesso agli atti avanzata dal ricorrente e che quest’ultimo aveva preso visione ed aveva estratto copia dei documenti richiesti il 27 dicembre 2013. Con successiva nota del 2014, la Banca d’Italia aveva poi ribadito all’odierno ricorrente l’insussistenza agli atti del procedimento sanzionatorio di ulteriori documenti descrittivi delle risultanze degli accertamenti posti a base dello stesso, nonchè la circostanza che la documentazione aziendale di Banca Marche non era detenuta dall’autorità di vigilanza e che per accedere a tale documentazione la richiesta avrebbe dovuto essere indirizzata direttamente alla suddetta banca. Nessuna lesione del diritto di difesa si era realizzata ed era stata disposta anche una proroga del termine per fare le controdeduzioni, e, dunque, vi era stata dunque una completa ostensione all’ E. della documentazione acquisita al fascicolo del procedimento sanzionatorio, senza omissis ed addirittura compresi i rilievi ispettivi inerenti terzi.

Risulta, dunque, del tutto priva di fondamento la doglianza circa il mancato accesso agli atti istruttori da parte del ricorrente. Quanto alla documentazione in possesso della Banche Marche, del pari, è del tutto infondata la tesi secondo la quale il diritto di accesso di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 22, ricomprende anche i documenti non detenuti dalla pubblica amministrazione.

La richiesta della documentazione in possesso della Banca delle Marche avrebbe dovuto essere richiesta a quest’ultima. In ogni caso, i documenti visionati in sede di ispezione e ritenuti rilevanti sono stati riversati nei rapporti ispettivi e, dunque, il ricorrente ha avuto piena consapevolezza di quali fossero gli atti istruttori utilizzati così come del loro contenuto riportato nel rapporto ispettivo.

I verbali ispettivi sono assistiti da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese. Inoltre fanno fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese dalle parti o da terzi e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla parte e/o da terzi mentre per tutti gli altri aspetti anche relativi all’esame della documentazione costituiscono comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disattesi solo in caso di motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore.

Il ricorrente pertanto, ha avuto accesso a tutta la documentazione del procedimento sanzionatorio detenuta dalla Banca d’Italia e attraverso tali atti ha potuto conoscere anche quale sia la documentazione formata dalla Banca Marche (nel periodo in cui il ricorrente era consigliere di amministrazione), in possesso di quest’ultima, e visionata durante l’ispezione, e di apprezzarne il contenuto ove posto a fondamento della contestazione.

Nella specie, dunque, non si è realizzata alcuna violazione di legge, del principio del contraddittorio o del diritto di difesa e il ricorrente non ha fornito alcun elemento concreto dal quale desumere una sua richiesta alla Banca Marche di consentire l’esame della documentazione aziendale, anche al fine di utilizzare gli strumenti processuali in caso di rifiuto (art. 210 c.p.c.).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ed erronea applicazione del principio del contraddittorio, di legalità, nonchè della L. n. 689 del 1981, art. 1, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La censura attiene alla genericità e indeterminatezza degli addebiti in violazione dei principi di legalità e del contraddittorio. Le quattordici contestazioni della Banca d’Italia sarebbero, infatti, prive del criterio di specificità, essendo le stesse prive del riferimento allo specifico incarico svolto dal ricorrente nell’arco di tempo di svolgimento dei fatti. Il deposito di controdeduzioni da parte dell’opponente non varrebbe ad escludere la lamentata violazione dei principi di trasparenza del contraddittorio. Seppure il decreto che applica la sanzione può essere motivato per relationem in ogni caso mancherebbero gli addebiti specifici anche nella proposta di irrogazione della sanzione. La Corte d’Appello avrebbe poi completamente omesso di considerare che il ricorrente, nella sua qualità di componente del consiglio di amministrazione, non aveva poteri specifici con riferimento al sistema del controllo interno. Inoltre, sostanzialmente per gli stessi fatti oggetto dell’accertamento ispettivo della Banca d’Italia, è stato emesso un decreto di archiviazione e secondo il ricorrente vi sarebbe un assoluto difetto di motivazione sulle ragioni per le quali la sanzione irrogata è stata superiore al minimo edittale e pari a quella di altri membri del consiglio di amministrazione del triennio precedente in violazione del principio di proporzionalità e del criterio della gravità della violazione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11.

2.1 Il secondo motivo è infondato.

Il motivo, come rilevato dal Procuratore Generale, si articola in più di una censura. Occorre dunque premettere che “in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le censure prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Sez. U., Sent. n. 9100 del 2015).

2.2 Una prima ragione di doglianza è costituita dalla genericità della contestazione, senza riferimenti normativi e in violazione del principio di legalità.

La censura è infondata, in quanto, come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello al ricorrente erano state contestate condotte specificamente indicate sia con riferimento al profilo fattuale, sia con riguardo a quello giuridico.

In particolare, le contestazioni riguardavano 14 distinti addebiti, a loro volta articolati in una molteplicità di rilievi specifici tutti raggruppati in relazione alle norme violate e alla tipologia di carenza imputata agli esponenti della banca.

D’altra parte, la Corte d’Appello ha anche evidenziato che la caratteristica degli illeciti rispondenti a violazione di obblighi gestionali, a violazione dei canoni di prudenza, buona gestione, migliori prassi professionali, comporta necessariamente l’esigenza di rappresentare l’intero complesso delle omissioni ed inadeguatezze strutturali poste in essere in tema di organizzazione e governo societario delle banche.

Dunque, la censura si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione del giudizio operato dalla Corte di merito circa la specificità in fatto in diritto della contestazione oltre che sulla sussistenza dei (numerosi) fatti accertati circa le rilevanti criticità nel sistema di governo e di controllo della banca.

2.3 Una seconda censura ha ad oggetto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione al decreto di archiviazione in sede penale del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ancona.

Tale censura, come rilevato dal procuratore generale, è inammissibile alla luce dell’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui: l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che il ricorrente deve indicare il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. sez. un., 07/04/2014, n. 8053 e Cass. civ. sez. 11, 24/01/2020, n. 162).

Contrariamente a tale principio di diritto, invece, il ricorrente si limita ad affermare che dal suddetto decreto emergerebbe che egli, in

qualità di mero consigliere indipendente non esecutivo, aveva svolto in maniera attenta e rigorosa il proprio incarico, collocando la sua voce fuori dal coro in più di un’occasione. Egli, infatti, non era rimasto inerte e non aveva mancato di esprimere la propria opinione di aperto dissenso, come nella seduta del 26 ottobre 2010, o di denunciare la mancanza di informazioni adeguate, come nella seduta dell’11 aprile 2012.

In altri termini il ricorrente non ha indicato il fatto oggetto di discussione e omesso nella motivazione della Corte d’Appello che determinerebbe una diversa decisione in ordine alla sua responsabilità per gli illeciti amministrativi in relazione ai quali è stato sanzionato. In particolare, il ricorrente non chiarisce perchè l’archiviazione della notizia di reato sulla quale indagava la Procura della Repubblica di Ancona comporterebbe un accertamento circa la sua esclusione dalla responsabilità nell’ambito del procedimento sanzionatorio amministrativo. Da un lato, infatti, la responsabilità nell’ambito dell’illecito amministrativo risponde a criteri e canoni diversi rispetto a quella del procedimento penale e, dall’altro, nel ricorso non si chiarisce neanche su quale fatto e per quale ipotesi di reato indagasse la Procura. Da quanto dedotto dalla parte controricorrente, emerge che l’archiviazione riguardava un’indagine per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata, fattispecie del tutto diversa da quella oggetto della contestazione in esame.

Inoltre, la parte controricorrente evidenzia che nella richiesta di archiviazione, integralmente recepita dal giudice delle indagini preliminari, gli stessi pubblici ministeri non hanno affatto escluso la possibile imputabilità all’ E. di una condotta gravemente colposa nell’espletamento delle sue funzioni, non rilevante in sede penale ma rilevante in sede sanzionatorio amministrativa.

In ogni caso il ricorrente avrebbe avuto l’onere di indicare quali fatti riportati nel decreto di archiviazione, ove tenuti presenti dalla Corte d’Appello, avrebbero portato ad una decisione diversa rispetto al rigetto dell’opposizione e alla conferma della sanzione inflitta.

2.4 Inoltre, il decreto della Corte d’Appello è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di consiglieri non esecutivi degli istituti bancari. Si è detto in plurime occasioni, infatti, che se, in virtù della modifica dell’art. 2392 c.c., avvenuta a seguito della riforma delle società di capitali del 2003, gli amministratori privi di deleghe (cd. non operativi) non sono più sottoposti ad un generale obbligo di vigilanza, tale da trasmodare di fatto in una responsabilità oggettiva, per le condotte dannose degli altri amministratori, ma rispondono solo quando non abbiano impedito fatti pregiudizievoli di quest’ultimi in virtù della conoscenza – o della possibilità di conoscenza, per il loro dovere di agire informati ex art. 2381 c.c. – di elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (in questi termini Cass. 17441/16), va tuttavia considerato, per contro, che, nell’ordinamento sezionale del credito, il dovere di agire informati si connota con caratteristiche di particolare incisività, perchè si inscrive in una sfera di responsabilità dell’amministratore che non è soltanto quella, di natura contrattuale, di cui il medesimo è gravato nei confronti dei soci della società ma è anche quella, di natura pubblicistica, di cui il medesimo è gravato nei confronti dell’Autorità di vigilanza. Questa Corte, infatti, non ha mancato di sottolineare che, ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni nonchè dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie sono posti doveri di particolare pregnanza, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicchè rispondono del mancato utile attivarsi (cfr. Cass. 22848/15). Nelle sentenze nn. 2737/13, 5606/19 e 24851/19 si è poi ulteriormente precisato che, in tema di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 144, il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6 e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacchè anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del “business” bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Ne consegue che il consigliere di amministrazione non esecutivo di società per azioni, in conformità al disposto dell’art. 2392 c.c., comma 2, che concorre a connotare le funzioni gestorie tanto dei consiglieri non esecutivi, quanto di quelli esecutivi, è solidalmente responsabile della violazione commessa quando non intervenga al fine di impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (Sez. 2, Sent. n. 19556 del 2020).

2.5 Infine, è infondata anche l’ultima censura relativa all’entità della sanzione che ingiustificatamente eccederebbe il minimo edittale, senza adeguata motivazione e in violazione e del principio di proporzionalità correlato al criterio della gravità della violazione.

Occorre ribadire in proposito che la valutazione in ordine alla congruità della sanzione in concreto comminata dall’autorità di vigilanza per gli illeciti amministrativi contestati è attività rimessa in via esclusiva al giudico del merito. L’opposizione al provvedimento sanzionatorio, infatti, non configura un’impugnazione dell’atto amministrativo, ma introduce un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa. Pertanto, l’opposizione alla pretesa anzidetta, una volta proposta, devolve al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della pretesa stessa, con l’ulteriore conseguenza che, in virtù dell’art. 23 della citata Legge, il giudice ha il potere- dovere di esaminare l’intero rapporto, con cognizione che non è limitata alla verifica della legittimità formale dell’atto, ma si estende – nell’ambito delle deduzioni delle parti – all’esame completo del merito della pretesa fatta valere con l’ingiunzione, per stabilire se essa sia fondata o no e se lo sia in tutto o in parte, e in tale cognizione rientra anche la determinazione dell’entità della sanzione, secondo i criteri stabiliti dall’art. 11 della Legge, con apprezzamento discrezionale insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 11481 del 2020).

Nella specie la Corte d’Appello ha ampiamente motivato circa la gravità della violazione, evidenziando che la crisi di Banca Marche e del gruppo ad essa facente capo, determinata dalle condotte non diligenti ascrivibili agli organi aziendali, ha imposto l’adozione di provvedimenti straordinari d’urgenza quali la gestione provvisoria e l’avvio dell’amministrazione straordinaria della capogruppo, nonchè l’assunzione di analogo provvedimento della principale controllata Medioleasing S.p.A.. La Corte d’Appello ha precisato anche che la differenziazione tra le sanzioni irrogate ai diversi esponenti aziendali ha rispettato il principio di proporzionalità.

La suddetta motivazione posta a sostegno della determinazione della misura della sanzione, in applicazione dei criteri di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11, sfugge al sindacato di questa Corte.

4. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

2. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6000 più 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021

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